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Morte fulminea nell’IoT

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Gli oggetti dell’Internet delle Cose muoiono, ma l’AI pin è passato da oggetto di desiderio a fermacarte a tempo di record.

Poco tempo fa, precisamente il 9 novembre 2023, Humane inc. (permalink) annunciava (permalink) il suo nuovo device da 700 $, l’AI Pin.

Si trattava (e l’imperfetto è d’obbligo) di un oggetto del tutto particolare. Un comunicatore tipo smartwatch, del peso di solo 34 grammi, da fissare al bavero della giacca come una spilla, e dotato di un’interfaccia utente che per la vergogna avrebbe costretto il capitano Kirk a nascondere il suo Tricorder in un cassetto.

Oltre ad interpretare comandi vocali e connettersi ad Internet per dare delle risposte anche tramite la solita IA nel cloud, era dotato di un’interfaccia utente fantascientifica, che con un raggio blu veniva proiettata sul palmo della mano, per essere utilizzato come display e come tastiera.

Sulla carta, veramente un oggetto da sballo per ogni tecnofilo.

I pochi “fortunati” acquirenti cominciarono a far filtrare, in mezzo a racconti entusiasti e gioiosi, il fatto che la batteria durava poco, che ci voleva anche un abbonamento non proprio economico, che i tempi di risposta non erano proprio da HAL9000.

Poi l’oggetto rivoluzionario è uscito dagli schermi radar delle news.

Ieri, 18 febbraio 2025, è giunta la notizia che Humane inc. cesserà completamente il suo business, e che i suoi asset, compresa la tecnologia ed il sistema operativo dell’AI Pin, CosmOS, sono stati acquistati da HP inc.

La parte educativa, che i 24 impavidi lettori di Cassandra immagineranno già, è che il 28 febbraio 2025, 10 giorni dopo l’annuncio, 9 giorni da oggi, tutti gli AI Pin cesseranno di funzionare. L’annuncio congiunto di Humane ed HP raccomanda di copiare i propri dati da qualche altra parte prima di quella data. Sa un po’ di presa in giro, vero?

Durata dell’innovativo prodotto: un anno e tre mesi.

E ti saluto e sono”, direbbe a questo punto un famoso commissario.

Ora, Cassandra ha ripetuto tante volte l’avvertimento che chi compra un oggetto informatico, particolarmente dell’IoT, deve stare estremamente attento alla durata dello stesso, perché molto spesso l’anima del suo acquisto, che proprio “suo” non è, è da qualche altra parte.

Le storie di Ambient Orb e dei Nabaztag stanno là a ricordarcelo: la trasformazione di un oggetto dell’IoT in un fermaporta è sempre in agguato.

Ma le peculiarità temporali di questo evento lo rendono un caso esemplare di cosa i consumatori possono attendersi dalle aziende in cui talvolta ripongono fiducia.

Che una startup vada a gambe all’aria è cosa di tutti i giorni, che venga acquistata e smembrata da un pesce più grosso, pure.

In questo caso è esemplare come, dopo pochi messi dall’acquisto, ambedue le aziende se ne strabattano dei propri consumatori, perculandoli anche con annunci che sono meno di pannicelli caldi, e lasciandoli con il moccolo, spento, in mano.

Morale: affidarsi ad oggetti proprietari, prodotti da multinazionali orientate al profitto è decisamente sconsigliabile. Meglio, molto meglio, pensarci prima.

Acquistare un prodotto in maniera cosciente vuol dire documentarsi su come funziona, sulle garanzie fornite dal produttore in termini di mantenimento delle funzionalità nel tempo, sulle possibilità di funzionamento in assenza dei server del produttore, e sulle funzionalità residue in caso di fallimento dell’azienda.

I Nabaztag e la storia dei suoi creatori possono insegnare qualcosa; un caso esemplare che, grazie ad un buon progetto, all’aiuto dei progettisti ed alle risorse della comunità degli utenti, ha evitato, almeno in buona parte, una fine ingloriosa come quella del AI Pin.

Spiace dirlo, ma i futuri titolari di costosi fermacarte in forma di AI Pin, a cui va comunque la solidarietà di Cassandra, se la sono davvero cercata.

Cercate piuttosto, voi, di trarne insegnamento. Magari leggendo qualche esternazione di Cassandra sui temi dell’IoT, del diritto di riparare, e del dovere di non essere fessi.

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