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Suicidio di impresa a Venezia

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Dal Corriere della Sera edizione del Veneto del 20 novembre 2024 apprendiamo la ingloriosa fine del Fondaco dei Tedeschi, finito in mano ai Benetton e a un fondo di Hong Kong dopo che le Poste lo avevano venduto. In 5 anni 100 milioni di perdite e quindi la proprietà ha deciso di chiudere con grave nocumento di centinaia e centinaia di dipendenti. Spesso sentiamo dire che gli investitori esteri non vengono in Italia perché il paese è pieno di burocrazia e corruzione. In effetti in questo caso pare il contrario, vengono e poi quando gli comoda salutano e se ne vanno. Tuttavia, l’aspetto più riluttante è che delle perdite maturate in tanti anni nessuno sapesse niente, ad iniziare dai capitani coraggiosi dei Benetton che da venditori di magliette colorate si sono trasformati in gestori di prestigiose infrastrutture logistiche e commerciali. Difficile saperne di più e di chi è la responsabilità di un siffatto tracollo. Pure le banche mi sembrano del tutto disimpegnate sull’argomento. Insomma, nessuno parla.

Non ho da commentare più di tanto, chiunque rimane attonito ad apprendere che ci si sveglia un giorno e tutto è finito con la distruzione di realtà imprenditoriali che apparivano solide e vitali. Ma forse già dall’inizio la strategia di impresa faceva acqua da tutte le parti con il tentativo di attrarre il turismo asiatico in un centro del lusso a Venezia, il centro del mondo per antonomasia del turismo mordi e fuggi. Strategia che definirei, acchiappa acchiappa e che negli anni ha istituito una nuova città a cui i residenti sono del tutto estranei. Assistono indifesi al brodo di coltura degli esperimenti di impresa senza alcun senso mentre oggi in città si venera la Madonna della Salute, nella Basilica omonima progettata dal Longhena e affrescata da Luca Giordano. La salute come bene supremo e prezioso della vita umana tanto da farne oggetto di ossequio e culto con la costruzione di una Chiesa di straordinaria imponenza e bellezza, voluta per la fine dell’ultima peste che aveva dimezzato gli abitanti di Venezia a fine ‘600.
Anche noi contemporanei abbiamo avuto la nostra peste e ne siamo usciti malconci e abbiamo ben pensato con tanta furbizia di fare un po’ di soldi con i turisti danarosi per ripartire, salvo poi non capire il destino di un simile repentino fallimento.

Quindi, per finire, chiudo con un passo tratto dal libro citato in calce che riporta tanti racconti, veri e immaginari, sui capitani di impresa e banchieri del nostro paese. Uno mi ha colpito più di tutti, Suicidio di impresa.

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