Home Mondo I racconti della Sura: Jean (o di una nuova utopia)

I racconti della Sura: Jean (o di una nuova utopia)

526
0

Jean è un involvolo maschio molto giovane. È passato direttamente dal corpo di sua madre ad una grossa colonia di involvoli, un groviglio di carne nel quale non si riesce a distinguere chi è chi. Da subito ha capito che nella colonia c’è cibo e qui deve stare. La commistione dei corpi è vita, la forma cilindrica della specie ben si adatta a questo aggregamento, stare avvolti gli uni con gli altri significa godere del grasso comune che nutre la pelle. La sostanza della colonia è un organismo unico che si contorce su se stesso e si nutre delle deiezioni di tutti. Un meccanismo perfetto, un capolavoro di auto sostentamento che consuma una minima quantità di materia. Nella colonia ognuno vuole bene al prossimo poiché ogni singolo determina e sostiene la vita e la sopravvivenza degli altri.
Il tepore e lo scivolamento, la frizione delle varie identità produce uno stato di benessere che mantiene la vitalità del gruppo, nonostante il continuo lavorio che ne permette la sopravvivenza. Lo sfregamento innesca un piacere quasi sessuale, questo a sua volta consente di sopportare il lavoro, quasi obnubilando le volontà. La colonia è un grande laboratorio culinario nel quale si mangia, si digerisce e si mangia di nuovo il materiale appena espulso. Non esiste inizio e non esiste fine.
Il ciclo continuo dell’esistenza degli involvoli non lascia spazio al ragionamento, tutto è già pronto, prepensato, concatenato perfettamente. Non esiste il sonno ma periodi di leggera incoscienza nei quali si continua comunque a inghiottire. E defecare.
Il gruppo sociale è forte, coeso, sempre più ricco di elementi, una palla semovente che si ingrandisce e si contorce nel suo grasso vitale, composto da deiezioni che vengono nuovamente ingurgitate e alimentano la deposizione di uova. Il silenzio è inghiottito dal suono continuo della masticazione, un rumore di fondo prodotto da mascelle voraci che ingurgitano, dilatando e contraendo il tubo digerente della conformazione degli involvoli. Mai un suono diverso, mai una sommossa, la pace continua e ininterrotta lascia che la palla cresca e invada sempre nuovo spazio.
Col tempo la posizione di Jean si è trovata casualmente convergente e potentemente avvolta a quella di Pierre, un giovane involvolo maschio come lui. Mai una parola, naturalmente, ma il loro contatto si è stabilizzato e le mascelle si muovono in sincrono infinitesimale, provocando in Jean una sensazione di appartenenza alla comunità che non aveva mai provato. L’abitudine della vita per la mera sopravvivenza di se stessi ha trovato una diversa accezione nella condivisione consapevole di spazio e tempo con un essere al pari di Jean. Ora c’è più entusiasmo nella sua masticazione , lo scopo di progredire diventa comune, forse per la prima volta mirando oggettivamente alla consapevolezza di essere parte di un gruppo.
Per Pierre deve essere lo stesso. Nella colonia non si può sorridere, per la verità la conformazione fisica degli involvoli neanche permette di farlo, ma si ha l’impressione che Pierre stia sorridendo a Jean. Si notano in lui cambiamenti notevoli, una esuberanza che non è tipica della specie fa sì che le sue mascelle siano allentate, che si indeboliscano e non triturino a sufficienza la sostanza, rendendola di conseguenza più difficilmente digeribile. La cosa non è di poco conto e non sfugge alle alte sfere della colonia, agli addetti alla digestione e agli alti quadri dirigenti che si occupano della fluidità delle deiezioni. Inoltre il rilassamento di Pierre ha prodotto una quantità preoccupante di ormoni del piacere che va oltre la soglia che determina il buon funzionamento della colonia.
L’ormone incriminato, entrando in circolo, come si propagasse nel liquido amniotico della colonia, contagia per primo l’involvolo Jean, rallentando anche la sua forza e capacità mascellare, per espandersi in cerchi concentrici dall’interno verso l’esterno. Il rischio di contagio è al limite dell’allarme per la sopravvivenza stessa della colonia. Il colonnello Louis de Volvole in persona, dopo un tentennamento iniziale, è costretto a intervenire a piè teso con la pesante repressione della chimica organica specializzata del dipartimento RID, acronimo di Repressione Involvoli Dissidenti, per la verità mai entrato in azione empiricamente in precedenza.
