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Nel buio della guerra

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Decifrare cosa stia succedendo in Israele in questo ottobre 2023 non è certo semplice; si sta palesando una realtà molto più complessa di quello che può apparire. Hamas, è l’acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya un’organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista, sunnita e fondamentalista di estrema destra, nata per combattere con atti terroristici lo stato di Israele.

L’attacco di Hamas contro Israele ha colto tutti di sorpresa, ma ciò che colpisce è che i servizi segreti sono stati “eliminati” da qualsiasi possibilità di difesa. Qualcosa non ha funzionato in Israele. In attesa che Hezbollah, un’organizzazione paramilitare islamista sciita e fortemente antisionista libanese, nata nel giugno 1982 e divenuta successivamente anche un partito politico, con forze armate arabe tra le più potenti, si attivi e affianchi Hamas nell’operazione Tempesta Al Aqsa” contro Israele, che per gli esperti “odora”di matrice iraniana. Infatti nelle ore successive al primo bombardamento  la guida suprema di Teheran, Ali Khamenei, annunciava l’appoggio iraniano all’offensiva di Hamas, invitando gli sciiti libanesi a scendere in campo nel nord di Israele. Il leader di Hamas, Ismael Haniyya, citando alcuni versetti del Corano e citazioni legate all’Islam politico, ha messo in luce l’obbiettivo fondamentale dell’attacco portato avanti dalla sua organizzazione: interrompere il processo di normalizzazione tra Israele e le nazioni arabe. Qualcosa di difficile accettazione per l’islamismo radicale.

Per capire  il presente più complesso dobbiamo sempre fare luce sul passato e riavvolgere il filo. La guerra del Kippur del 1973, avvenne ai primi di ottobre,  quando Israele venne attaccato simultaneamente e improvvisamente dall’Egitto e dalla Siria per circa dieci giorni, prima di riuscire a rovesciare a favore le proprie sorti del conflitto.
Anche in quei giorni, tutti gli osservatori, sia all’interno del paese che all’estero, si chiesero come mai i rinomati Servizi israeliani, il grande Mossad, non fosse stato in grado di anticipare le mosse del nemico, pur disponendo di estese e profonde reti informative nel campo avversario.
La risposta venne dalla commissione d’inchiesta “Agranat”, voluta dall’allora Capo dello Stato Golda Meir, che appurò che in realtà le informazioni sui preparativi egiziani e siriani erano state raccolte, ma che queste non erano sufficienti, a parere degli analisti di Aman, per dichiarare l’allerta generale, avvertendo il governo del pericolo imminente.
Il sottovalutato pericolo costò il posto al Direttore del Servizio militare.  “L’Intelligence Community” israeliana si basa su tre pilastri di grande efficenza, il primo è il Mossad, il Servizio operante all’estero con compiti di spionaggio e antiterrorismo oltreconfine. 

Il secondo è lo Shin Bet, il Servizio di Sicurezza interna competente per il controspionaggio e l’antiterrorismo all’interno dei confini Israeliani e il terzo è Aman il Servizio di intelligence militare. 

Già nel 2021, Benjamin Netanyhau e Benny Ganz, mentre si disputavano le presidenziali israeliane, erano divisi sulle decisioni da prendere  nei confronti della politica nucleare di Teheran e sugli interessi iraniani in Medio Oriente, in Libano e in particolare in Siria. La dirigenza del Mossad è sempre stata in linea con la posizione di Netanyahu,  volendo mantenere la linea dura nei confronti dell’Iran, ritenuto una minaccia strategica per lo Stato di Israele. Quindi, dopo la rielezione di Netanyahu alla fine del  dicembre 2022 , il Mossad, si è mostrato sempre più duro nei confronti del “desiderio” nucleare di Teheran e delle sue mire espansionistiche in Siria, Libano e Iraq. Se Hamas ha deciso di attaccare militarmente Israele, le ragioni vanno probabilmente cercate sullo scacchiere della politica interna al movimento palestinese e sulle sue mosse in politica estera.

Hamas, la Jihad Islamica Palestinese, e i loro fautori esterni forse sperano, con una guerra asimmetrica e di sorpresa, di sparpagliare le carte sul tavolo di quella  diplomazia mediorientale che sembrava avviarsi a un dialogo? Oppure Hamas vuole mobilitare un nuovo fronte arabo, unito nella lotta contro Israele? 

Intanto ricordiamo che Israele è il paese nel quale Russi ed Ucraini rimangono un’unica ed unita comunità. Le parole del Presidente Ucraino Zelensky tolgono qualsiasi dubbio: «Chiunque usa il terrore è un criminale davanti al mondo intero, così come chiunque sponsorizza il terrorismo, Israele ha tutto il diritto di difendersi. L’assalto a Israele è stato meticolosamente preparato, il mondo intero sa quale sponsor del terrorismo può aver incoraggiato e organizzato l’attacco”. 

