Il 18 gennaio 2023 si è tenuto il Seminario “Deprescrizione farmacologica in Psichiatria e storie di guarigione”, Giuseppe Tibaldi (IIPDW) dialoga con il Collettivo Ponti di Vista – Cantieri in formazione per la salute mentale. E’ stato moderato dalla giovane dr.ssa Chiara Punzi specializzanda in Psichiatria. Pur essendo destinato prevalentemente a medici e operatori del settore, trovo molto proficuo pubblicarne il resoconto per sensibilizzare noi tutti sulla importanza di apprendere cosa sono realmente le malattie mentali.Conoscere significa aiutare a sfatare molti pregiudizi: sulle terapie, sui comportamenti dei familiari, sulla necessità di guardare al lungo periodo e non all’immediato. In basso, riporto l’invito che ho ricevuto e informazioni utili sulla iniziativa, sugli autori e sulle prospettive della Psichiatria nel nostro paese.
Il Convegno
Si riflette sul concetto di guarigione in Psichiatria, il dott. Tibaldi preferisce utilizzare il concetto di guarigione, o meglio, “guaribilità”, piuttosto che quello mutuato dalla tradizione statunitense di “recovery”.
È fondamentale che gli operatori abbiano un’aspettativa favorevole, che non va verbalizzata ma tenuta a mente: è un atteggiamento che transita nella relazione d’aiuto anche se inespressa, e ha un’influenza notevole sull’alleanza terapeutica e sull’outcome, nella misura in cui gli studi sugli effetti placebo e nocebo dimostrano chiaramente (ricerca neurofisiologica, biochimica e di diagnostica per immagini) come un’aspettativa negativa sia in grado di produrre un effetto negativo sulla salute.
Nel confronto con l’utente occorre concentrarsi, in maniera dialogica, sulle sue risorse, e investire energie su queste ultime, anziché sui sintomi e sui deficit. Le associazioni degli “Uditori di voci” lo ricordano spesso. L’obiettivo non è, dunque, la soppressione del nucleo psicotico, in quanto questo può rappresentare per i diretti interessati anche un elemento di ricchezza esistenziale.
È fondamentale per gli operatori formarsi leggendo le storie dei diretti interessati, dei “survivors” della psichiatria (il dott. Tibaldi è direttore della collana “Storie di guarigione”, ed. Mimesis). La chiave della relazione d’aiuto in psichiatria è la curiosità aperta, non finalizzata alla diagnosi, per la biografia, la storia delle persone, come insegna l’Open Dialogue. Bisogna impiegare sempre tutto il tempo necessario per ascoltare le storie delle persone. L’Open Dialogue insegna che le esperienze psicotiche, così come anche le dipendenze patologiche, altro non sono che strategie di esistenza, e vanno pertanto avvicinate con grande cautela alla luce di questa dimensione protettiva.
La letteratura scientifica rileva dei numeri ben più incoraggianti di quelli che immaginiamo istintivamente sulla base dell’esperienza clinica: i Servizi sono frequentati da quella parte degli utenti che ha un livello di disabilità superiore, e dunque occorre ricordare che nei Servizi non è rappresentata statisticamente la situazione di tutte le persone che hanno un disturbo mentale. La letteratura dice che l’80% delle persone che hanno un primo episodio psicotico, il c.d. FEP, (escluse le diagnosi che comprendono disturbi affettivi) guariscono. Circa il 30-40% delle persone con esordio psicotico hanno un decorso meno favorevole, ma nei Servizi rappresentano fino all’80% dell’utenza, per i suddetti motivi.
Ormai si tende a non utilizzare in psichiatria il parametro della “guarigione cinica” (assenza di segni e sintomi di malattia, “clinical recovery”). La guarigione qui intesa (“functional recovery”), invece, può essere definita come una ripresa delle proprie capacità di autogoverno, inclusi i propri talenti e le proprie capacità.
