Il bell’articolo di Elena Tempestini su questo sito Dall’allegro al tragico: stupidità e assurdità che ci hanno reso straordinariamente normali, mi ha fatto riprendere in mano un saggio di qualche anno fa dal titolo “Il paradosso della stupidità – Il potere e le trappole della stupidità nel mondo del lavoro” (Raffaello Cortina Editore, 2017, €19). E’ scritto da due esperti di organizzazione d’impresa: Mats Alvesson e André Spicer.
Il tema generale della stupidità, come ci ricorda Tempestini, non è nuovo, se si pensa alle “divertenti, ma non troppo” leggi sulla stupidità umana dello storico Carlo Maria Cipolla (stupido è chi agisce danneggiando contemporaneamente se stesso e gli altri) o a citazioni taglienti come quella di Ennio Flaiano:
“Niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatta: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo.”
O addirittura ci fa tornare in mente il paradosso irriverente di Einstein:
La stupidità funzionale
Ma torniamo al libro e guardiamo alla questione dalla prospettiva dell’impresa. Partendo da un’affermazione impietosa e provocatoria (molte delle principali organizzazioni, anziché essere ad alto contenuto di conoscenze, sono divenute fucine di stupidità), Albesson e Spicer sviluppano il tema della stupidità funzionale, cioè della tendenza a ridurre la portata del pensiero critico a vantaggio degli aspetti tecnici del lavoro, disincentivando la riflessione su finalità e contesti di maggiore complessità. Il lavoro prosegue, criticando un efficientismo, dove si perde un po’ alla volta lo stimolo a fare domande e a proporre soluzioni.
Questa attitudine può determinare effetti positivi nel breve periodo (svolgimento ordinato della quotidianità, sensazione di utilizzare efficacemente il tempo, precisione nella attribuzione di ruoli e mansioni, verticalità spinta dei processi), ma può rappresentare un fattore di disequilibrio a lungo termine (per gli effetti negativi sulla creatività, sulle capacità di previsione, sulle scelte strategiche). Insomma seppure vi sia una logica, il paradosso della stupidità funzionale costituisce una trappola nella quale cadono molti manager, per cui non deve stupire che persone intelligenti facciano cose stupide.
Situazioni, caratteri e comportamenti, intorno a temi quali l’assunzione di iniziative, la premialità dello spirito critico, il disvalore della passiva obbedienza, il beneficio della condivisione degli obiettivi ruotano attorno alla attitudine a coinvolgere il personale nelle scelte strategiche, gestionali, organizzative.
I caratteri della stupidità funzionale
Nei fatti i mezzi tramite le quali si fa ricorso alla stupidità funzionale sono l’autorità, la seduzione, la naturalizzazione e l’opportunismo.
L’esercizio dell’autorità si manifesta attraverso l’attribuzione di ricompense o di punizioni e ci riporta alla gerarchia degli ambienti militari, in una catena dove conta l’esatta esecuzione di compiti assegnati, sotto il comandante di turno. L’impresa non è però una caserma. E questo dovrebbe essere sufficiente per capire che la strada è da evitare o abbandonare, se per caso si fosse intrapresa.
La seduzione si attua invece attraverso storie di prodezze aziendali o di primati di autorevolezza e si presta ad esercitare ascendente, eccitando l’entusiasmo dei dipendenti. Aderire a tale contesto fornisce motivo di orgoglio, ma anche la percezione che l’acquiescenza è un fattore connaturato a questo appeal. L’assunzione di posizioni critiche può addirittura portare all’accusa di “sputare nel piatto dove si mangia”, avendo l’ardire di mettere in dubbio l’autorevolezza dell’istituzione alla quale non ci si può che onorare di appartenere. La loyalty, la lealtà assoluta in contrapposizione alla voice, come espressione di dissenso, diceva Hirschman, è premiante rispetto ai comportamenti che, trasgredendo la norma o la cultura dominante, sono penalizzati. L’autoreferenzialià segna i rapporti esterni e interni all’impresa. E’ una sorta di campare di rendita basato sul prestigio dell’appartenenza. L’autocritica è bandita e il riconoscimento dell’errore non appartiene ad una visione del genere. Ne risulta amputata la spinta a rinnovarsi, confrontandosi criticamente con il proprio contesto di riferimento, prendendo le distanze da decisioni che si sono mostrate inadeguate ad affrontare i problemi.
