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Lo stallo in volo della Banca Cambiano 1884 spa (Fi)

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Dedalo ed Icaro di Antonio Canova
Tempo di lettura: 8’.

 

Io abito a New York e stavo pensando al laghetto di Central Park, quello vicino a Central Park South. Chissà se arrivando a casa l’avrei trovato ghiacciato, e se sì, chissà dov’erano andate le anatre. Chissà dove andavano le anatre quando il lago gelava e si copriva di ghiaccio. Chissà se arrivava qualcuno in furgone che le caricava tutte quante per portarle in uno zoo o chissà dove. O se volavano via e basta. J. D. Salinger, Il giovane Holden, p.16, edizione Einaudi Super ET trad. Matteo Colombo (2014)

 

In questo articolo, commento la sentenza della Corte Costituzionale del 9 luglio 2021, n.149 nella vertenza di natura tributaria tra l’Ente Cambiano scpa e l’Agenzia delle Entrate, per la rilevanza che essa ha nel mondo del credito. Propongo ampi stralci della decisione che, pur riguardando la BCC di Cambiano (ora Banca Cambiano 1884 spa),rimanda a questioni di carattere più generale sulla riforma introdotta dalla legge del 2016 e sulle prospettive del movimento. Tra queste, l’importanza di coerenti strategie quando si affrontano innovazioni radicali. Era possibile un’altra storia? Certamente, quasi in modo sciamanico la scrittrice Eliane Cordà ne Il sogno di Antonio aveva messo sull’avviso dei pericoli che si incorrono quando piccoli imprenditori, banchieri o altri pseudo innovatori, prevalgono nel momento in cui è necessario avere la vista lunga. E vedremo che la vista lunga aveva consigliato alla BCC di Cambiano e ad alcune sue consorelle di compiere scelte di aggregazione, per una leadership robusta sul mercato del credito in Toscana. Questa è tuttavia un’altra storia che non posso raccontare perchè non è mai accaduta. Perché certe anatre amano volare in solitario, certe di saper volare per sempre.

Il decollo

Una banca di credito cooperativo con patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro al 31 dicembre 2015, qualora opti per il conferimento dell’azienda bancaria a una società per azioni autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria in luogo dell’adesione a un gruppo bancario cooperativo (cosiddetta way out, disciplinata all’art. 2, comma 3-bis, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito), deve versare al bilancio dello Stato, all’atto del conferimento, un importo pari al venti per cento di tale patrimonio netto; in caso di inosservanza, l’intero patrimonio è devoluto ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione e la Bcc va in liquidazione.

La BCC di Cambiano ha versato all’erario la somma di 54.208.740,00 euro, pari al venti per cento del suo patrimonio netto al 31 dicembre 2015, avendo conferito la propria azienda bancaria in una spa e modificato lo statuto in modo da escludere l’attività bancaria e da mantenere le clausole mutualistiche di cui all’art. 2514 del codice civile al fine di assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la spa conferitaria, servizi di formazione e di informazione sui temi del risparmio, nonché servizi di promozione di programmi di assistenza.

L’Ente Cambiano ha presentato all’Agenzia delle entrate istanza di rimborso dell’importo versato e ha successivamente impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Firenze il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso. Il gravame è stato respinto con sentenza poi confermata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, la cui pronuncia è stata a sua volta impugnata dallo stesso Ente Cambiano con ricorso per Cassazione.

Le norme censurate sarebbero viziate da irragionevolezza ex artt. 3 e 53 Cost., con riferimento alla stessa ratio della riforma. L’imposta straordinaria introdotta dalla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2016 colpisce infatti il patrimonio netto di una società che continua a operare nel settore della mutualità prevalente, una volta conferita l’azienda bancaria in una spa e modificato l’oggetto sociale, escludendo l’attività bancaria. Difetterebbe quindi uno specifico indice di capacità contributiva che giustifichi l’imposizione e la conseguente destinazione del prelievo alla fiscalità generale, mentre, secondo la giurisprudenza costituzionale, «la possibilità di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell’imposta».

Il volo

Nel gennaio 2021 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate, o comunque non fondate. Anche l’interveniente ricostruisce il quadro normativo della materia, soffermandosi sulle agevolazioni fiscali riservate al fenomeno della cooperazione, di cui fornisce un excursus storico che muove dall’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e al regime tributario dei dividendi e degli aumenti di capitale, adeguamento del capitale minimo delle società e altre norme in materia fiscale e societaria), a tenore del quale le somme destinate alle riserve indivisibili non concorrono in assoluto a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi, fino all’attuale regime di parziale detassazione degli utili delle cooperative a mutualità prevalente, nella misura del cinquantatré per cento, previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.

Tali agevolazioni avrebbero consentito alle cooperative, e in particolare alle BCC, di formare e incrementare il patrimonio, segnatamente le riserve indivisibili, con il fine di proteggere e promuovere i valori della cooperazione e fini mutualistici.

