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Apoteosi di Cosimo I e George Washington: da Palazzo Vecchio al Campidoglio americano

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Apoteosi di Cosimo I, Firenze Palazzo Vecchio

Per comprendere le storie dipinte dal Vasari nel Salone dei 500 in Palazzo Vecchio, la chiave e’ il tondo centrale,  l’Apoteosi di Cosimo I. L’opera fiorentina, eseguita tra 1563 e 1565 segui’ il volere della committenza medicea. Il Vasari dipinse Cosimo I de’Medici divinizzato, elevato al cielo, un illuminato coronato da Firenze con una  corona di quercia simbolo del’Impero Romano, e da una corona aurea principesca in quanto divenuto duca. Intorno  al sovrano sono disposti su un parapetto circolare tutti i gonfaloni dei quartieri e delle arti fiorentine, ognuno affidato alla custodia di un putto. Anche la posizione dell’opera vasariana, al centro del Salone dei Cinquecento, fungeva da un’ideale repubblicano di chiara matrice romana. Basti ricordare come uno degli edifici simbolo dell’antica Roma in cui si radunavano i senatori, si chiamava Campidoglio. Il Salone era infatti divenuto nel XVI secolo la sala di rappresentanza della Signoria Fiorentina nonché salone delle udienze.

Incoronazione di Cosimo I

Nel XIX secolo , precisamente nel 1865 l’anno che Firenze divenne capitale d’Italia, Costantino Brumidi, pittore italiano trasferitosi in America, affresco’ la grandissima cupola dell’enorme rotonda del Campidoglio di Washington DC. Un’architettura imponente per incarnare la storia e i valori degli Stati Uniti. L’Apoteosi di George Washington è un affresco carico di valenze politiche e non solo, il punto di riferimento ancora una volta e’ l’Italia e l’esaltazione di personalità “illuminate”.

Al centro della composizione c’è George Washington posto in una sorta di Olimpo. Il primo presidente degli Stati Uniti è come “asceso al cielo” per diventare anch’esso divinizzato proprio come lo fu Cosimo I: è l’Apoteosi celebrata dagli antichi greci la deificazione di un eroe.  Esso è avvolto in un drappo purpureo e poggia i piedi su un arcobaleno. Al suo fianco troviamo la dea Libertà, distinguibile per via del cappello frigio che i romani donavano agli schiavi affrancati. Alla sua destra è invece la dea Vittoria, distinguibile per via della tromba e della palma del vincitore.

George Washington con una mano tiene un libro che indica mentre con l’altra mano impugna una spada puntata verso terra. Il presidente e le due dee sono posti all’interno di una circonferenza formata da tredici fanciulle, ognuna contrassegnata da una stella. Tali raffigurazioni rimandano chiaramente alle tredici colonie originali del primo nucleo dei moderni Stati Uniti. Alcune di queste allegorie danno le spalle a Washington, e non è casuale. Rappresenta  la situazione in cui tali colonie si trovavano al tempo dell’affresco, separate per proprio volere dall’Unione originale. Ricordiamo che siamo a pochi mesi dalla fine della Guerra Civile americana.

Alle estremità della cupola Costantino Brumidi ha dovuto anche raffigurare sei scene, sei allegorie nazionali che però non sono completamente visibili da terra. In senso orario, partendo dal presidente Washington, troviamo: la Guerra, la Scienza, la Marina, il Commercio, la Meccanica e l’Agricoltura. Posta sotto i piedi di Washington è la Guerra. Essa rappresenta la Libertà che soggioga la Tirannia e il Potere Regio. Al suo fianco vi è un’aquila americana che tiene delle frecce e, dietro di lei, dei tuoni, elementi che compaiono nel Great Seal statunitense. Segue la Scienza con Minerva che indica un generatore elettrico con al fianco Benjamin Franklin, Samuel Morse e Robert Fulton: essi rappresentano il genio inventivo americano. Succede poi la Marina con Nettuno assieme a Venere. Quest’ultima lascia cadere in mare il filo telegrafico che avrebbe collegato gli Stati Uniti con l’Irlanda. Sullo sfondo si può vedere poi una nave da guerra.

Troviamo poi il Commercio con Mercurio che sta donando una borsa di denari a Robert Morris, finanziatore della Guerra di Indipendenza. La Meccanica in cui figura Vulcano accanto a dei cannoni e ad una macchina a vapore. L’uomo che sta lavorando alla forgia è Charles Thomas, supervisore dello scheletro metallico della cupola del Campidoglio. L’ultima allegoria è quella dell’Agricoltura in cui compare Cerere seduta sopra una falciatrice meccanica per il grano. In questa allegoria il ragazzo che tiene le redini dei cavalli è la rappresentazione dell’America mentre la dea Flora, a sinistra, sta raccogliendo i frutti da lui coltivati.

L’opera di Costantino Brumidi non è solo l’apoteosi di George Washington, è l’apoteosi della nazione americana. Un’immagine che più di ogni altra sintetizza la storia, la cultura e quelle che erano le ambizioni degli Stati Uniti nella seconda parte dell’XIX secolo. Un monito, una ispirazione, un ideale per tutti coloro che lavorano per il bene della nazione americana.

Ora viene quasi naturale chiedersi come raffigurerebbe la situazione delle “magnifiche sorti e progressive” dei principali caratteri americani un pittore del XXI^ secolo, che fosse chiamato a celebrare i nuovi fasti. Ma che fosse nel contempo preso dal richiamo delle profonde contraddizioni di quella società. I contrasti stridenti sarebbero probabilmente la chiave di lettura di un affresco che volesse riprodurre gli effetti di un tecno-nazionalismo sempre più esasperato, di una politica anti migratoria violenta, di una società profondamente spaccata tra benessere e malessere, dei disagi distruttivi della droga, di una nuova reboante geopolitica, che sembra riportare ai tempi di Cosimo I, con le appropriazioni territoriali violente degli Europei, dopo le conquiste geografiche.

Forse il nostro pittore potrebbe farlo con un’unica immagine allegorica, cioè con la raffigurazione della Utopia che si affaccia dall’alto delle nubi sulla Distopia, per poi ritrarsi inorridita, con il Timor Panico a correre di qua e di là per l’orbe terraqueo. Pittura troppo astratta o troppo realistica? O io troppo negativa?

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