Abbiamo visto nei tempi indietro che Israele ha un equilibrio molto delicato con la Russia e proprio per questo motivo non ha mai voluto prendere una posizione esplicita nel conflitto Russo/Ucraino, e nemmeno fornire armi durante la guerra. Se Gerusalemme e Mosca hanno un rapporto del genere, non è altrettanto così per quello tra Kiev e Gerusalemme, tanto che gli Ucraini avevano chiesto che Israele fosse escluso dalle riunioni del gruppo di Ramstein. L’undicesimo vertice tenutosi ad aprile 2023, nel quale i ministri della Difesa di cinquanta Paesi, capeggiati dal segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, si sono incontrati nella base militare statunitense in Germania.

Ma il vero problema è l’Iran, il quale rimane il principale nemico dello Stato d’Israele. Il nodo potrebbe essere che Gerusalemme avrebbe aiutato la resistenza ucraina, con informazioni e aiuti materiali per poter combattere  i droni Shahed che Teheran utilizza in Ucraina. L’asse tra Mosca e Teheran è consolidato da anni e il supporto del regime all’invasione dell’Ucraina è dato anche dal posizionamento internazionale dell’Iran, in aperto contrasto con gli Stati Uniti e l’Occidente.  L’iran è stato in grado di sviluppare droni tecnologicamente avanzati e ad imporsi come terzo produttore mondiale di velivoli senza pilota, dietro  alla Cina e gli Stati Uniti. In cambio la Russia si sarebbe impegnata, secondo fonti statunitensi, a fornire al regime iraniano un numero non precisato di caccia Sukhoi Su-35, precedentemente destinati all’Egitto. 

Che nell’aria ci fossero probabili nuovi venti di guerra si era visto nei mesi precedenti con Israele, il quale aveva sostenuto la campagna dell’Azerbaigian per la riconquista del Nagorno-Karabakh, riaprendo un nuovo fronte di guerra ai confini meridionali della Russia. Israele ha sempre avuto un grande interesse per l’Azerbaigian, paese che fornisce ancora il 40% del fabbisogno petrolifero israeliano, quindi l’Azerbaigian resta una fonte di petrolio e un sicuro alleato contro l’Iran. 

L’Occidente e Israele devono purtroppo prendere atto che i russi, grazie all’Iran, hanno ottenuto i droni Shahed-136, un’arma i cui impatti sul conflitto sembrano poter essere molto rilevanti. Teheran ha scelto di schierarsi attivamente dalla parte di  Putin nella guerra in Ucraina. 

Purtroppo Hamas ha fatto saltare il piano americano che prevedeva l’atto conclusivo degli “Accordi di Abramo” siglati nel 2020 da Benjamin Netanyahu con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, cui si è aggiunto il Marocco e che insieme a Egitto e Giordania costituiscono un solido fronte anti-iraniano. Probabilmente il conflitto voluto da Hamas, mira a combattere e boicottare l’eventuale “normalizzazione” dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita.

Hamas è nata, esiste e continua ad avere potere perché è una comunità internazionale, dentro e fuori il mondo islamico, la quale è sostenuta finanziariamente e militarmente, preservando la vita e l’anonimato dei suoi leader. Hamas è una potente rete che coinvolge l’Iran, ma ha appoggi che vanno sicuramente oltre l’immaginabile. Lo dimostra anche l’Africa, continente estremamente ambito da molte potenze occidentali ed orientali, ma che ha forze che si oppongono ad ogni processo di pace e ad ogni accordo che cerchi di stabilizzare le situazioni occidentali. Il continente africano sta diventando un nuovo centro di potere della Russia, quando, in precedenza, le missioni di mediazione per risolvere la crisi ucraina erano monopolizzate dai Paesi dove vige “la cosiddetta democrazia sviluppata”. Ora anche i paesi africani sono pronti ad aiutare la Russia per una soluzione della crisi ucraina, ha affermato il presidente russo Vladimir Putin.

L’attenzione della Russia per l’Africa è in continua ascesa, dovremo solo pazientare per vederne i risultati. Nel frattempo i Sauditi, a sole 24 ore di distanza dall’attacco di Hamas, hanno voluto far sapere che i negoziati con Israele continuano ad andare avanti, forse saranno più lenti ma continueranno a camminare, si spera, verso una positiva conclusione. Ma i dubbi crescono.

Insomma la situazione è tragicamente ingarbugliata e la ridda di ipotesi sulle intersecazioni di una crisi assoluta aumenta invece che semplificarsi. Una cosa è certa: siamo di fronte alla manifestazione più plastica di quello che Papa Francesco sostiene da tempo. Che siamo dentro la Terza Guerra Mondiale combattuta a pezzi. L’esplosione finale si avrà quando i pezzi si salderanno insieme, in una definitiva conflagrazione.

PS. Avete notato che in queste mie elucubrazioni l’assenza della parola Europa è totale? Mi sono ricordata di Metternich. Che essa sia solo una espressione geografica?

 

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