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La canapa: un po’ di chiara informazione è necessaria

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Canapa sativa

La canapa sativa era ai primi del Novecento una coltura agraria diffusa nelle nostre campagne, per i molteplici usi e per la semplicità della coltivazione, richiedendo pochissima acqua. In contesti che tendono al recupero delle fibre vegetali e al risparmio irriguo il suo ripristino su scala più ampia avrebbe ritorni positivi anche dal punto di vista ambientale. Inoltre la canapa sativa nulla ha a che vedere con la specie vegetale dagli usi controversi, rappresentata dalla canapa indiana. E’ bene saperne di più sulle rispettive proprietà.

La Canapa e i suoi prodotti

Nome comune attribuito alla famiglia Cannabacee, ordine Urticali, la Canapa è tipicamente pianta da fibra tessile, ma il particolare contenuto in resine, utilizzate come droga, che si può riscontrare nelle infiorescenze femminili, ne fa oggetto di coltivazione anche a questo scopo. Si può così distinguere una Canapa da fibra (Cannabis Sativa) e una Canapa da droga (o Cannabis Indica), le foglie e i fiori della quale contengono un principio attivo, che in Oriente serve a preparare l’hashish, sostanza inebriante ì’’?tetraidrocannabinolo (THC) affine all’oppio, della quale è controversa la collocazione sistematica; secondo alcuni autori si tratterebbe della stessa specie di quella da fibra e il maggior contenuto in resine dipenderebbe in gran parte da fattori climatici (la Canapa indiana è tipica di zone più meridionali, con maggiore insolazione); altri considerano la Canapa da droga una sottospecie (Cannabis sativa indica), altri ancora  una specie a sé (Cannabis indica). Si tratta comunque di piante simili dal punto di vista botanico, le cui differenze sono state accentuate anche dalla selezione, finalizzata a produzioni diverse. Sono piante annuali, erette, variabili per altezza e ramificazioni, hanno radici a fittone, foglie palmatosette a margine dentato. Solitamente dioiche, hanno fiori minuti verdi o giallognoli, i maschili in rade pannocchie e i femminili in false spighe grandi, erette, ricche di brattee fogliacee. Il frutto è un achenio ovale a due valve lungo 3/5 mm, con embrione ricco di olio. L’impollinazione è anemofila e può avvenire anche a distanze superiori a Km. 2-3. Il rapporto tra i sessi è teoricamente uguale all’unità, ma di norma gli individui femminili predominano sui maschili. Diversa è la durata del ciclo dei due sessi: infatti le piante maschili muoiono circa un mese prima delle femmine (le prime in agosto, le seconde in settembre).

 

Canapa: 1. pianta maschile, 2. pianta femminile, 3. radice, 4. fiore, 5. frutto.

Cenni storici

Misteriose e leggendarie le sue origini: dell’Asia centrale, forse dell’India e dell’Iran, dove cresce spontanea la Canapa fu introdotta dapprima in Cina (già in un documento del III millennio a. C. vi appare come pianta normalmente impiegata per uso tessile) poi, ad opera dei nomadi sciiti, in Europa, a cominciare dalla Russia meridionale (II millennio a.C.) dove si propagò (nel corso del primo millennio a.C. nelle altre zone europee. Ancora in epoca storica essa risulta tuttavia scarsamente diffusa: presso i greci era poco nota (Erodoto la ricorda come coltura tipica degli Sciiti); gli scrittori romani o la ignorano o ne fanno cenno di sfuggita, ignorandone l’impiego propriamente tessile (p. esempio Varrone ne parla come di materia prima per fabbricare reti e funi; Columella la classifica fra i legumi e cereali minuti consigliando l’uso dei suoi semi per farne tisane). Solo nell’Alto Medioevo l’impiego tessile della canapa cominciò a diffondersi forse ad opera delle popolazioni slave e germaniche che invasero l’Europa in concomitanza con il crollo dell’Impero Romano. A lungo essa rimase in secondo piano rispetto al lino, che ancora per tutto il Medioevo (tranne qualche eccezione locale) è la fibra tessile di gran lunga più diffusa nella penisola italiana, secondo una tradizione rimontante all’antichità. “Varie piante tessili crescono in questa parte d’Italia” scriveva Emanuele Repetti nell’introduzione al volume relativo al Granducato di Toscana, edito a Milano nel 1855 nel quadro dell’opera più vasta compilata da “parecchi dotti italiani” sotto il titolo Dizionario corografico-universale dell’Italia.

