Bellissima mostra dedicata a Italo Calvino per il centenario dalla nascita che si tiene alle Scuderie del Quirinale. Il sottotitolo colpisce per la sua aulicità: il mondo come opera d’arte. E la mostra mantiene questa promessa. Calvino assorbe e rimanda tutto quello che il mondo dell’epoca esprimeva:arte, musica, scrittura. Poliedrico forse anche troppo, egli riesce ad imprimere un suo stile avventuroso e fantasioso e pure terribilmente realistico a tutto quel che fa.
E non solo perchè come ha ricordato in una intervista il massimo del tempo della mia vita l’ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei. Con Einaudi crea collane editoriali per proporre testi italiani e stranieri di varie epoche che hanno in comune il genere da lui amato del racconto lungo o del romanzo breve. Egli rimane legato ad Einaudi per oltre quarant’anni.
Spesso la pagina diventa talmente incomprensibile che la devo ribattere….scrivo a mano e faccio moltissime correzioni…con una grafia molto minuta. Alla nostra epoca, capire come Calvino scriveva è un viaggio affascinante che sa di antico, di lavoro e di tormento sulla pagina bianca perchè sente il bisogno da uomo maturo di confermarsi come essere umano.
Nella sua celebre trilogia, l’immaginifico del Barone che vive sugli alberi, del Cavaliere inesistente ferito nell’onore, del Visconte dimezzato per una cannonata raggiunge quasi per paradosso la narrazione e l’immersione nel nostro mondo contemporaneo.
È chiaro che oggi viviamo in un mondo di non eccentrici, di persone cui la più semplice individualità è negata, tanto sono ridotte, a una astratta somma di comportamenti prestabiliti. Il problema d’oggi non è ormai più della perdita d’una parte di se stessi, è della perdita totale, del non esserci per nulla.
Pochi e sparuti visitatori alla mostra che presenta un allestimento straordinario. Pare che il pubblico nostrano e soprattutto straniero sia fortemente attirato dagli impressionisti, Caravaggio, Raffaello, le star del firmamento artistico di tutti i tempi. E Calvino rimane da solo, forse contento a pensare che l’opera veramente riuscita può cancellare l’autore. Un tema che ricorre spesso nella sua produzione che al centro pone il libro più che lo scrittore, che diventa lo scopritore, l’esploratore. Favoloso Calvino, appunto.
“Una volta c’era un pescatore che non riusciva mai a pescare abbastanza da comprare la polenta per la sua famiglia. Un giorno, tirando le reti, sentì un peso da non poterlo sollevare, tira e tira ed era un granchio così grosso che non bastavano due occhi per vederlo tutto” da il Il Principe Granchio del 1956.
E’ una fiaba delle Fiabe italiane (nome completo della prima ed.: Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino). Una raccolta di duecento fiabe tratte da varie tradizioni orali di altrettanti luoghi e regioni d’Italia, riunite in un volume e da lui stesso tradotte in una lingua più semplice.
Ho voluto ricordarlo con la favola del granchio perchè in essa è racchiuso il senso di Calvino per il fantastico, l’originale modo che lui privilegia per raccontarci le gioie e i dolori della vita, cioè di essere in mezzo al mondo. In fondo la letteratura non può insegnare altro.