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Golfo del Messico: di nuovo un meteorite?

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Il Golfo del Messico è un ecosistema unico e rappresenta uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi del pianeta, dal punto di vista naturale, antropologico, storico e narrativo. Per non parlare di strategia ed ecologia.

L’impatto del Golfo

Il Golfo ha anche una rilevanza enorme per regioni lontane come l’Europa. Dalle sue profondità si origina un flusso di acqua calda che influenza positivamente le condizioni climatiche dell’Europa nord-occidentale.

Proprio nell’area del Golfo, 66 milioni di anni fa, si è verificata una devastante armageddon: sul fondale giace il Cratere di Chicxulub, una depressione di 180 km causata dall’asteroide che portò all’estinzione dei dinosauri.

L’impatto astrale innescò un inverno globale, un cataclisma che ha ispirato opere di fiction come il film “The Day After Tomorrow” (2008), dove un’immaginaria corrente gelida proveniente dal Golfo scatena una glaciazione.

In questi giorni si è tornati a parlare molto del Golfo del Messico, ma non per quanto riguarda la storia naturale del pianeta, il cambiamento climatico, l’archeologia o per ragioni legate all’intrattenimento.

Se ne è tornati a parlare per motivi, apparentemente futili, ma in realtà simbolici di una geopolitica che ha riconquistato il centro del dibattito pubblico mondiale attraverso azioni di potenza e cultura di guerra.

Uno degli emblemi dell’egemonia e del potere è proprio la toponomia che è un potente strumento per narrare storie di conquiste, identità e mutamenti culturali. È un eloquente narratore della memoria e del prestigio.

COPERTINA
Questa scena de “Il vecchio e il mare” è un inno alla grandiosità 
della natura. Siamo nel film del 1958 di John Sturges tratto 
dall’omonimo romanzo di Ernest Hemingway. 
L’85enne pescatore cubano Santiago, interpretato da Spencer Tracy 
che da solo regge tutto il film, ha un rapporto simbolico e quasi 
mistico con il mare che lambisce il Golfo del Messico.
Il mare rappresenta la natura con la sua sublime bellezza ma 
anche la sua cieca brutalità. In questo confronto epico, il mare 
diventa un vero e proprio personaggio che suscita stupore, 
impotenza e smarrimento.
Gli stessi sentimenti che devono aver provato molti costieri 
del Golfo del Messico dopo l’ordine esecutivo del nuovo 
presidente degli Stati Uniti d’America a proposito della nuova 
denominazione di questa grande insenatura.

 

Le denominazioni marittime

L’organizzazione intergovernativa mondiale responsabile dell’idrografia non ha ancora stabilito un accordo internazionale per definire protocolli specifici di denominazione delle aree marittime globali.

Ogni governo nazionale può adottare toponimi differenti. Per ottenere riconoscimento internazionale, una nuova denominazione necessita, però, dell’accettazione degli organismi competenti e degli altri paesi.

L’ordine esecutivo americano che rinomina il Golfo del Messico in “Golfo d’America” ha valore legale esclusivamente all’interno degli Stati Uniti, configurandosi come un atto unilaterale.

Il cambio di denominazione avrebbe un senso e una legittimità se gli Stati Uniti potessero disporre di una porzione maggioritaria del Golfo calcolata in termini di acque territoriali e di zona economica esclusiva (ZEE).

In realtà, gli Stati Uniti controllano il 33% della superficie totale del Golfo, mentre il Messico detiene acque territoriali e una zona economica esclusiva che si estende su quasi la metà dell’intera area (il 47%).

L’origine della denominazione

Gli esploratori spagnoli del XVI secolo coniarono il termine “Golfo de México” per identificare l’ampia insenatura che lambisce le coste degli attuali Messico, Stati Uniti e Cuba, definendo un importante spazio geografico-marittimo.

Le prime mappe europee riportanti “Golfo de México” risalgono alla metà del Cinquecento. Il nome México deriva dalla capitale azteca México-Tenochtitlán, conquistata dagli spagnoli nel 1521 e centro del Vicereame della Nuova Spagna.

Secondo una mappa del 1607, mostrata dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum, l’attuale territorio degli Stati Uniti era indicato proprio come “América Méxicana”.

La Presidente, una signora laureata in fisica e molto determinata, ha suggerito, con una punta di ironia, la suggestiva ipotesi di dare piuttosto una nuova denominazione alla nazione nata il 4 luglio 1776: “Mexican America”.

Precedenti e toponimi contesi

Nel 2015, Obama ha utilizzato il potere esecutivo per rinominare una montagna in Alaska, sostituendo “McKinley” con “Denali”, termine athabascano che simboleggia la storia indigena e il riconoscimento delle culture native.

Un intervento dal significato inclusivo e storicamente riparatorio, che la nuova amministrazione ha annunciato che revocherà ripristinando “Mount McKinley”. McKinley è stato il Presidente che ha promosso lo sviluppo della regione.

La denominazione del Golfo del Messico non è l’unica contesa. Paesi arabi come Arabia Saudita ed Emirati preferiscono “Golfo Arabico” a “Golfo Persico”, un toponimo che ritengono rispecchi di più la geografia della regione.

Il bacino tra Brunei, Cina, Malesia, Filippine, Taiwan e Vietnam riceve varie denominazioni: la Cina parla di Mar Cinese Meridionale, il Vietnam di Mare dell’Est, le Filippine di Mare Filippino Occidentale.

In entrambi i casi, la disputa nominalistica riflette complesse implicazioni e conflitti geopolitici, trattandosi di aree strategiche decisive negli equilibri internazionali contemporanei.

Sono 5 secoli che Golfo del Messico porta questo nome. Il revisionismo storico è senz’altro accettabile, ma deve avere un senso storico o interpretativo. Non può essere un atto della mera volontà di potenza.

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