Nel corso del sec. XIX lo sviluppo dell’industria tessile, applicata soprattutto alla lavorazione del cotone americano, emarginò progressivamente dal mercato la Canapa legata (come del resto il lino) a processi di lavorazione domestica e artigianale di stampo più tradizionale, tale emarginazione si accentuò con la comparsa di nuove fibre, anch’esse di importazione americana, quali la iuta e l’abacà o Canapa di Manila. Il declino della Canapa è proseguito sempre più rapido nel secolo scorso, nonostante l’effimera ripresa della canapicoltura durante la fase “autarchica” dell’economia italiana nel periodo fascista.

Canapa da fibra

Sono così determinate le cultivar di Canapa coltivate principalmente per ottenere lo stelo o bacchetta da cui si ricava la fibra tessile. Nella bacchetta, infatti, si distinguono comunemente due parti: una esterna ricca di fibre (che costituiscono nel loro complesso il tiglio) ed una interna prevalentemente legnosa (canapulo). Lo stelo è più o meno ramificato; la sua altezza è compresa fra i valori minimi di alcuni decimetri e i valori massimi di 4/5 m. La variabilità genetica nella Canapa da fibra, non è limitata a questa, ma è frequente per altre caratteristiche morfofisiologiche, quali l’espressione del sesso (benché sia prevalente la dioica, si possono trovare anche cultivar monoiche), l’epoca di fioritura, l’aspetto delle foglie e dei frutti ecc. Inoltre molte caratteristiche di questa pianta (dimensioni del fusto presenza di ramificazioni, qualità delle fibre, sesso ecc.) sono profondamente influenzate dalla situazione pedoclimatica della coltura e dalle scelte fatte in materia di semina (momento della semina, investimento) e di cure colturali (concimazione, eventuale irrigazione).

Coltura

La Canapa è specie da rinnovo; le sono consoni i climi caldo-umidi e terreni profondi, freschi e ben strutturati. La Canapa è seminata nelle zone temperate, fra la fine di marzo e l’inizio di maggio: prima di questo periodo sussiste il pericolo di danni da gelate, dopo, invece, quello di diminuzione dell’altezza delle piante e conseguentemente, della quantità di prodotto per unità di superficie. E’ preferita la semina a file. Si utilizza ca. 60 kg/ha di seme e si adotta una distanza tra le file di 15/18 cm. La Canapa ha una forte competitività nei confronti delle infestanti, a motivo della sua notevole rapidità di crescita e della sua taglia elevata: non sono quindi necessari, di solito, interventi di natura chimica o meccanica. Per quanto riguarda la nutrizione minerale, la specie risente in maniera particolare della carenza di azoto che causa accrescimento stentato e nei casi più gravi, drastiche decolorazioni delle foglie. La coltura si giova dell’irrigazione nelle aree più asciutte.

Raccolta ed utilizzazione

La raccolta della Canapa è effettuata in genere, quando la coltura è in fioritura; può, però, essere posticipata alla maturazione degli acheni quando interessi anche la produzione della canapuccia (con questo nome è comunemente conosciuto il frutto) e non si pregiudichi così quella delle bacchette. Nel caso in cui le piante siano destinate all’industria tessile è prescelto in cui il tiglio ha raggiunto massimo incremento quanti-qualitativo (di solito al termine della fioritura maschile); le piante sono recise al piede e successivamente sottoposte ad una lunga serie di operazioni che possono essere raggruppate in tre fasi: essicazione in campo e preparazione dei fasci di bacchette per la macerazione, separazione del tiglio dal canapulo.

La macerazione è il trattamento che subiscono le bacchette al fine di ottenere il dissolvimento delle sostanze che tengono unite i fasci liberiani agli altri costituenti del fusto (in Italia era comune quella in acqua stagnante per più giorni) maceri.

Macerazione di mazzetti di canapa in una fossa d’acqua stagnante.

Il distacco vero e proprio del tiglio dal resto della bacchetta è realizzato successivamente e consta essenzialmente di due fasi: scavezzatura (rottura del canapulo e sua prima grossolana eliminazione) e gramolatura (completamento della separazione del tiglio dai residui della bacchetta). Tutte queste operazioni erano svolte in gran parte a mano: risultavano quindi estremamente onerose. Attualmente, invece è molto frequente la meccanizzazione totale della raccolta. E’ anche comune l’esecuzione della macerazione con modalità meno gravose, e più igieniche di quelle tradizionali e la separazione della fibra con macchine ad organi rotanti e/o battenti (scavezzatrici, gramolatrici e decanapulatrici).

