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Attualità del corso forzoso della moneta, la lezione del 1866

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La Circolare della Banca Nazionale nel Regno d’Italia del Direttore Generale Carlo Bombrini. Tratto da Aldo Sgarano, Il Palazzo della Banca d’Italia in Firenze.
Il corso forzoso della lira, per 150 anni emblema del Paese

Un pò di ripasso di storia economica che ha avuto maestri del livello di Marcello De Cecco e Carlo Maria Cipolla per inquadrare l’interessante documento (burocraticamente una circolare) della Banca Nazionale nel Regno del 1866 a firma del Direttore Generale dell’epoca Carlo Bombrini, emanata negli anni di Firenze Capitale (1865-1870) e conservata nell’archivio storico della Banca d’Italia di Firenze.

Con esso si diramavano istruzioni sul corso forzoso della lira (cioè non più convertibile in oro) e sugli impieghi bancari erogati in qualità di istituto di emissione, in concorrenza con altri che all’epoca coesistevano, prima che confluissero nella Banca d’Italia.

Il brano che segue è tratto dalla Enciclopedia Treccani e l’occasione è di chiedersi se ha senso ricordare un provvedimento antico come il corso forzoso di oltre 150 anni fa. Noi, ai tempi in cui viviamo, crediamo di sì.

Il sistema di cartamoneta inconvertibile apparve per la prima volta nel periodo napoleonico, a motivo di una profonda crisi del sistema aureo. La riduzione delle riserve in oro fu la ragione comune che, attraverso i secoli, indusse numerosi Stati ad adottare il corso monetario forzoso.

Questa contrazione fu sovente determinata dalla necessità di adoperare l’oro per ottemperare ai debiti contratti con l’estero, indispensabili per coprire le spese legate alle operazioni di guerra. In tale situazione, molte nazioni registrarono contestualmente ingenti disavanzi della bilancia dei pagamenti.

Questo scenario portò all’emissione di moneta fiduciaria in misura maggiore rispetto alle reali capacità degli Stati, costretti, a quel punto, a indebitarsi con la banca centrale, fino a quando la totale assenza di riserve auree, necessarie per la conversione, obbligava gli stessi governi a conferire mandato alla banca centrale per l’interruzione della convertibilità, e la trasformazione del sistema monetario in corso forzoso.

Il sistema inconvertibile fu adottato in Italia su provvedimento del ministro delle Finanze A. Scialoja, nel 1866, con l’obiettivo di far aumentare la circolazione della moneta cartacea rispetto a quella metallica. In tali anni, 6 banche emettevano biglietti, due delle quali, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, di proprietà pubblica.

Anche a seguito dell’adozione del corso f. rimase invariato il numero degli istituti di emissione, convalidato da una legge del 1874. Le cause che portarono l’Italia a proclamare il corso f. furono eterogenee ma, sostanzialmente, comuni a quanto già enucleato. Il Paese viveva un’accentuata fase recessiva, legata alla crisi nata negli Stati Uniti a seguito della guerra di Secessione del quinquennio 1861-65.

La guerra condusse gli Stati Uniti a richiedere i crediti concessi a numerosi Stati. Ciò si riflesse, particolarmente, nell’economia dei Paesi europei, e quindi dell’Italia. Nello stesso periodo, i mercati finanziari furono colpiti da una profonda crisi, legata a una decisa caduta dei titoli, inclusi quelli di Stato.

Anche gli accordi che l’Italia concluse con la Prussia, proprio negli anni in cui ebbe origine il conflitto franco-prussiano, determinarono significative perdite nelle quotazioni, che toccarono livelli minimi storici. A queste difficoltà, si aggiunse il persistente disavanzo del bilancio dello Stato, per il quale fu necessario il ricorso al debito pubblico, attraverso l’emissione di titoli quotati sotto la pari,per raggiungere un numero maggiore di sottoscrittori.

