Recentemente il Parlamento Europeo si è speso molto nella promozione delle pratiche di consumo sostenibili. Perché la transizione alla economia circolare richiede un cambio di logiche sia nella produzione che nel consumo. Con una piena maggioranza – ma anche qualche contestazione – l’Unione Europea ha approvato una nuova proposta di direttiva volta a contrastare il greenwashing. Una direttiva per eliminare le dichiarazioni ambientali ingannevoli e a migliorare l’etichettatura dei prodotti: un altro passo avanti verso una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini. Le nuove regolamentazioni vietano l’uso di termini vaghi come “eco” o “biodegradabile” senza prove concrete di un loro corretto utilizzo e introducono regole più severe per l’uso di termini di sostenibilità, limitandoli a quelli basati su certificazioni riconosciute o emesse da autorità pubbliche.
In aggiunta, la direttiva punta a ridurre l’obsolescenza precoce dei prodotti, imponendo regole più stringenti sulla pubblicità e sulle informazioni relative alla durabilità e alla riparabilità. Le aziende dovranno assicurare che le informazioni sulla garanzia siano facilmente accessibili e veritiere e sarà vietato promuovere la sostituzione inutile di beni di consumo. Queste misure rappresentano un passo significativo verso un’economia più verde, per la tutela dei consumatori e la sostenibilità ambientale.
In pochi mesi la popolarità delle questioni ESG, cioè Ambientali, Sociali e di Governance è cresciuta enormemente. Si potrebbe pensare che sia una cosa buona, se non fosse che ancora chi fa impresa e chi comunica lo faccia con mentalità e strumenti datati. Vediamo cosa si nasconde tra le pieghe della comunicazione sulla sostenibilità a fini aziendali.
Parliamo cioè di pratiche scorrette, ingannevoli, per propagandare scenari e modalità distanti da quello che dovrebbero essere comportamenti virtuosi. Di esse esistono vari tipi, raggruppati sotto i tre ambiti principali dell’ESG. E’ utile conoscerne la definizione, per individuarle e difendersi da esse.
In ambito ambientale (la E di ESG) abbiamo:
Greenwashing
Rappresenta l’atto di ingannare consumatori o stakeholders facendo apparire un’azienda o un prodotto più ecologico o sostenibile di quanto sia in realtà. Le aziende possono ingannevolmente pubblicizzare prodotti o politiche “verdi” per distrarre dall’impatto ambientalmente dannoso delle loro operazioni principali.
Greenshifting
È quando un’azienda o un’entità sposta la responsabilità delle questioni ambientali sui consumatori o su altri attori, anziché affrontare o mitigare direttamente l’impatto ambientale delle proprie operazioni o dei propri prodotti.
Greencrowding
Si verifica quando un mercato o settore diviene saturo di prodotti che sono etichettati come verdi o sostenibili, rendendo difficile per i consumatori distinguere tra vere azioni ambientali e operazioni di greenwashing.
Greenlabeling
È il processo di etichettatura di prodotti o servizi con dichiarazioni, sigilli o certificazioni che suggeriscono benefici ambientali. Se fatto correttamente e onestamente, può aiutare i consumatori a fare scelte più sostenibili. Tuttavia, può confinare con il greenwashing se le etichette sono ingannevoli o esagerate.
Greenlighting
Questo termine non è standardizzato come gli altri, ma potrebbe essere interpretato come l’approvazione o il via libera a progetti o iniziative che sono veramente sostenibili e benefici per l’ambiente.
Greenrinsing
Si riferisce a una forma di greenwashing in cui un’azienda rimuove o riduce alcune pratiche non sostenibili, ma lo fa in modo minimo o superficiale, senza apportare cambiamenti significativi o di fondo alla propria impronta ambientale.
Greenhushing
È quando un’azienda evita di pubblicizzare le proprie iniziative ambientali. Questo può essere dovuto al timore di essere accusati di greenwashing o perché l’azienda preferisce sottovalutare le proprie azioni sostenibili per evitare attenzioni indesiderate o ulteriori pressioni.
