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Il decennale di una piccola censura e di una falla nei pagamenti digitali

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Può il semplice esame di un singolo link raccontarci una orribile storia di censura, e dei suoi perduranti effetti sulla cultura e su tutti noi?

Nella prosa di Cassandra ci sono temi ricorrenti che brillano per la loro piccolezza e non-attualità. A ben vedere però, è la definizione che diamo di “attualità” ad essere bacata, perché ci porta inevitabilmente a sottostimare e trascurare quello che avviene tutti i giorni, da decenni, tutto intorno a noi. E la “piccolezza” può essere come quella della punta di un iceberg

Infatti se l’evoluzione rapidissima delle tecnologie digitali ed un marketing deleterio, fatto di obsolescenza programmata, progettazione non riparabile e termini osceni come “Proprietà Intellettuale”, da una parte aggravano questa situazione, dall’altra la nascondono agli occhi di chi non è particolarmente motivato sulla questione.

L’esempio di oggi è la sorte di un piccolo gruppo di link, aggrediti e soppressi, poi rispuntato fuori, ed oggi in un precario stato di salute, storiella che, a leggerla con attenzione, può raccontare una morale interessante, ma soprattutto istruttiva.

Chissà, forse addirittura contribuire a risvegliare una coscienza sopita.

Ormai che anche i 24 irriducibili lettori cominciano a sbuffare, è il momento di passare alla cronaca.

Slashdot ha pubblicato un’elegia per Ross Anderson, professore e luminare, da poco morto.

Una delle sue meritorie opere è aver svolto un ruolo centrale nell’aiutare e poi nel difendere dall’aggressione di un Re Denudato uno dei ricercatori che avevano scoperto una falla fatale nella più nuova e sicura tecnologia di pagamento elettronico. Tecnologia dell’epoca, però; infatti parliamo del 2010, lontanissimo per molti, ma vicino nella scala dei tempi di Cassandra.

Brevissimamente, una delle prime tecnologie di carte di pagamento intelligenti, la tecnologia “Chip&PIN”, si era rivelata fallata in maniera irreparabile, addirittura a livello di protocollo, e quindi violabile con un banale attacco Man-In-The-Middle. La falla, nota come “No-PIN”, permetteva di utilizzare una carta clonata o rubata senza conoscere il PIN di sicurezza.

Omar S. Choudary, dottorando della Università di Cambridge (mica pizza&fichi!) aveva appunto svolto la sua tesi di dottorato realizzando un semplice device che permetteva di rilevare e contrastare tale attacco, ma anche, ovviamente, di eseguirlo.

Un consorzio di banche ha agito, come da sempre succede in questi casi, non ringraziando ma cercando di zittire la voce del ricercatore, diffidando la sua università, con una lettera di minaccia di azione legale, a rimuovere tutti i materiali pubblicati, inclusa la tesi suddetta.

Probabilmente anche grazie al compianto professore dalla spina dorsale ben dritta, l’Università di Cambridge ha prima rifiutato e poi pubblicato tutta la storia, supportando in pieno il ricercatore e la sua ricerca. Non è una cosa scontata; tutti ricorderanno la triste storia di Aaron Swartz e del M.I.T. come ahimè frequentissimo e quasi “normale” controesempio.

Per tacer poi di tanti hacker che, tentando di fare una pubblicazione responsabile di altrui malefatte tecnologiche, si sono ritrovati in guai legali, se non dietro le sbarre.

Per tacere anche di quelli che, comprensibilmente, trovata una falla hanno scelto di stare zitti, autocensurandosi ed abbandonando tutti noi ai malfattori.

Una storia a lieto fine quindi? Si e no, non siamo ancora arrivati al punto.

Eseguendo un’attività semplice, ma non banale e comunque molto importante, andiamo a vedere la sorte dei link che dovrebbero, ancor oggi, permettere di consultare i documenti e gli articoli di questa nostra storia.

Possiamo constatare che, in questo caso ovviamente, i link alla tesi di dottorato ed alle prese di posizione del professore e dell’Università sono ancora integri e funzionanti, come c’era da attendersi.

Ma possiamo constatare pure che la semplice obsolescenza ha invece spezzato quelli del link al blog del ricercatore; utilizzando il mai abbastanza lodato Internet Archive abbiamo comunque la possibilità di recuperare la pagina in questione nelle sue varie versioni storiche. Una ricerca più profonda permette poi di trovare il nuovo link che punta al suddetto blog, per fortuna ancora vivo e vitale nel web.

Si potrebbe quindi concludere che solo del grave ma comune problema della morte “naturale” dei link si tratta; un tema carissimo a Cassandra, che ne ha già esternato qui e qui.

Ed invece, semplicemente scavando ancora, si trova il boccone amaro, il vero e pessimista finale di questa esternazione.

Infatti, se ricerchiamo gli articoli apparsi sulla notizia in siti istituzionali “forti”, come quello della BBC, ancora la troviamo, mentre se li ricerchiamo nelle testate giornalistiche digitali, come ad esempio il Telegraph.co.uk, un bel 404 — Page not found ci accoglie.

Poco ci conforta constatare che per molti di essi, come appunto quello del Telegraph.co.uk, Internet Archive giunga ancora una volta in nostro soccorso.

Addolora invece constatare che, anche in una storia a lieto fine come questa, chi di mestiere fa il giornalista ha apparentemente “”ceduto “ad una richiesta iniqua, ed addirittura a lui non diretta.

Perché? Forse per un rispettabilissimo, anzi magari imposto dalla testata, principio di cautela, un desiderio di quieto vivere, iniquo dato il mestiere esercitato. Poi la “rimozione” è passata nel dimenticatoio, e nemmeno il lieto fine non è servito ad annullarla.

Ed anche questo ha lasciato una cicatrice, piccola ma ancor oggi visibile, nel web e nella cultura.

Cicatrice certo piccola, in questo caso, ma che implica l’esistenza di ben altre cicatrici, più grandi e più profonde, che evidentemente esistono, ma che nemmeno riusciamo a rivelare o quantificare.

Povera cultura. E poveri noi!

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