Il tiglio ottenuto con i procedimenti appena descritti è utilizzato per realizzare numerosi prodotti (tessuti più o meno pregiati, sacchi, cordami ecc.) di valore e qualità variabili in funzione delle caratteristiche del materiale greggio e delle lavorazioni a cui è sottoposto.

Dalla canapa si possono ricavare moltissimi prodotti. Quelli legali sono i prodotti tecnici (per esempio paglia e fibre, materiale da costruzione, materiale isolante, tessili, corde, carta, cartone e cartonaggi, lettiere per animali, carburanti, oli lubrificanti) e gli articoli alimentari e cosmetici. Fra i prodotti cosmetici i più diffusi sono i profumi, gli oli per massaggi e le essenze. I prodotti alimentari sono molteplici: i semi di canapa, l’olio di semi di canapa, le paste alimentari, i prodotti di panetteria e di biscotteria, le bevande (con o senza alcool), le tisane e i preparati per tè di erbe e di frutta, la cioccolata, le caramelle e ancora tante altre derrate alimentari. A proposito dei prodotti legali è opportuno dire chiaramente che per drogarsi non sono né utilizzabili, né efficaci. Infatti nei prodotti tecnici la canapa, rispettivamente il THC in essa contenuto, ha subito un processo di degradazione, mentre gli alimentari contengono quantitativi di THC in dosi omeopatiche estremamente piccole (troppo esigue per ottenere un effetto stupefacente). Dunque non bisogna a priori pensare male di chi mangia pasta o beve birra alla canapa.

Maciulla o gramola orizzontale, su cavalletto a due gambe            

Pettine a denti radi per separare la stoppa qualità più scadente, e pettine fitto per stirare successivamente il tiglio.

Canapa indiana

Una sua varietà è la Cannabis indiana (Cannabis Indica), ha fusti eretti, alti 1-2 m, ramificati. Originaria dell’Asia centrale e viene coltivata in India, Medio Oriente Africa settentrionale e Iran per ottenere vari tipi di droga. La droga è costituita dalle infiorescenze femminili e dalle brattee che avvolgono le infiorescenze munite di peli secretori a piede corto e a testa pluricellulare, ricchi di resina. La resina contiene dei composti non azotati, fenolici (cannabinolo, cannabidiolo, tetraidrocannabinolo). La resina, gli estratti e le tinture di canapa indiana sono riportate nella tabella della Farmacopea ufficiale italiana riguardante le sostanze stupefacenti. In Italia dal 2006 i medici possono prescrivere preparazioni magistrali contenenti sostanze attive a base di cannabis per trattamento terapeutico denominate Cannabis FM1 e Cannabis FM2, prodotte dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e distribuite alle farmacie per l’allestimento di preparazioni magistrali su prescrizione medica, come già previsto dal Testo Unico sulle droghe 309 del 1990.

Marijuana e hashish sono invece i prodotti della canapa proibiti. La marijuana consiste nelle cime fiorite della pianta femminile (“erba”). Si presenta di solito come una polvere verde, grigia o marrone, oppure come un’erba seccata e tagliata grossolanamente. L’hashish è un prodotto più puro, siccome costituito dalla sola resina. Si presenta sotto forma di tavolette o stanghette. A dipendenza della provenienza può essere verde, rosso, marrone chiaro, marrone scuro o nero. Di solito la marijuana contiene dal 1 al 10% di THC, con punte che a volte possono sfiorare anche il 30%. Negli ultimi anni si è assistito a un importante aumento della concentrazione di THC nella canapa: dunque la marijuana di oggi è nettamente più forte di quella consumata alla fine degli anni ’60/’70 del secolo scorso.

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5 COMMENTS

  1. Grazie Ulderico. Se non mi sbaglio la Serenissima usava grandi quantità di canapa all’Arsenale per il cordame delle sue navi sviluppando una tecnica, oggi diremmo just in time, per ottimizzare il taglio delle corde senza sprechi.

  2. Si confermo Gerardo, addirittura nel 1376 papa Gregorio XI proibisce l’esportazione di “Canapa gregge” dal territorio bolognese, per proteggere l’industria tessile della zona dalla concorrenza veneziana. Anche nei secoli successivi la Repubblica veneta tentò di strappare ai bolognesi il primato della produzione e della lavorazione della Canapa diffondendone la coltura nella propria terraferma; ma ancora nel secolo XVIII importava materiale grezzo dall’Emilia, dove i rapporti di produzione di tipo mezzadrile prevedevano normalmente cicli di coltura comprendendo la Canapa.

  3. Grazie per questo articolo veramente esaustivo, interessante anche la narrazione storica sull ‘uso della canapa.

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