Naturalizzazione vuol dire invece affidarsi alla prassi del precedente, dell’abbiamo sempre fatto così o del così fanno tutti, trovando conforto in questi rassicuranti messaggi, e ritenendo, per converso, che allontanarsene possa essere un’azione autolesionista. Una inutile ribellione che non porta a nulla di buono. Ci vengono in mente citazioni famose sul rischio del cambiamento, la più nota delle quali è la machiavelliana motivazione secondo la quale:
“Non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose. Perché il riformatore ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo”.
L’ultimo sistema di diffusione della stupidità funzionale è l’opportunismo, alimentando l’interesse egoistico del singolo. Una concorrenza tra individui che incita a prassi scorrette, perché si ritiene che la concorrenza, per quanto di basso profilo, sia sempre da preferire alla cooperazione. Neanche organizzazioni che si proclamano votate alla eccellenza sono esenti da questo carattere, che induce a comportamenti improntati al carrierismo. Il calcolo della convenienza individuale fa venir meno i caratteri della trasparenza, dello spirito critico e della condivisione delle responsabilità.
Ovviamente come avviene in ogni classificazione anche questa rischia di essere rigida, trascurando i comportamenti trasversali, cioè riconducibili a più d’uno dei quattro caratteri illustrati.
Vorremmo in ogni caso enfatizzare anche i tentativi di contrapporsi a questi schemi, evidenziando gli atti di coraggio aziendale nei confronti di sistemi segnati da errori o irregolarità. Sono soggetti, che uniti dal dubbio delle azioni da compiere, vivono spesso un conflitto lacerante, prima di giungere al convincimento della giustezza del proprio agire, accettandone i costi.
La disponibilità a pagare il prezzo del disallineamento si trasforma in una tensione emotiva che può raggiungere picchi altissimi e tradursi in danni personali e aziendali, se va a scapito della lucidità delle azioni da compiere.
Il ruolo della prevenzione
Un punto nel quale la stupidità funzionale produce conseguenze negative per le organizzazioni è quello di scoraggiare atteggiamenti che limitano la capacità di anticipare eventi negativi, ritardando l’applicazione di fattori correttivi.
Una cultura aziendale di acritica positività, come pure un ambiente di autocompiacimento possono impedire il riconoscimento di problemi, prima della loro ineluttabile manifestazione. Gli effetti della mancata prevenzione sono forme di conservazione dello status quo.
L’assenza di prevenzione è il punto di sintesi di ogni fallita soluzione. In essa si realizza la mancata consapevolezza del progressivo deterioramento delle situazioni. Ecco perché i segnali dei disequilibri vanno discussi tempestivamente, senza infingimenti, evitando di conculcare atteggiamenti che paiono sul momento scomodi, per semplice amore del quieto vivere, per un ottimismo di maniera, per un malinteso senso di riservatezza o di prudenza o semplicemente perché soltanto il capo ha titolo a parlare di criticità.
D’altro canto, un contesto basato sulla sollecitazione delle soluzioni ai problemi dell’impresa raramente è frutto della visione illuminata del singolo, ma di un contesto educato a questa finalità. Il fatto rilevante è che quanto più stimoli la creatività e la libera espressione del pensiero applicato alle fattispecie aziendali tanto più devi orchestrare i ruoli di ognuno dei potenziali interessati.
Trasversalità e orchestrazione dello spirito critico
Seguire tale approccio fa sì che il trend auspicabile sia di natura intersettoriale, che coinvolga esperienze, conoscenze e competenze diverse.
Orchestrazione delle risorse e programmazione delle priorità diventano due facce della stessa medaglia, necessarie per sconfiggere elementi quali l’ansia dell’urgenza, le azioni svolte in emergenza, le eccessive speranze e le connesse delusioni per la conclusione di un business cui si tiene particolarmente.
L’improvvisazione è fonte di confusione di ruoli, di demotivazione, di mancati riconoscimenti delle competenze, di processi approssimativi. Cogliere la differenza tra ciò che è urgente e ciò che è importante serve a bilanciare le due istanze, perché se le prime richiedono immediata attenzione, le seconde contribuiscono al successo nel medio e lungo termine. La fiducia attraverso l’attribuzione di responsabilità induce i membri della squadra ad appropriarsi del problema e ad applicarvi le proprie capacità. Allineare responsabilità e capacità è di fondamentale importanza. La corretta gestione del tempo è il terreno sul quale tale rapporto si esercita.
