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La comunità energetica come nucleo per superare la crisi

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Diciamoci la verità, la qualità della vita di questo primo ventennio del XXI Secolo è ben lontana dagli standard che ci eravamo immaginati ai suoi albori. La fine degli anni Novanta del Novecento erano terminati con i migliori auspici e una certa dose di fiducia per quella che avrebbe dovuto essere una nuova belle époque. A quel tempo, la più grande (seppur non banale) preoccupazione era quella del millennium bug, eppure, proprio come la belle époque, stiamo rischiando una fine altrettanto drammatica.

Oggi, tra carenza di materie prime, crisi alimentari, guerre, pandemia, interruzione delle catene di rifornimenti, inflazione, stagnazione economica e crisi energetiche non ci stiamo facendo mancare davvero nulla. Un mix pernicioso di fattori che contribuiscono ad impoverire e ad indebolire le società, minandole dalle basi.
Dal punto di vista energetico, in particolare, la situazione vive oggi una fase di stallo, con i prezzi dell’energia solo momentaneamente calati e apparentemente sotto controllo ma, soprattutto con l’inverno alle porte, tale frangente può cambiare rapidamente.
In questo scenario, la necessità è quella di individuare rimedi rapidi ed efficaci che soddisfino i fabbisogni energetici crescenti, possibilmente senza incidere troppo sulle abitudini consolidate dei cittadini. Negli ultimi mesi, ad esempio, si sono rincorsi vademecum, consigli, suggerimenti e indicazioni strategiche su come risparmiare o rendere più efficienti i nostri sistemi energetici. Dalla cottura della pasta a fuoco spento, alla regolazione dei termostati, ognuno indica la sua via.
E se al di là del mero risparmio e del cambiamento delle nostre abitudini, ci fosse qualcosa di più? I combustibili fossili – tra l’altro principali indiziati tanto della crisi a causa della nostra assuefazione nei loro confronti, quanto dell’eccesso dell’inquinamento – pur nella loro carenza, sarebbero nell’immediato la risposta più semplice ed efficace, e per certi aspetti persino la più logica.
Ma nell’ottica di un cambio di paradigma probabilmente anche la meno percorribile. Dal canto loro, le semplici rinnovabili rappresentano una prospettiva affascinante, ma per certi aspetti ancora sopravvalutate a meno di enormi investimenti infrastrutturali che ad oggi (pur praticabili) richiedono tempo e danaro.
Per quanto riguarda il nucleare, l’unica tecnologia che effettivamente potrebbe soddisfare l’ampio fabbisogno energetico della nostra epoca, questo non è in grado di essere di supporto in tempi rapidi, e quindi di non esserci di alcun aiuto nel breve periodo.
A questo punto, si fa strada l’ipotesi del paradosso. Nella società globalizzata, connessa e sempre online, l’idea è quella di restringere – almeno in parte – il perimetro d’azione dell’incedere umano, ritornando ad una dimensione essenziale del vivere e del consumare, iniziando proprio dall’energia, attraverso le comunità energetiche: una possibile soluzione proveniente dal basso.
La comunità energetica, così come definito dal progetto europeo GECO, è “una coalizione di utenti che, tramite la volontaria adesione ad un contratto, collabora con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno o più impianti locali”.
Per inquadrare le dimensioni del fenomeno e derubricarlo dal semplice status di moda passeggera, basti indicare che in Italia sono almeno 100 le comunità energetiche, tra attive o in fase di attivazione, e che entro il 2050 si stima che 264 milioni di cittadini europei si uniranno generando fino al 45% dell’energia elettrica rinnovabile. Se ciò non bastasse, secondo la Commissione Europea, entro il 2030, tali consorzi potrebbero arrivare a possedere il 17% della capacità eolica e il 21% di quella fotovoltaica.
Questa comunità, in cui i componenti sono detti prosumer (ovvero produttori consumatori), rappresenta quindi solo un apparente passo indietro, dal sapore medievale, che rifugge l’economia di mercato e sposa quella di sussistenza, rispetto alla società aperta e consumistica che viviamo oggi. Si tratta, anzi, di un nucleo modello improntato sui principi della collaborazione e della condivisione di modo che l’energia prodotta serve sia ad autoalimentare la comunità ma anche ad immettere l’eccesso nella rete elettrica. Il principio di base è quello che in molti già svolgono attraverso, ad esempio, il ricorso domestico a pannelli fotovoltaici.
Così facendo, però, il modello è riprodotto in maniera sistematica e su più ampia scala. Per identificare una comunità energetica, va chiarito, non dobbiamo pensare necessariamente alla “comune agricola”, ma è sufficiente immaginare che anche i nostri condomini, se ben organizzati, possono rappresentare una specie di tale comunità.
In Italia, attualmente è possibile costituirsi in comunità energetiche e diventare comproprietari di impianti di produzione fino ad un massimo di 200 kilowatt di potenza, in grado di scambiare energia per autoconsumo e immettere in rete l’energia in eccesso ricevendo un incentivo da parte del Gestore.
Lo stabilirsi di una comunità energetica rappresenta l’avvio di un’iniziativa proattiva per lo sviluppo sostenibile del Paese in cui lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili diventano essi stessi strumenti di condivisione sociale che, man mano, producono una loro dialettica e codificano i rapporti tra i partecipanti e il mondo esterno. Al di là, infatti, dei benefici in termini di risparmio ed emissioni non è casuale definire tali nuclei “comunità” in quanto si tratta di veri e propri nuovi modelli socioeconomici che pongono le singole famiglie all’interno di un meccanismo per cui ciascuno si prende cura del proprio prossimo.
Sembra utopistico, e in buona parte lo è, ma si tratta anche di un modello che, se diffuso, potrebbe aiutare notevolmente a sostenere da un lato lo sviluppo delle comunità locali (anche di quelle geograficamente disagiate) e dall’altro promuovere la modernizzazione della rete di produzione e di distribuzione energetica nazionale attraverso l’implementazione e l’integrazione di sistemi innovativi, digitalizzati, efficienti ed intuitivi, di gestione del fabbisogno.
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