Raccolgo qualche nota sui brindisi delle feste. A volte, sta nei particolari ben curati, in certe scelte intonate alla circostanza il segreto di un’atmosfera che rende tutti felici: il tocco in più di una serata, di una tavolata. Vediamo.
Spumanti
Sono di rito. Oggi si tende alla riscoperta degli spumanti e degli “champagnes” con un gusto meno secco, più equilibrato, perfino con una vena di dolcezza: purché siano vini fatti a regola d’arte. Sappiamo che il botto non fa fino, ma qualche volta fa allegria. Almeno per gli auguri di capodanno possiamo fare eccezione.
Sappiamo che il volo delle bollicine augurali nel calice (la coppa ormai è giustamente out), il rito più propiziatorio che ci sia. E sappiamo anche che gli spumanti classici italiani, prodotti con lo stesso metodo dei francesi, ma sempre con una loro individualità che deriva da differenze di terra, di sole, hanno raggiunto livelli altissimi: possono reggere degnamente il confronto; non ha più senso la differenza di coloro che credono solo al prodotto straniero. Le statistiche delle feste già ci dicono che gli italiani ormai si sono convinti che i prodotti di casa nostra possono essere di gran classe, come quelli stranieri; e questo riguarda anche i brindisi.
Questa idea che l’Italia sia terra di grandi spumanti corrisponde alla realtà; ma ora è entrata anche nella mentalità, nel costume.
Così come lo è l’idea che un calice di spumante di alto livello possa accompagnare tante occasioni della vita e non solo le ricorrenze di fine anno.
Adesso ci si accorge che questa mania del secco, del brut, non corrispondeva sempre alla vicenda secolare dei grandi spumanti, non era affatto un dogma.
Restando nell’ambito italiano, produttori che sanno cogliere in anteprima certe tendenze del gusto hanno messo fuori nel corso degli anni, ma soprattutto hanno diffuso spumanti che rispondono a un gusto più equilibrato: quello degli champagnes della Belle Epoque, degli spumanti nostrani dei primi decenni del secolo scorso.
Senza citarne alcuni, spumanti riserva metodo classico, deliziosi, finissimi, moltissime denominazioni di origine DOP e IGP con menzione DOCG e DOC prevedono delle tipologie spumantizzate all’interno dei loro disciplinari, che ci porta agli anni Venti delNovecento. Non si tratta di spumanti in cui si insinui – ohibò – una vena dolce. Sono soltanto più morbidi, meno aggressivi.
Si discute, naturalmente su queste cose, sui pro e i contro. C’è chi afferma, ad esempio, che tutto ciò che è dovuto all’influenza sempre più forte che le donne esercitano in tutte le cose della vita. E io penso che nell’analisi del fenomeno non abbiano affatto torto: ma sono le donne con la loro presenza e con i loro gusti, a temperare anche in tavola certe punte, certi eccessi maschili, questo è un loro merito.
E’ un po’ la stessa cosa che succede, da anni, nel mondo del drink, del bere miscelato. Un tempo il cocktail e anche gli altri drink dovevano essere secchi, secchissimi, poi si è avuto una presenza femminile nel così detto American bar, una presenza non casuale, più folta, e siamo tornati indietro da tali eccessi.
Del resto, io credo che non si tratta di escludere il brut: ma di reagire alla pretesa che solo il brut sia qualcosa di superiore. Vorrei ricordare che oltre ai grandi spumanti classici ed altri eccellenti spumanti prodotti col metodo charmat – in tempi più brevi meno sofisticati, ma anche questi grandissimi – c’è un altro vino italianissimo e per la precisazione veneto, che non è mai un vero brut, equilibrato, armonioso, perfetto per i brindisi delle feste, a fine pasto, quando è opportunatamente spumantizzato: e parlo del Conegliano Valdobbiadene prosecco – Prosecco , Conegliano – Prosecco e Valdobbiadene – tutti e tre DOP con menzione DOCG.