La stretta connessione tra le agevolazioni fiscali e le indicate finalità giustifica le disposizioni dirette a bilanciare, sul piano patrimoniale, i mutamenti o le trasformazioni incidenti sull’attività mutualistica, prima fra tutte il citato art. 17 della legge n. 388 del 2000, di interpretazione autentica delle norme sulla devoluzione del patrimonio delle cooperative ai fondi mutualistici, la cui ampia portata applicativa consentirebbe di affermare che «il patrimonio che ha fruito delle agevolazioni in capo a società cooperative non può essere trasferito ad un soggetto non agevolato ma deve essere devoluto ai fondi mutualistici».

L’interveniente ricostruisce poi le ragioni poste a base della riforma delle BCC collocandola nel quadro della normativa europea di rafforzamento dei requisiti prudenziali delle banche e in rapporto con la riforma delle banche popolari – di poco anteriore – introdotta dal d.l. n. 3 del 2015, come convertito, anch’essa diretta all’identico fine di rafforzare la stabilità del sistema bancario nazionale e globale.

La disciplina dettata dal d.l. n. 18 del 2016, come convertito, sarebbe incentrata su tre opzioni, tutte rimesse alla scelta delle BCC. La soluzione “favorita”, consistente nell’adesione al gruppo bancario cooperativo, realizzerebbe un equilibrato bilanciamento tra la necessità di preporre al gruppo una holding dotata di un effettivo potere direttivo e la garanzia di autonomia delle BCC affiliate. La seconda comporta la trasformazione della BCC in spa con obbligo di integrale devoluzione patrimoniale ai fondi mutualistici. La terza (way out), riservata alle BCC “più grandi”, prevede il conferimento dell’azienda bancaria a una spa. Da essa non consegue l’effetto di devoluzione patrimoniale a condizione che la BCC assolva a due oneri, l’uno di carattere fiscale, che viene qui in rilievo, e l’altro di carattere statutario.

Nella formula way out, dunque, il patrimonio della banca, formato grazie alle agevolazioni fiscali di cui la BCC ha fruito, sarebbe totalmente sottratto alla regola della devoluzione, in quanto «le riserve obbligatorie rimangono in capo all’ente conferente (già BCC), mentre la restante parte di patrimonio viene trasferita alla banca commerciale di nuova costituzione, nella quale l’ente conferente mantiene le partecipazioni».

L’imposta straordinaria, commisurata in percentuale sul patrimonio netto, avrebbe perciò la funzione di «bilanciare l’immissione sul mercato commerciale di un patrimonio […] rappresentato dall’azienda bancaria». L’entità dell’azienda bancaria conferita sarebbe “ridotta” per effetto dell’imposta straordinaria, sicché «il valore dei beni conferiti non sarà pari a quello realizzato nel tempo dalla BCC […], ma […] quello risultante dopo l’applicazione» del prelievo.

La ratio giustificativa delle modifiche apportate dalla legge di conversione al testo originario sarebbe da individuare, come si può desumere dalle osservazioni raccolte durante le indicate audizioni parlamentari, nella volontà del legislatore di «evitare che (tassando le sole riserve indivisibili) confluisse nel mercato delle società “lucrative” un patrimonio formato grazie alle agevolazioni» concesse dallo Stato, con il forte rischio di una contestazione in sede europea per violazione della disciplina sugli aiuti di Stato e in contrasto con la finalità perseguita dalla norme sulla devoluzione del patrimonio delle cooperative ai fondi mutualistici, che la Corte identifica nell’esigenza che i benefici conseguiti con le indicate agevolazioni non siano destinati allo svolgimento di un’attività priva di tale carattere e, comunque, non siano fatti propri da coloro che ne hanno fruito.

Quanto ai dubbi di violazione del principio di capacità contributiva, l’Avvocatura osserva che, a seguito del conferimento d’azienda e delle modifiche statutarie, l’ente non si priva del proprio patrimonio, ma lo conserva previa detrazione dell’imposta. Infatti, «l'[e]nte manterrà direttamente la titolarità delle riserve indivisibili (destinate a garantire il prosieguo dell’attività cooperativa in settori diversi da quello bancario) e indirettamente, nella misura della propria partecipazione nella società conferitaria [non soggetta ai vincoli operativi che limitano le società cooperative], continuerà altresì a detenere, in forma di azioni, anche i beni entrati a far parte del capitale dell’azienda bancaria conferita (nella quale è incluso anche l’avviamento)», ponendo così in essere una situazione non irrilevante ai fini della valutazione del presupposto impositivo.

È dunque necessario soffermarsi sulla ratio sottesa alla disciplina censurata nel quadro della riforma delle BCC, e in particolare sull’assetto offerto agli interessi che vengono in gioco nella fase transitoria della riforma stessa.