Le criticità economiche del Paese divennero sempre crescenti, e per riuscire a corrispondere ai creditori esteri la cosiddetta rendita italiana, tasso annuo che lo Stato si obbligava a pagare, divenne indispensabile all’Italia la richiesta alla Banca Nazionale di un prestito di importo pari a 250 milioni di lire. Vincolo del prestito fu l’inconvertibilità dei biglietti dello stesso istituto. Ciò determinò l’adozione del corso forzoso.

A seguito del provvedimento si manifestò un incremento del prezzo dei beni e dei servizi, per via della progressiva diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Il corso f. venne temporaneamente abolito tra il 1881 e il 1893, anni nei quali fu istituita la Banca d’Italia.

Nei decenni successivi, si alternò ad altri sistemi con la possibilità di conversione, ma le difficoltà economiche che si presentarono, come negli anni della Prima guerra mondiale, costrinsero più volte il governo a ripristinare un sistema monetario cartaceo a corso forzoso.”

Il Governo, quindi, usava gli istituti di emissione come longa manus per assicurare un minimo di ordine finanziario che era stato pesantemente compromesso da scelte di politica internazionale e di spesa pubblica. Il nuovo Stato nasceva anche con queste idee che condizioneranno la storia successiva, fino ai nostri giorni.

Il costo dell’Unità (Da La Banca d’Italia 100 anni 1893-1993)

Illuminanti queste poche frasi, che insistono sulla stessa visione.

“Ma l’Unità si rivelò immediatamente costosa. Il debito pubblico degli Stati preunitari, la guerra del 1866, i grandi programmi infrastrutturali degli anni sessanta e settanta, ebbero pesanti conseguenze sui conti dello Stato. Alla vigilia della guerra, nel 1866, il debito pubblico ammontava al 72 per cento del prodotto interno lordo.

Per le esigenze del conflitto il gorerno dovette chiedere alla Banca Nazionale un prestito di 250 milioni. Lo ottenne ma dovette concederle l’instaurazione del corso forzoso, vale a dire il diritto di rifiutare la conversione in oro e argento dei biglietti presentati all’incasso.

Come accadrà più volte in futuro la crisi contribuì a definire le competenze e a rafforzare l’autorità della banca di emissione.

Cominciò da allora, soprattutto dopo il ritorno di Quintino Sella al ministero delle Finanze nel 1866, la lunga battaglia contro il diavanzo. Per vincerla il goveno ricorse al contenimento delle spese, alla pressione fiscale e, con risultati modesti, alla vendita dell’asse ecclesiastico.

La battaglia fu vinta nel 1876 quando il pareggio venne finalmente raggiunto. Ma il debito pubblico, nel frattempo, era andato crescendo sino a toccare il 92 per cento del prodotto interno lordo. Siamo negli anni settanta del secolo scorso e l’Italia è già alle prese con tutti i problemi da cui sarà periodicamente afflitta nei corso della sua storia nazionale: debito pubblico, disavanzo, privatizzazioni e l’incapacità della lira di recare fermamente ancorata agli stessi rapporti di cambio con le maggiori valute europeo.

Sono i problemi di cui dovrà occuparsi la banca di emissione a mano a mano che le vicende del Paese contribuiranno a definire il suo ruolo.”

Creare il credito dalla moneta

Tecnicamente, considerata la scarsa diffusione dei depositi bancari, la fonte principale di risorse per effettuare il credito bancario era costituita proprio dall’emissione di biglietti: in pratica, accettando i biglietti di banca, il pubblico faceva credito agli istituti di emissione, e questi potevano far credito alle altre banche e ai propri clienti.

Vale la pena ricordare come in quell’epoca ancora molti fossero coloro che guardavano alla moneta cartacea con una certa diffidenza, un disagio registrato con grande efficacia anche dalla letteratura dell’epoca.

Giovanni Verga ne La Roba (1880) racconta di quel contadino che aveva capito molto bene come sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Padrone di più di cinquemila anime che vivevano sulle sue terre ricche di vigne e di messi, passava giornate intere a contare, nel chiuso della propria casa, i denari incassati dalla vendita del vino, dell’olio, del frumento, sonanti pezzi d’argento di grosso taglio, “ché lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba, e andava a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare il Re, o gli altri”.

