Domenico, chiedendomi informazioni su dove fosse ubicata Via Del Fervore, mi aveva fatto ricordare di questa mostra di cui distrattamente avevo preso notizia da FB. La considerazione di sufficienza di allora era legata alla riflessione: “la solita mostra sui morti ammazzati di mafia, poi andrò a vedere anche questa”.
In verità l’avevo poi po’dimenticata rimandandola fra le tante cose che si ha intenzione di fare e che poi, a forza di mettere tempo, alla fine non si fanno.
L’amico Domenico, che invece c’era subito andato, mi venne a scrivere di avere visto una mostra superlativa e foto di notevole portata che superavano di gran lunga l’aspetto documentaristico degli omicidi di mafia più diffusi. A parer suo, una vera e propria esposizione di arte fotografica.
È quindi scattata la mia curiosità e, dopo essermi documentato sul web, andando pure a rivedere una recente intervista a Lannino postata su You Tube che preannunciava la mostra in discussione, ho raggiunto Via Del Fervore.
Lo spazio espositivo era un ambiente originale, pieno di vintage tecnologico. Ricco di vari modelli storici MAC e non solo. Curatissimo nei dettagli, andava a mescolare aspetti museali con oggetti e strumenti collegati alle praticità ordinarie di uno studio pienamente operativo.
Non avendo confidenza con Franco, considerandomi ospite, ho da subito chiesto il permesso per poter fare qualche foto. Nel fare ciò ho subito creato ilarità al mio interlocutore per la mia gaffe, essendo anch’esso un ospite (vecchio amico) e che avevo distrattamente scambiato per Franco (a una certa età le diottrie fregano).
Con discrezione ho cominciato a fare qualche scatto con la mia piccola Fuji da passeggio, non tanto per rubare (come si usa dire) l’immagine, ma più per documentare l’allestimento della mostra, una cosa che mi ha sempre intrigato in ogni manifestazione d’arte.
Nel mentre ascoltavo i discorsi che si sviluppavano fra quegli amici, cominciavo a capire che mi trovavo in un contesto conviviale che in qualche modo si ricollegava perfettamente alle immagini che stavo osservando.
Il personaggio che più interloquiva con Franco Lannino era Giuseppe Sammarco, il “predestinato a non morire” che era stato punto fisso nella scorta del Giudice Falcone.
Lascio immaginare al lettore i contenuti dei dialoghi quasi intimi che miscelavano attualità con ricordi.
Dai discorsi articolati affioravano con cadenza continua nomi pesanti di tanti caduti nella lotta alla mafia: Terranova, Livatino, Zucchetto, Cassarà, Montana, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Chinnici e tantissimi altri, soprattutto delle scorte. Vittime quasi anonime.
Questo loro discutere e raccontare riusciva a fare affiorare metaforicamente il rosso del sangue dei morti ammazzati che stavo intanto osservando in quelle tante immagini in bianco e nero che erano esposte.
Non mi dilungo oltre nel raccontare di questa ricca esperienza che, come spesso capita, porta ad essere coinvolti anche in prima persona, con considerazioni ovvie, forse ingenue ma facilmente intuibili, che suscitano domande e portano a immaginare risposte su molti aspetti che continuano a persistere nel contesto sociale in cui siamo immersi, nonostante le tristi esperienze.
Per chiudere, la mostra, intitolata “Macelleria Palermo” di Franco Lannino e Michele Naccari è esposta (orario 16,30-19,30) presso l’Agenzia di Fotogiornalismo “Studio Camera” (Studio PBaa, Palazzo Naselli, al civico 15), ha ingresso libero e rimarrà aperta fino al 22 luglio. Se ne consiglia vivamente la visita per verificare di persona ogni cosa.
Buona luce a tutti!
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P.S. Oggi ricorre l’anniversario dell’attentato stragista in via D’Amelio a Paolo Borsellino e ai componenti della scorta. Mi piace segnalare il toccante articolo di Tommaso India, pubblicato oggi da Dialoghi Mediterranei, che chiude così: “In via Mariano D’Amelio ci abita una coppia d’amici con il loro piccolo ed intelligentissimo figlio. Li vado a trovare e tutte le volte con gli occhi mi guardo intorno alla ricerca del luogo della strage. Anche adesso, dopo aver guardato e riguardato quella foto per individuare il luogo dell’attentato, quel senso di inquietudine non mi lascia. È come avere una scheggia, una di quelle schegge di vetri in frantumi, conficcata nella coscienza. Solo adesso, dopo trentuno anni, capisco che forse il 19 luglio 1992 è una scheggia conficcata nella coscienza di tutti noi.” Per leggerlo interamente: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/19-luglio-1992-la-scheggia/?fbclid=IwAR3gv4ifItjupWliNbQv4Ix_6EjBMhTc4s5UbxMzbLTZAo3ATouCu7IY1nE