Per non dare l’impressione di voler in qualche modo “illudere” l’utente e la sua rete di relazioni significative, occorre precisare che per “guarigione” si intende qui la guarigione c.d. funzionale o relazionale, e non il ritorno allo stato pre-morboso o la scomparsa radicale di segni e sintomi di malattia, anche detta in medicina restitutio ad integrum. Quest’ultima non sembra essere un obiettivo possibile dal momento che ogni esperienza di vita ne cambia il corso: dopo l’esperienza della psicosi non è possibile immaginare una vita identica a quella precedente. La dimensione della nostalgia del passato, in questo senso, può essere molto dannosa.
La psichiatria “biologista” e riduzionista fonda le sue scelte sul paradigma dell’incomprensibilità dell’esperienza della malattia mentale, considerando pressoché irrilevanti i contenuti specifici e contestuali portati dagli utenti. A tale cultura appartengono le istituzioni manicomiali, le teorie del “broken brain”, il paradigma della centralità assoluta del farmaco (e altre tecniche di manipolazione biologica come la Terapia ElettroConvulsivante), e la psicoeducazione, che può esitare in interventi di invito alla rassegnazione.
Dall’altra parte, quello che fonda la prospettiva alla quale intendiamo aderire è il paradigma della comprensibilità, dove si incontrano gli Autori post-freudiani (Benedetti, Searles, Bion, Pao), le correnti sistemiche (Palazzoli Selvini, Boscolo & Cecchin), l’Open Dialogue, i movimenti degli “Uditori di Voci” (“Power Threat Meaning Framework”, PTMF), la letteratura sulle storie di guarigione (pat Deegan, Lia Govers).
L’obiettivo, in ambito deprescrizione, non è di eliminare le terapie farmacologiche, è di ridurle; solo laddove sussistano ragioni clinicamente sufficienti, la volontà dell’utente, e la competenza sanitaria per consentire un pieno consenso informato, è possibile provare a farne a meno del tutto. Ogni qualvolta si tenta una modifica della terapia farmacologica è bene includere, in un’ottica di polifonia alla maniera dell’Open Dialogue, il prescrittore di quella terapia, per far emergere le ragioni, le criticità e le preoccupazioni del collega. Polifonia significa non selezionare mai le voci nell’incontro, ma anzi favorire l’emersione delle differenze.
La suggestione che ci lascia Giuseppe Tibaldi, grazie alla poesia di Mario Benedetti, è che “c’è una sola spaccatura/ decisamente profonda/ ed è quella che divide la meraviglia/ dell’uomo/ dagli smontatori di meraviglie/ […] Signore e signori/ bisogna scegliere/ scegliete da quale lato/ volete mettere il piede.”
Notizie utili e l’invito
Il Collettivo Ponti di vista è un gruppo di cittadine e cittadini, operatrici e operatori nel campo della salute mentale. Nasce dall’esigenza di unirsi in una rete solida e fluida di persone interessate a interrogare la complessità del lavoro nella salute mentale, che mantenga aperte le contraddizioni continuamente emergenti dalla quotidianità e che risponda alla solitudine che talvolta investe gli operatori impegnati in questo ambito.
Ponti di vista, nelle persone di differenti formazione e provenienza da cui è composto, crede che da una contaminazione delle discipline mediche con altri campi del sapere possano nascere percorsi preziosi, che avvicinino gli operatori alla complessità della salute e della malattia, che consentano di conoscere e curare se stessi – prima di tutto – come individui e come operatori, e, soprattutto, che migliorino gli operatori stessi nel tortuoso lavoro del prendersi cura.
Anche per il buon riscontro di questo articolo, in termini di lettori, contatti, ecc.,mi fa piacere precisare che il resoconto pubblicato è stato redatto dalla dr.ssa Chiara Punzi, moderatrice dell’evento e che mi ha inviato anche il link per chi volesse vedere il convegno.
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