Uscirà in questi giorni l’autobiografia di Francesco Salvio che sotto lo pseudonimo cela una storia vera, un rapporto burrascoso di diversi anni dentro una istituzione pubblica. E’ una storia minimale nel senso inaugurato dalla corrente letteraria (in particolare della narrativa) fiorita negli anni ‘80 negli USA. Gli scrittori minimalisti sono in genere accomunati da un’attenzione continua, a volte ossessiva, alle vicende quotidiane nei loro aspetti più usuali e ripetitivi.
Francesco Salvio è un personaggio che accede in età giovanile a un importante impiego e ci dedica tempo e sacrifici per vivere questa esperienza di lavoro con grande prestigio e dignità. A momenti di successo professionale, subentrano poi nello sviluppo dei fatti altri di caduta libera che lo portano ad abbandonare prima del tempo il rapporto di lavoro. A questo punto la narrazione diventa un coacervo inestricabile di pratiche, amministrative e giudiziarie che con il passare del tempo si trasformano in una vera e propria valanga. Lungi dal sentirsi tormentato e sfinito, Francesco rintuzza con passione e puntiglio ogni passaggio, senza mai deflettere da tale obiettivo. Umanamente ci sentiamo vicini alla sua bonomia e, superfluo dirlo, alle tante ingiustizie subite che lo portano a singolare tenzone con contenziosi di varia natura, previdenziale, amministrativo, ricorsi gerarchici e in opposizione. Gli incarichi professionali di responsabilità e di riconoscimento del merito di Francesco non bastano a raddrizzarne la posizione nel contesto aziendale in cui vive e lavora. Perchè questo accade, a mio giudizio, lo vedremo nel prosieguo della mia recensione che inevitabilmente lascia le vicende individuali per calarsi in quelle istituzionali. Al riguardo, mi vengono in aiuto le prime 30-40 pagine del romanzo con i paragrafi curricula 1, curricula 2….ecc. Esse sono dedicate con grande ironia a come l’Istituzione valuta il merito dei propri dipendenti, quasi in modo militaresco dai generali e poi ai gradi intermedi fino ai componenti delle truppe cammellate.
Si fa di tutto per rendere oggettiva la valutazione del merito (ma poi esiste per davvero o è solo argomento per accademici ?) con esami, incontri, discussioni con il diretto interessato da parte dei valutatori istituzionali che poi corrispondono ai superiori diretti e ai capi delle strutture organizzative. I momenti di valutazione si susseguono con considerevole intensità e frequenza durante l’anno e non vi è nessuna garanzia che non entrino in contraddizione anche se per l’Istituzione è prevalente l’obiettivo di ingraziarsi il personale tutto e le organizzazioni sindacali.E cioè mostrasi arbitro imparziale del destino dei propri dipendenti avendo abiurato, strategicamente, come una blasfemia al principio di discrezionalità.
La storia, ahimè, non finisce qui e le vicende di Francesco narrate con linguaggio al tempo stesso crudo e incline alla comicità, lo stanno a dimostrare.La discrezionalità buttata dalla porta torna dalla finestra e si palesa insopprimibile. Dopo aver effettuato con lode una serie di incarichi ispettivi presso banche di varia dimensione e complessità torna ad occuparsi di questioni amministrative e segretariali, un saltellante e confuso viluppo.
E chi avrà mai la forza di disfarli?
In realtà, nelle società pubbliche che non agiscono sul mercato è difficile avvalersi di variabili economiche e finanziare cui ancorare i giudizi sul personale. Inoltre, in organizzazioni, per quanto prestigiose, prevale l’effetto camino, tipico delle organizzazioni militari. Si brucia tutto e in modo non uniforme per assicurare in modo perseverante la continuità di chi ha il potere.
Dunque, il peso della struttura, delle tradizioni, dei riconoscimenti esterni è talmente forte e presente da annullare quasi i profili individuali e le competenze professionali. Ovviamente patrimoni qualificati di conoscenze esistono in molti dipendenti ma non trovano sempre adeguato riconoscimento se prevale la logica militare di chi comanda e chi obbedisce.
Per queste ragioni ne consiglio la lettura che induce a riflessioni non banali su come sono organizzati i soggetti pubblici, sul tempo che si perde per stare dietro a frizioni di carattere personale, sullo sviamento della ragion d’essere delle loro tante ed estese funzioni, sul principio di responsabilità. In sostanza, un libro che dovrebbe interessare tutti.