Potreste avere con questi vini, stupende sorprese. E non dimentico naturalmente, tra i vini dei brindisi, il nostro grande, unico, Moscato d’Asti spumante DOP con menzione DOCG che il mondo ci chiede e ci invidia. Questo è decisamente un vino dolce, certo: ma qui consentitemi di ricordare un paio di cose.
La prima è che per molti, troppi, a torto, dolce non viene mai detto dolce, ma sempre “dolciastro”: c’è sempre un sottinteso spregiativo. Perché? Dolciastro un vino è quando il sapore dolce è troppo insistito, procurato artificialmente, spiacevole. Ma l’Asti spumante quando è prodotto con tutte le norme richieste (come prescrive il Consorzio che raggruppa i produttori qualificati), dolce è solo una vena leggera leggera, una finissima componente del gusto, che si lega al sapore, agli altri aromi. Quando è fatto a regola d’arte, ripeto, l’Asti spumante è vino ideale sul dessert, sui dolci, adattissimo a brindisi.
E’ una mania, una sciocchezza volerlo escludere per darsi arie di intenditori: quando gli intenditori veri di tutto il mondo, invece, lo chiedono e lo esaltano. La vigna italiana è ricca di tesori che all’estero ci invidiano: apprezziamoli tutti come meritano.
Lo sapevate però che per gli spumanti la bottiglia ideale non è quella solita, da 750 ml. Insomma da tre quarti di litro, ma è quella doppia, quindi da un litro e mezzo? E’ così, come ci dicono in coro gli esperti: la bottiglia doppia è quella da serbo, protegge meglio il vino nell’attesa in cantina, fino al giorno in cui sarà aperta e si brinderà come dicono all’opera, ”nei lieti calici”.
Si dà anche il caso che la bottiglia doppia sia anche molto più affascinante; dà un senso di sontuosità offerta. E allora se prevedete di essere in tanti, perché non scegliere quella, appunto? Una grande anziché due piccole, una trovata semplice e allo stesso tempo trionfale.
Vini liquorosi
Anche per le feste, gli italiani stanno riscoprendo, per esempio, il Marsala DOP con menzione DOC (che per la verità si dovrebbe chiamare la Marsala). E’ anche vero che il Marsala sta tornando, come era una volta, di classe eccezionale; mentre in tempi che sono durati fino a pochi anni fa aveva perso molto della sua identità. In ogni caso, ecco un vino che si prestava un tempo e si presta di nuovo a brindisi felici: specialmente se si tratta di berlo a fine pasto sul dessert, sul dolce, sul panettone, sul torrone, sulla frutta secca, e via dicendo.
Era successo che leggi troppo compiacenti consentivano, a un certo punto, di coltivare le uve richieste e di fare il marsala in una zona più vasta di quella di un tempo; e di esportare marsala sfuso per farne produzioni speciali con l’uovo, con altre aggiunte: cose di per sé stesse molto piacevoli, che sfuggono però ai controlli necessari perché il Marsala vero e proprio restasse quello famoso, genuino, nei suoi diversi tipi.
Si è tornati in dietro da quelle leggi, ma non si rimedia in un giorno al male fatto. Però oggi il Marsala che ha diritto a chiamarsi tale merita fiducia, e magari nel corso delle feste potreste ripensarci.
Il che non toglie che ci siano diversi vini straordinari di carattere liquoroso, di gusto dolce, che solo in Italia si trovano così qualificati e così numerosi, da capo all’altro della nostra penisola. C’è Passito di Erbaluce, per esempio in Piemonte, che pochi conoscono, c’è un dimenticato Lacrimae vitis in Lombardia, esattamente nell’Oltrepò Pavese, un Moscato di Casteggio DOP con menzione DOC, e un Vin Santo di Gambellara DOP con menzione DOC e così via passando per tutti i Vin Santi (o Vinsanti) toscani anche questi tutti vini DOP con menzione DOC,fino al celebre moscato di Trani DOP con menzione DOC, al passito di Pantelleria DOP con menzione DOC. Potrebbe essere addirittura un’idea romantica andare a cercare per le feste, nella propria zona, questi antichi vini nati proprio per accompagnare le ricorrenze festive e religiose insieme.