Le proposte non debbono discendere esclusivamente dai vertici aziendali, quali portatori di potere, ma nascono dalla costruzione di un ambiente che riceve i giusti stimoli di molti, per sviluppare idee innovative e assicurare il coordinamento delle risorse necessarie.
La conoscenza e l’assimilazione dei motivi per i quali vengono individuati chiari obiettivi evita la dispersione e alimenta il fermento della creatività, che è il modo di essere del capitale umano.
Il tema delle risorse da recuperare alle occorrenze della impresa sarà questione vitale dei prossimi anni, non soltanto relativamente al capitale umano, ma anche al capitale circolante, al capitale fisso e al capitale naturale. Recuperare inefficienze può essere il focus attorno al quale indirizzare l’azione collettiva.
Stupidità del protagonista unico
L’impresa, senza retorica, è la somma di contributi di tante parti. Invece troppo spesso vediamo avanzare la figura del protagonista unico. A dirla benevolmente della figura con il volto dell’eroe romantico, a dirla in termini più crudi di un solipsista che fa e disfa a sua discrezione, che impone e comanda, che rifiuta ogni visione diversa dalla sua, che efficienta, il che significa che nelle sue strategie d’impresa non va oltre i licenziamenti, il ridimensionamento, la rimodulazione verso il basso.
Molte sono ancora le maschere di despoti, di narcisi, di imbonitori, figure che, per qualche tempo, si sono ammantate di un’aura di potere o che si sono dichiarati in possesso di capacità imprenditoriali eccezionali, salvo poi scoprirne i bluff.
Si dirà che l’impresa è anche il campo naturale di queste sconsideratezze. Che è fisiologia dell’impresa. Ma bisogna prendere atto che le probabilità di errori anche determinanti sono maggiori, rispetto al caso di una leadership che mantenga il focus sulla mobilitazione di tutte le risorse disponibili, mostrando flessibilità nell’adattarsi alle variazioni di contesto.
Incentivi alla creatività
Sollecitare sistematicamente proposte al proprio team significa arricchire la gamma delle soluzioni disponibili, realizzando chiare strategie di governance. Ora è meglio fermarsi qui, per non scadere in qualche ovvia lezione di management, di cui vi è abbondanza di manuali dediti a geometriche rappresentazioni del buon governo dell’impresa.
Senza pretese di generalizzazioni e teorizzazioni, riflettere su distonie, contraddizioni, eccessi ed errori generati dalla stupidità funzionale possa essere utile per favorire creatività, libertà di espressione e sano uso delle risorse. A chi sembrerà di vedere riferimenti alle teorie di Kahnemann e di Thaler, premi Nobel dell’economia di anni recenti, sulla economia comportamentale, sulla influenza che gli aspetti emotivi esercitano sui processi decisionali, sul peso dei pregiudizi cognitivi e di tutte le deviazioni dalla sfera della razionalità economica, sappia che il libro va in questa direzione.
L’auspicio è che le trasformazioni che tutti si aspettano relativamente al rinnovamento digitale dell’impresa attengano anche alle modalità di organizzazione e di gestione del suo capitale umano.
L’interessante ariticolo sviluppa un’attenta e sagace disamina sulle diversita’ che convivono nell’ambito di qualsivoglia sistema dinamico.
Le casistiche schematizzate nei quattro quadranti prospettati dalla “Teoria Cipolla” (Cfr. Talbella allegata al citato articolo di Elena Tempestini – rispettivamente: a)Intelligente, b)bandito, c)sprovveduto e d)stupido), rispondono ad distinte accoppiate aggettivanti (rispettivamente: a)vantaggioso per se e per gli altri, b)vantaggioso per se e dannoso per gli altri, c)vantaggioso per gli altri e dannoso per se, d) dannoso per se e per gli altri), che tendono a bilanciarsi tra loro; mantenendosi in un equilibrio generale che, sostanzialmente, rende possibili le coesistenze rispondendo anche alle ormai sperimentate leggi quantistiche della fisica moderna.