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E’ possibile fare letteratura d’impresa?

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Nina sull’argine 

Ho partecipato in questi giorni all’evento Bergamo Città Impresa Festival dei territori industriali, ricco di interessanti sessioni di discussione. Tra i momenti di rilievo vi era la sezione dedicata all’assegnazione del premio di letteratura d’impresa, vinto dal romanzo Nina sull’argine di Veronica Galletta (edizioni Minimum fax Media, €13,60 su Amazon).

E’ il racconto di una esperienza vissuta nel campo degli appalti pubblici da un’ingegnere, incaricata di gestire il cantiere e di collaudare le opere, tra una serie di ostacoli burocratici e ambiguità comportamentali di personaggi a lei vicini. Seppure con notevoli differenze di contesto e di trama, richiama il capolavoro di Primo Levi La chiave a stella, sull’orgoglio di un tecnico nel raccontare il lavoro svolto in cantieri internazionali negli Anni Settanta.

Qui l’infrastruttura cui la protagonista sovraintende sono le opere di rafforzamento degli argini per scongiurare il pericolo di alluvioni per le piene del fiume Po. E’ un racconto con risvolti autobiografici e di sentimenti lavorativi che, con sensibilità procede tra le incertezze, i dubbi e le contrapposizioni che contraddistinguono ogni lavoro professionale, ponendosi a pieno titolo come esempio di un genere letterario finora poco praticato: quello dei racconti legati al mondo produttivo.

La letteratura d’impresa e i suoi concorrenti

Da noi oltre il novanta per cento dei romanzi che vengono editati ogni anno riguardano storie d’amore e poliziesche. Altri argomenti sono residuali.

La prima domanda che dovremmo porci è perché questo disinteresse per i racconti d’impresa, che è la forma sociale più diffusa della vita moderna. I libri sull’impresa hanno poco mercato? Sono troppo difficili da scrivere? Ci sono pregiudizi sulla materia? Sono adeguate le attenzioni editoriali? Probabilmente tutte queste ragioni sono valide e non sono le sole.

La seconda riguarda il modo secondo il quale le eccezioni a questo disinteresse sono trattate. Esse riguardano per lo più lo storytelling di imprese di successo, con la conseguenza che le narrazioni rischiano di essere operazioni di propaganda commerciale piuttosto che fonte di generalizzazione di situazioni, cioè di modelli replicabili, in grado di esercitare un riferimento virtuoso per altre imprese.

Va anche aggiunto che ci si dimentica di trattare delle crisi dell’impresa e dei profondi cambiamenti in atto tra fenomeni deindustrializzazione e reindistrializzazione, che incidono sulle condizioni di vita e lavorative di molte realtà territoriali. I fatti traumatici purtroppo non mancano e di conseguenza gli spunti narrativi.

Siamo in una fase di forte cambiamento (passaggio da un’economia di prodotto a un’economia di servizi, bisogno di colmare ritardi strutturali, introduzione delle tematiche ambientali e del lavoro da remoto nella produzione) che influiranno sulle condizioni e sui sentimenti individuali dell’adattamento o del rifiuto, tipici di ogni fase di trasformazione.

L’impresa contesto letterario

Il rapporto tra impresa e finanza, fondamentale per spiegare successi e insuccessi, resta poco indagato e anche il valore culturale del fallimento non come sconfitta, ma come momento di rigenerazione può offrire temi per racconti di interesse generale.

Torno a dire che le rappresentazioni che puntano più sull’esaltazione romantica dell’idea della iniziativa imprenditoriale e sulla figura eroica dell’imprenditore costituiscono una rappresentazione ipersemplificata di una realtà complessa, che necessita molteplicità interpretative e prospettive differenziate.

Ritengo che il racconto debba andare alla ricerca proprio degli elementi controversi, per contribuire al miglioramento della cultura imprenditoriale, da applicare all’evoluzione tecnologica, del governo societario, dei modelli di business e organizzativi, del recepimento della innovazione. Vere e proprie metamorfosi da compiere in un tempo ristretto e sotto la spada di Damocle della perdita di competitività.

La sola elencazione di questi temi ci fa capire come l’impresa, anche se piccola, sia elemento del vivere sociale, con tutto quello che ciò comporta in termini di responsabilità. La letteratura ha il compito di aiutare a integrare l’impresa nella società, facendosi veicolo di comprensione di questa convulsa fase e sollevando domande sul tempo che ci attende.