Vini da meditazione
Dopo il dessert, la stagione invita a ricordarci dei vini da meditazione. In casa, nell’atmosfera complice del dopo pasto, o in un momento di relax si scopre il gusto di stappare una bottiglia un po’ speciale, di una riserva particolare tenuta da parte per offrirla agli ospiti più cari e intenditori. Ecco come orientarsi nella scelta di qualche vino, classico “da meditazione”, per occasioni e momenti quasi irripetibili.
Vuol dire vini da bere fuori pasto, ma più precisamente dopo pasto. Sarà ovviamente l’ora mirabile della sera, dopo una cena elegante ma non soffocante; quando lo stomaco e i sensi sono disposti ad accogliere i vini di questo genere: grandi rossi, carichi di anni, di nobiltà, di bouquet.
Siano vini di cui si possa apprezzare in controluce la trasparenza, magari contro una fiamma che danza; e apprezzare il bouquet, in preziosi bicchieri; a cui si possa trasmettere il calore della propria mano, tenendo nel cavo il vetro del ballon: come si fa appunto con il cognac. Ecco, questo è possibile anche con un vero vino da meditazione: attraverso il cristallo sottile del ballon trasmettergli il nostro calore, e poi gustarlo con una speciale personalissima ebbrezza: oppure anche passarlo a qualcuno con cui condividere l’estatico momento.
Qualche nome di vini adatti a questo scopo? però subito – sono i classici del genere – Barolo, Amarone e Brunello Montalcinocorposi, profumati e dal gusto unico, sono loro le eccellenzedell’enologia.
Vanno serviti con estrema cura: decantandoli, cioè versandoli lentamente in caraffa, perché eventuali depositi restino sul fondo della bottiglia; va avvicinato con la reverenza che si deve alle opere d’arte.
E poi vado un po’ in giro sulla carta vinicola dei vini d’Italia; ecco il celebre, incredibile Picolit, lo vedo anche nel gotha dei vini da meditazione.
Poi, ancora le riserve migliori dei più grandi, classici rossi: certi Barbareschi, lo Sfurzat valtellinese, che si fa sempre con una nebbiola, quella del Barolo, trapiantata sulle Alpi, adoperando grappoli che prima vengono un poco ad appassire al sole. Naturalmente in questa serie, inchiniamoci al Nobile di Montepulciano, alle maggiori riserve di Chianti Classico, oppure agli stupendi Tignanello, Sassicaia e Le Pergole TorteMontevertine in terra di Toscana; al Sacrantino e al RubescoUmbri; al Fiorano rosso laziale, ai pugliesi: Torre Quarto, Torre Giulia Primitivo, e soprattutto quel vino Salentino che pure può paragonarsi ai migliori Porto, cura particolare del barone Leone De Castris.
Penso ancora al lucano Aglianico del Volture e al calabrese Cirò; il Cirò poi, non dimentichiamo che era il vino delle Olimpiadi, in età greca classica. In Sicilia ricordo il Cerasuolo di Vittoria e, ovviamente, il divo Marsala; in Sardegna il Cannonau che si fece bere anche da Gabriele d’Annunzio (il quale a Ogliena lo ribattezzò Nepente). Dico in particolare, come per altri citati sopra, il Cannonau liquoroso secco; e per chiudere in bellezza in Sardegna, ecco l’Anghelu Ruju che è una specie di gioiello di vellutata ricchezza.
Il nostro paese è il più ricco nel settore agroalimentare in biodiversità, trasversalità territoriale, culturale, ambientale: questo rappresenta una ricchezza di enorme valore enogastronomico.
Interessante ed esaustiva panoramica sul bere bene, scegliendo l’abbinamento giusto per la giusta occasione. Bere con moderazione, ma sempre e comunque bene e di qualità! Un plauso all’autore!