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Uno sguardo dal ponte: il Sud che arretra

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NEET (Not in Education, Employment or Training) Indicatore atto a individuare la quota di popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione.

Pubblichiamo con piacere l’intervista di Barbara Ruggiero con il prof.Riccardo Resciniti, economista dell’Università del Sannio. Per gentile concessione dell’autore e del periodico online RESISTENZE QUOTIDIANE.
Fuga dei cervelli verso il Settentrione e altri paesi dell’Ue, spopolamento preoccupante nel Mezzogiorno e il rischio che il Pnrr aumenti ulteriormente un gap insanabile con le aree settentrionali.Ma forse i dati ci dicono che vi sono speranze per invertire una storica tendenza. Vediamo come (N.d.R.).

«Il divario tra Nord e Sud è il tema del Paese». Riccardo Resciniti, economista, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso l’Università del Sannio, senza mezzi termini parla delle tendenze in atto negli atenei italiani a proposito del famigerato divario e di una vera e propria fuga di cervelli verso il nord Italia. Resciniti – che, tra i diversi incarichi, è stato anche docente alla Luiss, presidente della Società Italiana di Marketing e attualmente è presidente di Fondo Pensione Espero – si presta all’analisi di uno dei temi centrali dell’agenda del Paese.

Riccardo Resciniti

Professore, il divario tra Meridione e Settentrione appare una realtà inconfutabile; è così?

In questo momento ci troviamo ad affrontare un doppio flusso: persone che si spostano dall’Italia verso l’estero e un flusso che si dirige dal Sud verso il Nord del nostro Paese. È chiaro che questi due grandi flussi hanno un unico risultato evidente: il Sud esce seriamente danneggiato da questa situazione. Il differenziale, infatti, prevede che il Nord vada a compensare le sue uscite con ingressi che vengono dal Mezzogiorno.

Una situazione che appare recuperabile?

Secondo me ci sono due fattori che determinano un mancato cambio di passo: una chiave di lettura è buona e l’altra cattiva. Partiamo dalla cattiva: evidentemente da qualche parte conviene che le cose vadano avanti così. Se vogliamo essere buoni, invece, sarà il caso di dire che forse questo fenomeno non è stato visto arrivare per tempo e sta spiazzando le università meridionali che, purtroppo, ancora non hanno messo a punto una strategia di difesa. Insomma, hanno percepito in ritardo quello che stava accadendo e non sono ancora riusciti a rimediare al fenomeno, magari aumentando i flussi in entrata da altre aree. Queste sono le due ipotesi; poi ho anche una mia opinione, ma è solo personale e riguarda l’immediato futuro.

Parliamone.

Il Pnrr aggraverà terribilmente la situazione di cui abbiamo parlato. Per come è stato strutturato, nonostante gli sforzi di quantificare nel 40% l’importo minimo per il Sud, il Pnrr sta tremendamente accentuando una tendenza già in atto: più fondi andranno alle università più grandi e purtroppo ancora una volta il Nord la farà da padrone. E accadranno anche situazioni particolari: le università del Nord avranno talmente tante di quelle risorse che pescheranno ancora altri giovani dal Sud.

Una vera e propria fuga di cervelli.

Il divario si accentuerà ulteriormente: anche i dottorandi e i giovani ricercatori si sposteranno al Nord, non più solo i giovanissimi che si avvicinano all’ambiente universitario.

E le università del Sud come rispondono?

C’è il rischio grave di non riuscire a porre rimedio a questa situazione e onestamente in questo momento le vedo solo inseguire.

Lo spopolamento di alcune aree del Mezzogiorno è sempre più una realtà.

La situazione è gravissima: fino al secondo dopoguerra c’erano gli operai che salivano al Nord per la manodopera. Oggi si spostano i ragazzi e i talenti e lo faranno anche grazie ai fondi del Pnrr. Insomma, sembrerebbe che una funzione perequativa si sta traducendo in un divario ulteriore.

Che soluzioni intravede?

Non credo nelle soluzioni relative ai costi: spesso si è ipotizzato di differenziare gli stipendi degli insegnanti delle scuole, aumentando, per esempio, quelli di chi lavora al Nord. Ma non si capisce che queste soluzioni accentuano ancora di più il divario? È una opinione personale, ma credo che il problema potrebbe risolversi quando questo gap sarà cresciuto a un livello tale da non essere più sostenibile. Paradossalmente, proprio il divario potrebbe diventare un fattore di sviluppo del Sud, come accaduto anche a livello internazionale con i cosiddetti paesi emergenti: avevano un gap talmente grande che a un certo punto è diventato divario di convenienza. Per esempio, pensiamo a quello che accade con i prezzi altissimi degli immobili a Milano: anche questo potrebbe accentuare il divario, capovolgere la situazione e creare delle sacche di investimento al Sud.

Spieghiamo meglio.

Pensiamo agli investimenti che le imprese occidentali hanno fatto quando hanno spostato le produzioni in Oriente. A livello internazionale si è sviluppato questo transito perché la produzione era più conveniente, costava meno. E potrebbe accadere la stessa cosa anche da noi: a un certo punto il divario sarà talmente alto che al Nord converrà investire al Sud. E parliamo di una tendenza già in atto: tenga presente che anche numerose società di servizi si stanno spostando al Sud. Oggi ci sono anche numerose condizioni che possono favorire questo passaggio facendo leva anche sulle risorse del digitale.

Qualche settimana fa i dati di Confcommercio raccontavano di un divario in crescita ma anche di una situazione vivace che riguarda le imprese del settore terziario al Sud: magra consolazione?

Il settore terziario al Sud ha sempre funzionato ma temo che i numeri al momento non ci diano ragione: si tratta di un settore che ha sempre bisogno dell’industria; senza, arranca. Dobbiamo essere capaci di rilanciare. Penso alla tesi di Riccardo Varaldo: secondo lui la diffusione di una imprenditorialità avanzata, di tecnologie e servizi può essere una via per lo sviluppo del Meridione; può esserlo, però, a mio avviso, a condizione che questo sviluppo venga sostenuto e che non sia ancora una volta incentivato il passaggio di talenti al Nord.

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