Interpretare la società di riferimento non è forse lo scopo della letteratura e non è il nostro il tempo dell’impresa? E’ importante rivolgere l’attenzione ai fattori di squilibrio, ai conflitti interni ed esterni alla impresa, da quelli attinenti alla proprietà, alle scelte strategiche, dalle relazioni industriali, alle risposte del mercato, dalle inefficienze produttive, alle deviazioni dall’oggetto principale, magari alla ricerca di opportunità alternative, dopo aver estratto il massimo del valore dalle caratteristiche originarie.

Quante imprese sono morte, inseguendo l’illusione della speculazione immobiliare o finanziaria, cioè tradendo le proprie origini e le proprie originalità? Senza nulla dire delle crisi delle banche degli ultimi anni, che hanno accresciuto il fenomeno dell’esclusione finanziaria, incidendo sulle condizioni di molti piccoli imprenditori.

Il racconto delle pulsioni e degli interessi sottostanti ai contrasti offre materia letteraria per introspezioni e riflessioni sia sulla evoluzione che sulla dissoluzione dell’impresa. Ogni attività d’impresa è un processo collettivo, il frutto della capacità di coordinare il lavoro di più persone cercandone il massimo coinvolgimento propositivo. Nelle dinamiche che ne scaturiscono, le contraddizioni sono più comuni delle decisioni lineari.

Il racconto di una sconfitta imprenditoriale 

Ne Il sogno di Antonio, Manuale sentimentale di management, di Eliane Cordà (Goware, € 13,99, sulle principali piattaforme) si affronta proprio il tema della sconfitta imprenditoriale, in un clima di piccole guerre personali di potere, che impediscono a una società informatica di compiere un’operazione di internazionalizzazione, con prospettive di sicuro successo. Il tema generale è quello della innovazione rifiutata perché ribalta equilibri consolidati. Il protagonista si interroga a lungo sulla irrazionalità di certe azioni, senza pervenire ad una spiegazione definitiva dell’accaduto.

E’ interessante il pensiero dell’autrice, che, immedesimandosi nella vicenda, ma anche consapevole delle difficoltà di rappresentarla, così descrive la sua scelta letteraria:

Prima che le critiche piovano in abbondanza su questo mio racconto, dichiaro che non sarò mai interessata a storie di generosi cavalieri e di coraggiosi capitani d’impresa, ma a quelle di personaggi comuni, inclini ad errori di valutazione, talvolta fatali per le loro aziende. Spesso alla base di questi errori vi sono chiusure mentali e improvvisazioni che si manifestano come meno ti aspetteresti. Insomma, caratteri comuni del comune uomo imprenditore, che possono essere più forti di qualsiasi brillante intuizione, di qualsiasi ragionevole buon senso, di qualsiasi robusta costruzione. Se questi casi trovano il modo di lasciarsi raccontare, possono insegnare molto, facendo leva sulla cultura delle lezioni apprese, ancora così poco diffusa”.

Il sottostante umano dell’impresa

Oggi le debolezze da affrontare sono la formazione del capitale umano, i ritardi della digitalizzazione, l’inadeguatezza della finanza d’impresa. La letteratura, attraverso il racconto, può aiutare a diffondere queste complesse istanze, ricorrendo alla metafora e stilizzando vicende che il mondo reale offre in continuazione. Con ciò, facendo comprendere il sottostante umano e aprendo anche alla sperimentazione di linguaggi innovativi, per facilitare le conoscenze di tecnicalità produttive e organizzative.

Come ci ricorda Antonio Calabró (L’ avvenire della memoria Raccontare l’impresa per stimolare l’innovazione, Egea, €16), la letteratura d’impresa può avere un importante avvenire, trovando spazi di espressione alla cultura d’impresa, per una rappresentazione consapevole e attendibile delle trasformazioni in corso, senza mai dimenticare che alla base del mondo produttivo rimane quell’umanesimo industriale che ha segnato la storia del paese.

E’ come se la letteratura d’impresa debba sentirsi costantemente impegnata a smentire l’aforisma di Ezra Pound secondo il quale “con una cosa fredda come l’economia non si possono smuovere i sentimenti”.

Il quotidiano lavorativo dell’imprenditore, del manager, dell’operativo esprime una costellazione di emozioni, di slanci, di dubbi, di delusioni, di contrapposizioni, di scelte positive e di azioni irrazionali, tale da segnare, oltre alla vita individuale dei protagonisti, le sorti delle imprese, stabilendone la forza di contribuire al nostro sviluppo o al nostro regresso.

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