L’intervallo fra l’adozione del provvedimento e la sua attuazione è concitato, non esistono casi precedenti che servano da guida, ai quali appigliarsi per essere ragionevolmente certi sul successo dell’azione. Ma tanto è, bisogna procedere. All’interno dell’involucro che contiene l’intera colonia viene iniettato a dosi massicce l’ormone responsabile del totale rilasciamento delle sinapsi recettive che trattengono la volvosepina nei gangli nervosi.
Qualche attimo di attesa, il fiato sospeso, le grosse antenne della dirigenza sintonizzate sul comportamento in evoluzione della colonia. La reazione è inaspettata; ogni singolo individuo avverte una detonazione interna che li scoraggia e li spinge a lavorare, a utilizzare ogni più recondito brandello della loro energia in uno sforzo enorme di masticazione, digestione, defecazione. E di nuovo, ancora più prepotentemente, fino a lanciare la macchina defecativa a livelli sbalorditivi. E Pierre, Jean, l’intera comunità di involvoli cominciano a produrre tanta, troppa cacca, una quantità eccessiva che interrompe il perfetto equilibrio consequenziale della colonia e altera irrimediabilmente i valori produttivi del grande budello nel quale ad ogni azione deve corrispondere una opposta reazione di pari intensità.
Un tremito improvviso percorre la popolazione involvoliana, come un terremoto che si propaga, come un domino che modifica la componente alcalina della colonia. L’onda d’amore è stata repressa ma, parallelamente, se ne è innalzata una altrettanto forte, una miscela di paura e iperattività ha innalzato la masticazione in una laboriosità contagiosa senza precedenti. Il materiale sminuzzato, finemente tritato, passa attraverso un numero incalcolabile di involvoli e, appena dopo pochi passaggi, produce una quantità centuplicata di cacca.
Tutta quella cacca è paura che preme e spacca il budello pulsante di involvoli sovreccitati e li lascia fuoriuscire, sparati in uno spazio altro, che nessuno di loro aveva neppure immaginato.
La forza del materiale che fuoriesce dalla bolla esplosa spinge gli involvoli in mille direzioni; atterrano in luoghi ostili, soli o aggregati in gruppi sparuti. Il terreno che li accoglie è inospitale, duro, asciutto. Il grasso sprigionato dallo strusciamento delle loro superfici si consuma rapidamente. Hanno bisogno di ricongiungersi, di trovare un rifugio umido, untuoso, molle. Manca loro il connubio, il groviglio. Non sono esseri progettati per la solitudine, la loro socialità è intrinseca alla vita.
Lo spazio vuoto è inconcepibile. Manca la deiezione, la materia da masticare, digerire e rigenerare. Manca loro la vista, per vivere nel nuovo ambiente, che la loro vita è stata fino ad ora “ad occhi chiusi”. E improvvisamente tanta luce li abbaglia.
Continuano a cercarsi contorcendosi, la paura li rende meno flessibili, quasi rigidi.
E’ così che gli involvoli, guidati dalla loro peculiare capacità di adattamento sapientemente mescolata con la propensione verso i luoghi umidi, seguendo i dettami stampati nel DNA di ogni specie, dapprima casualmente, man mano sempre più consapevolmente, raggiungono rivoli di acqua di scarico che li conducono inesorabilmente verso le fognature.
Qualcuno non ce la fa, qualcuno muore seccato dal sole o schiacciato da qualche piede inconsapevole, la maggior parte degli individui della colonia riesce a raggrupparsi in grappoli più piccoli dell’insediamento originale, ma consapevoli di appartenere gli uni agli altri e capaci di fondare entità autodeterminatesi.
Oggi gli involvoli si sono evoluti coscientemente in una specie libera; le loro caratteristiche si sono affinate e, senza costrizioni, al netto di qualsiasi oppressione, hanno dedicato la loro esistenza alla depurazione di tutte le deiezioni del mondo, nelle cloache di ogni città, paese, piccolo villaggio o aggregazione sociale della terra, in cambio soltanto della libertà e della luminosità che viene loro dall’esistere e lavorare fianco a fianco, tutti, per la realizzazione e la valorizzazione della vita, in ogni sua forma. Jean e Pierre, inutile dirlo, hanno dato vita a una numerosa progenie di involvoli evoluti.

Buona luce a tutti!

© Sura Bizzarri

Previous articleL’inaccettabile fragilità delle infrastrutture
Next article“Un altro ferragosto”, il nuovo film di Paolo Virzì

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here