In questo contesto assume evidenza il ruolo fondamentale – nell’impianto riformatore del d.l. n. 18 del 2016, come convertito – del modello del gruppo bancario cooperativo, considerato la formula strutturale idonea, sia a ridurre il frazionamento del settore e, con esso, il deficit competitivo e patrimoniale delle BCC, sia a superare le criticità del governo societario cooperativo, in particolare attraverso la previsione di pervasivi poteri di nomina, di opposizione alla nomina e di revoca degli organi amministrativi e di controllo delle società aderenti, riconosciuti dal contratto di coesione con la capogruppo (art. 37-bis, comma 3, lettera b, numero 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante «Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia», inserito dall’art. 1, comma 5, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito).

Nell’esercizio della sua discrezionalità, il legislatore ha nondimeno ritenuto di escludere eccezionalmente da tale adempimento, in sede di prima applicazione della riforma, le BCC già operanti nel settore con patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro al 31 dicembre 2015. A queste è offerta la scelta di uscire dal settore del credito cooperativo (diversa dalle ipotesi previste all’art. 2, comma 3, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito, che comportano l’integrale devoluzione del patrimonio ai citati fondi mutualistici), esercitabile nel termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.

Lo stallo

Il versamento al bilancio dello Stato si configura, per le BCC con patrimonio netto sopra soglia, come il “prezzo” da pagare per avvalersi dell’opportunità offerta dall’ordinamento di non aderire a un gruppo bancario cooperativo senza per questo dover devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici, e per poter acquisire invece esse stesse il controllo della spa bancaria conferitaria, com’è avvenuto nel caso della BCC di Cambiano.

La circostanza che la conferente continui a perseguire uno scopo mutualistico – ciò che giustifica fra l’altro l’esclusione dell’obbligo di devoluzione dell’intero patrimonio ai fondi mutualistici – non comporta affatto che il prelievo disposto a suo carico sia di per sé lesivo della funzione sociale della cooperazione, essendo invece diretto, per le finalità di disincentivo che persegue a garanzia della realizzazione della riforma disegnata dal legislatore, a tutelare gli interessi di un settore chiave della stessa produzione cooperativistica, qual è il settore delle banche cooperative a mutualità prevalente.

Qualora, in assenza di disincentivi, le BCC di maggiore consistenza patrimoniale avessero in larga parte aderito alla soluzione alternativa, la loro fuoriuscita avrebbe negativamente inciso sulla funzione sociale del credito cooperativo nel suo complesso. Funzione sociale che, invece, non risulta di per sé compromessa dall’adesione delle BCC al gruppo, giacché la pur rilevante riduzione della sfera d’autonomia delle singole BCC a favore della spa capogruppo è compensata dal vincolo di quest’ultima al rispetto delle finalità mutualistiche e del carattere localistico nell’esercizio dei suoi poteri, come indicato nel contratto di coesione. E ancora va sottolineato come la scelta della BCC per la way out faccia venir meno il suo obbligo di esercitare il credito prevalentemente a favore dei soci (art. 35, comma 1, t.u. bancario), senza che l’obbligo stesso si trasferisca sulla conferitaria, che in quanto spa non vi è soggetta, e senza che il ben diverso obbligo della conferente di assicurare ai propri soci i «servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società per azioni conferitaria» (art. 2, comma 3-quater, primo periodo, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito) garantisca agli stessi soci i medesimi vantaggi cooperativi.

Insieme al versamento concorrono a determinare l’indicato effetto la conservazione delle clausole mutualistiche e l’introduzione delle modifiche statutarie, che completano la scelta di uscita della BCC dal settore del credito cooperativo, ma non dalla categoria delle cooperative a mutualità prevalente.

Alla luce della ratio della disciplina censurata e della descritta finalità del prelievo, alla prestazione in esame va negata la qualifica di tributo. Manca in essa, in particolare, il requisito della natura coattiva del prelievo, che si esprime in primo luogo nel diritto alla sua riscossione forzosa. La decurtazione patrimoniale è definitivamente provocata, in questo caso, solo dallo spontaneo versamento dell’importo, eseguito dalla conferente per ottenere i vantaggi perseguiti, mentre la sua omissione non fa sorgere alcuna pretesa impositiva, semplicemente impedendo la realizzazione dell’interesse della conferente stessa.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 3-ter e 3-quater, quest’ultimo limitatamente alle parole «al netto del versamento di cui al comma 3-ter», di cui al primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui al terzo periodo, del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo…), convertito, con modificazioni, nella legge 8 aprile 2016, n. 49, promosse dalla Corte di cassazione, sezione tributaria civile, in riferimento agli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Epilogo

Come poteva essere e non è stato. Dove potevano volare le anatre quando il lago ghiacciava? E’ presto detto, come d’altronde all’epoca fu detto e spiegato, con un modello di aggregazione strategica tra tre/quattro banche della specie, che dai loro esponenti fu sdegnosamente respinto. Sarebbe stata l’occasione per una strategia di solida crescita, che avrebbe fatto recuperare presto il pur elevato carico fiscale pagato per conquistare l’autonomia. Ma questa, come è già stato detto, è un’altra storia, che non vi so raccontare perche’ mai accaduta.

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