Esistono pratiche scorrette e/o ingannevoli anche nel contesto del sociale (la S di ESG), note fin dalla introduzione della responsabilità sociale d’impresa (CSR) o dell’etica aziendale. Ecco le principali:
Social Washing (o Whitewashing)
Analogamente al greenwashing, il social washing si verifica quando un’azienda cerca di apparire più socialmente responsabile di quanto sia in realtà. Le aziende potrebbero pubblicizzare iniziative di CSR o supporto a cause sociali in modo esagerato, distogliendo l’attenzione da pratiche aziendali poco etiche o dannose.
Diversity Washing
Questo termine si riferisce a quando un’azienda fa dichiarazioni pubbliche o iniziative per promuovere la diversità e l’inclusione, ma queste azioni sono superficiali o non riflettono un impegno reale per un cambiamento sostanziale nella cultura aziendale o nelle pratiche di assunzione.
Cause Marketing
Mentre il cause marketing può essere una pratica legittima e benefica, in alcuni casi può confinare con il social washing se un’azienda enfatizza eccessivamente il proprio supporto a una causa sociale senza un significativo impatto o contributo alla causa stessa.
Ethical Washing
Si verifica quando un’azienda promuove la propria etica o moralità, spesso in risposta a critiche o scandali, senza apportare veri cambiamenti alle proprie politiche o comportamenti.
Virtue Signaling
Mentre non è un termine esclusivamente aziendale, il virtue signaling si verifica quando un’individuo o un’organizzazione fa dichiarazioni pubbliche intese a mostrare la propria bontà o moralità, ma senza azioni sostanziali che sostengano queste dichiarazioni.
Infine vediamo alcune pratiche anomale anche nell’ambito della governance aziendale (la G di ESG). Possono essere considerate forme di “governance washing”, dove un’azienda cerca di apparire responsabile e trasparente nella sua struttura di governance, senza implementare realmente pratiche solide ed etiche. Ecco alcuni dei comportamenti più conosciuti:
Governance Washing
Questo termine si riferisce alle azioni intraprese da un’azienda per apparire come se avesse una governance aziendale solida e responsabile. Questo può includere l’adozione di politiche di governance che sono solo di facciata o non vengono effettivamente messe in pratica.
Transparency Washing
Aziende che pubblicizzano una grande trasparenza nelle loro operazioni o decisioni, ma in realtà offrono solo informazioni selettive o fuorvianti, possono essere accusate di transparency washing.
Accountability Washing
Simile al transparency washing, l’accountability washing si verifica quando un’azienda afferma di essere responsabile nei confronti dei propri stakeholder, ma non prende misure concrete per dare conto delle proprie azioni o per correggere pratiche problematiche.
Compliance Washing
Questo termine si riferisce al caso in cui un’azienda afferma di aderire rigorosamente a leggi e regolamenti (ad esempio, in materia finanziaria, ambientale o di lavoro), ma in realtà segue questi standard solo al minimo o cerca attivamente modi per aggirarli.
Ethics Washing
Simile all’ethical washing nel contesto sociale, ma specificamente focalizzato sulla governance aziendale, riguarda aziende che promuovono una forte etica aziendale, magari attraverso codici di condotta o comitati di etica, ma non integrano questi principi nelle decisioni aziendali quotidiane.
È chiaro che nonostante la crescente popolarità dell’ESG e le idee molto nette dell’Unione europea in materia di “futuro migliore”, le aziende e i consumatori debbono accelerare la loro disposizione verso la transizione verde, senza tentare di barare o di rinviare il passaggio a obiettivi più rispettosi dell’ambiente, delle responsabilità sociali e del governo etico dell’impresa. È l’ora, adesso per un’economia circolare effettivamente rigenerativa.
Articolo di indubbio interesse, secondo la logica fatta la legge e trovato l’inganno. A chi segnalare fenomeni del genere, all’AGCM che istituzionalmente si occupa di pratiche commerciali scorrette (tipo la Ferragni). Sarebbe l’utile saperne di più anche con degli esempi di interventi delle autorità, se del caso.