Ritorniamo alla Circolare di Carlo Bombrini che con un linguaggio semplice, per niente burocratico, da’ indicazioni ai Direttori degli stabilimenti della Banca su come comportarsi dopo la decretazione del corso forzoso. Vediamo qualche passaggio tratto dal documento che conta tre pagine in tutto.

Senza giri di parole, l’incipit va diritto al punto per annunciare una svolta epocale: “Il provvedimento del corso obbligatorio dei biglietti ha dato facoltà al nostro Stabilimento di recedere dalle misure restrittive degli impieghi, che erano rese necessarie per conservarlo nella posizione di fare onore ai propri impegni continuando il cambio dei suoi biglietti.”

Che il nuovo corso cominci, ma attenti alla speculazione

Dopo aver spiegato il significato del provvedimento, Bombrini richiama i Direttori delle filiali della Banca e i Consigli di reggenza della Banca Nazionale sul rischio delle speculazioni, a cui dedica tutta la seconda parte della lettera circolare.

La seconda pagina della circolare sul corso forzoso
La terza pagina della circolare sul corso forzoso

Attenti a non dare lena alla speculazione” scrive e “sono a raccomandarle di raddoppiare la prudenza”, ribadisce. Il maggior credito deve andare alla economia, perché la fine delle restrizioni creditizie non deve estendersi alle anticipazioni sui titoli della Rendita italiana e sui depositi di valute d’oro e d’argento, da tenere sotto stretto controllo. Poiché, stanti i bassi tassi d’interesse, queste operazioni consentono di lucrare sull’aggio e sul differenziale di interessi con la Rendita. Non fate nemmeno troppe operazioni di sconto, aggiunge, poichè potrebbero sottendere l’uso di carta di comodo. Sono indicazioni chiare circa la consapevolezza dei rischi di una politica monetaria permissiva.

Analogie odierne?

Ecco da dove Giovanni Verga ha tratto spunto per il suo personaggio, che accumula ricchezza buona in cambio di mezzi di pagamento cattivi! Mazzarò restituirà i debiti e pagherà le tasse con carta “sudicia”, tenendo per sé la roba buona. Privatizzerà i guadagni frutto della speculazione e dello sfruttamento del lavoro altrui e socializzerà le perdite della svalutazione della moneta cartacea.

Forse Verga, traducendo letterariamente gli effetti del corso forzoso, ha potuto davvero leggere la lettera di Bombrini, che li spiega con chiarezza disarmante, per tutti. E che si materializzano nei profittatori d’ogni specie.

Oggi diremmo che questa lettera è addirittura una lezione di educazione finanziaria non libresca, tratta dal corpo vivo delle istituzioni e dei mercati e soprattutto da quello delle classi meno abbienti. Con gli speculatori che hanno sempre accompagnato gli scenari finanziari sul punto di ribaltarsi, creando opportunità per i già ricchi.

La storia, pur non ripetendosi, offre analogie che fanno riflettere, ora che siamo alla fine di un quantitative easing che, durato anni, sembrava la soluzione definitiva di tutti i nostri problemi. BCE accomodante e tassi addirittura negativi per tanti anni sembravano la panacea, pur essendo la trappola della liquidità pronta a scattare sulle nostre teste. Il QE sembrava la “fine della storia monetaria”, verrebbe da dire, parafrasando il noto libro di Francis Fukujama.

Improvvisi e imprevisti shock esterni e sempre più marcati squilibri interni alle economie capitalistiche hanno invece fatto ripartire l’inflazione (dalle materie prime, ai carburanti, ai beni di consumo di base) e data “nuova lena”, direbbe Bombrini, agli speculatori, con i tassi di interesse che, salendo, preannunciano il credit crunch e la recessione.

Oggi viene dunque da chiedersi se esistano davvero maghi della politica monetaria e salvatori delle patrie finanziarie, piuttosto che uomini, più fortunati, che hanno visto associare il loro nome a circostanze particolari, conservando un’aura salvifica per sempre, whatever it takes.

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