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Credit Suisse: sarà l’ultima crisi bancaria?

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In MELTDOWN, Scandal, Sleaze and the Collapse of Credit Suisse (Mac Millan Business, 320 pp., €20,25 su Amazon), il giornalista di cose finanziarie Duncan Mavin descrive la turbinosa crescita e l’ignominiosa caduta di un colosso bancario con 166 anni di storia: il Credit Suisse, una delle trenta banche di importanza sistemica mondiale.

La storia della sua implosione più che l’esito di un dramma di rampante avidità d’impresa è quella di regole violate, oltre il limite della legalità, di truffe cialtronesche, di corruzione, di inettitudini, di errori inconcepibili e ripetuti per anni, di conflitti d’interesse e di scorrettezze manageriali, con scandali e suicidi. Accompagnata da una vorticosa sostituzione di top manager, alla ricerca ora di un capro espiatorio ora di un uomo della provvidenza, con soluzioni che talvolta portano a personalità arroganti, talaltra a individui imbelli o con piani di business del tutto improbabili. Una miscela micidiale di comportamenti irrazionali e recidivanti, che trovano il punto di sintesi in governance improponibili.

Quella del Credit Suisse è una storia che ha radici nel fondo più oscuro delle vicende europee del 20^ secolo, con il peccato originale di essere stato il punto di approdo di danaro nero, grazie al segreto bancario, consacrato con una legge del 1934, scritta dagli stessi banchieri svizzeri. Lo scopo era quello di trattenere i capitali affluiti nelle banche del paese durante la Prima guerra mondiale, facendo addirittura dell’offerta di schermare i capitali dalle tasse e da altre indagini degli Stati di origine il proprio core business.

La tendenza ad operare con siffatti spregiudicati criteri portò all’ossimoro di salvaguardare le risorse accumulate anche contro gli interessi dei propri clienti, allorché, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i depositi delle famiglie ebree vennero salassati con commissioni applicate per anni, con la motivazione di dover acquisire i certificati di morte delle vittime dei campi dí concentramento, prima di procedere alla restituzione degli averi agli eredi. E dopo che venne alla fine accettato di rifondere le somme, furono messi in atto altri tatticismi per ritardare il più possibile l’efficacia dell’accordo.

Insomma l’autore del libro ha scritto un thriller finanziario che termina con il collasso della banca nel 2023, scossa da scandali, da crediti irrecuperabili e dalla corsa al ritiro dei depositi dei propri preoccupati clienti. La soluzione delle Autorità è stata quella della incorporazione forzata da parte dell’altro gigante bancario svizzero, l’UBS, in un’operazione dell’ultima ora per evitare effetti più devastanti.

La questione ha due risvolti: il primo riguarda come detto la perdurante inadeguatezza delle governance, il secondo, i tempi di sviluppo della crisi.

I sintomi di una crisi prima procedono gradualmente, poi esplodono d’improvviso e tutti insieme. Molte di queste crisi hanno fatto danni sistemici da Lehman Brothers, a Drexel Burnham Lambert, da Dillon Read a Salomon Brothers, a Barings, riproponendo deja vù di misfatti bancari.

L’ultimo è quello della Silicon Valley Bank del 2024, cui il libro dedica uno degli ultimi capitoli alla ricerca di somiglianze tra azzardi morali e interconnessioni oramai planetarie dell’industria bancaria.

Sul piano dello story telling, quando il denaro è evaporato, restano solo le parti più noiose da raccontare, al punto che viene alla mente un famoso incipit letterario, magari da rovesciare: ogni banca felice è felice a modo suo (nell’orgoglio di proprie unicità di business), tutte le banche in crisi sono uguali tra loro (nelle vicende della loro morte).

Ora sorgono spontanee due domande.Anche le tante crisi delle banche italiane degli ultimi trent’anni sono uguali tra di loro e uguali a quelle di altri paesi?Le crisi bancarie sono finite, grazie a una regolamentazione sempre più stringente e l’esperienza fatta dalle Authority nei tanti casi gestiti?Alla prima, la risposta sembra univoca: le crisi hanno tutte una componente di mismanagement, di conflitto di interessi, di allontanamento da canoni di prudenza in nome di ambizioni e supponenze personali, di manie di grandezza, di scorrettezze e di favori, di business opachi  e speculazioni.Anche le modalità in cui si imbastiscono, a distanza di anni, le cause giudiziarie nei confronti dei presunti responsabili delle crisi bancarie italiane sono accomunate da letture che mettono in evidenza i deficit di governance, attraverso il rimbalzo di responsabilità.

Emergono figure di dominus incontrastati, con incarichi di vertice di durata ultratrentennale, check and balances inesistenti, cerchie amicali di amministratori/clienti, manager asserviti o opportunisti. Comportamenti aberranti e recidivanti. Incompetenza e inettitudine.

Un altro aspetto emerge, ascoltando le udienze: gli imputati vengono sempre assolti dall’accusa di ostacolo alla vigilanza, la barriera posta dal Testo Unico Bancario alle responsabilità dei controllori di fronte ad azioni fraudolente dei banchieri.

Il che porta, in punto di logica, ad affermare che i comportamenti distonici eclatanti e ripetuti di mala gestio potevano essere intercettati in tempo e contrastati in via di prevenzione. Di ostacoli alla vigilanza non rimane traccia.

Perché anche nelle crisi italiane, come in quelle avanti ricordate, i sintomi prima si manifestano gradualmente, per poi esplodere tutti insieme.

A crisi scoppiata, anche l’affannarsi convulso delle autorità nella giornata del venerdì per intervenire a salvare il salvabile e ripartire con la crisi miracolosamente risolta il lunedì successivo è un tratto comune, anche se appare un minimo dissonante rispetto alla inefficacia dell’azione nei lunghi tempi precedenti alla esplosione.

Quanto alla seconda questione, sembra di poter dire che le crisi bancarie sono un po’ come gli esami di Eduardo, non finiscono mai!

E come ci ricorda l’intrigante libro di Gerardo Coppola Sono tornata, che vede il tema dal lato delle contraddizioni delle Autorità di controllo, l’eventualità del loro ripetersi non può che tenerci sul chi vive, senza rifugiarsi in pratiche consolatorie o autoassolutorie, stante la distruzione del valore sociale del risparmio.

A meno che non si voglia ricorrere al banale detto del mal comune, mezzo gaudio. Cosa che non avrebbe soltanto il sapore della beffa, ma anche il senso plastico dello sgretolarsi della fiducia. Non ci sembrerebbe proprio il caso. On principle!

Post scriptum. Sapete chi ha scritto: “How did you go bankrupt?” Bill asked. “Two ways,” Mike said. “Gradually and then suddenly” ? Ernest Hemingway, Fiesta (il sole sorgerà ancora). È sempre meglio la letteratura dei noiosi report tecnici degli esperti. Si impara di più. Non è vero?

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