“Lei parla continuamente di informazioni. Un giorno dice che non informiamo abbastanza i nostri clienti sull’impegno che stanno prendendo, il giorno dopo che noi, dal canto nostro, non ci informiamo abbastanza sulle loro capacità di rimborso. Ma quello che vogliono i nostri clienti sono i soldi, non informazioni che li dissuadano dal prenderli in prestito. E quello che vogliamo noi è guadagnare prestando soldi, non raccogliere informazioni che ci dissuadano dal prestarne.”
Emmanuel Carrére nel romanzo “Vite che non sono la mia” (Adelphi edizioni, su Amazon €18) evidenzia con chiarezza, facendo pronunciare la suddetta frase a un esponente di un’istituzione finanziaria, i problemi di fondo che caratterizzano le relazioni tra i clienti-consumatori e gli intermediari finanziari.
Si tratta di uno squilibrio di informazioni tra gli intermediari professionali (tra cui vanno incluse le banche) e i clienti; ma se la prima forma di disequilibrio (ben nota come “asimmetria informativa”) ha origine dalla diversa forza contrattuale delle due parti (più forte tecnicamente e patrimonialmente quella dell’intermediario, più debole “fisiologicamente” quella del cliente), la seconda forma nasce dalla “rinuncia” dell’ente creditizio a raccogliere le informazioni necessarie a valutare correttamente la capacità dei clienti di rimborsare i debiti.
L’evoluzione normativa, per lo più di derivazione comunitaria, ha cercato di ovviare a questo disequilibrio, in primo luogo attraverso regole che obbligano gli intermediari a fornire corrette informazioni sui prodotti finanziari offerti alla clientela (un esempio è l’introduzione oramai trentennale della normativa sulla “trasparenza” sulle condizioni sui prodotti bancari).
Più di recente si è cercato di ovviare alla seconda forma di carenza informativa attraverso l’introduzione delle disposizioni sul credito “responsabile”, che in estrema, sintesi obbliga gli istituti di credito a svolgere tutte le analisi necessarie per valutare adeguatamente le capacità di rimborso del cliente onde evitare i rischi di sovra- indebitamento (anche se a prima vista può sembrare strana una regolamentazione ad hoc per obbligare le istituzioni creditizie a svolgere attività che, per definizione, fanno parte del loro mestiere!).
Comunque, alla luce di questa evoluzione delle norme, il rapporto istituzioni – clienti consumatori si svolge ora una su basi più equilibrate?
“L’unica volta che un professore, all’ENM (École nationale de la magistrature), aveva parlato di leggi a tutela del consumatore, lo aveva fatto con sprezzante ironia, come di leggi destinate agli imbecilli, a persone che firmano contratti senza leggerli e a cui è pura demagogia voler prestare assistenza. Il fondamento del diritto civile, si legge nei manuali, è il contratto. E il fondamento del contratto è l’autonomia e l’uguaglianza delle parti. Nessuno si impegna o dovrebbe impegnarsi contro il proprio volere, chi lo fa deve poi accettarne le conseguenze: la prossima volta sarà più cauto.”
Così narra un personaggio (giudice su materie di controversie finanziarie) del romanzo di Carrére, fino ad arrivare alla considerazione secondo cui “ll problema della legge.. è che le finanziarie a cui in teoria dovrebbe imporre delle regole non la rispettano e che i consumatori, a cui dovrebbe garantire delle tutele non la conoscono”.
Al di là delle espressioni talora perentorie e pur tenendo presente che le suddette considerazioni si riferiscono a un specifica realtà (quella francese) di un periodo storico non proprio recente (il romanzo è del 2009), Carrére evidenzia gli elementi che, pur ridimensionati, ancora impediscono di raggiungere un equilibrio pienamente soddisfacente dei rapporti consumatori-istituzioni finanziarie. Questo avviene, da un lato, perché per definizione il cliente rispetto all’intermediario conosce meno la natura del bene o del servizio da acquistare e il contenuto del regolamento contrattuale che lo vincolerà, (aspetto ben noto che ha dato vita alla copiosa normativa di tutela del consumatore). Dall’altro lato, non sempre gli obblighi informativi e di correttezza sono assolti compiutamente; lo dimostrano, ad esempio, il numero e le diverse casistiche dei ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario, organismo di risoluzione stragiudiziale in materia bancaria e finanziaria, le cui decisioni in larga misura continuano a essere favorevoli ai clienti, con conseguenti oneri di restituzione a carico degli intermediari.
Ma probabilmente l’asimmetria più insidiosa non è quella informativa, bensì quella comportamentale. Nel suo romanzo Carrére descrive, infatti, con il suo stile asciutto e nel stesso tempo intenso, anche alcuni casi concreti di clienti (indotti a indebitarsi da comportamenti di spesa poco responsabili e dalla facilità di accesso a forme di finanziamento “agevolati” e all’utilizzo di carte revolving). I casi descritti sono ancora attuali e, purtroppo, non infrequenti.
La descrizione indugia su aspetti “tecnici”, senza naturalmente trascurare di evidenziare le esigenze di tutela del consumatore in quanto (innanzitutto) persona, talora espressione di un’umanità dolente e poco fortunata.
Tutto ciò fa di questa parte del romanzo, con l’efficacia della prosa letteraria, un piccolo manuale di alfabetizzazione finanziaria, almeno per quanto riguarda l’accesso al credito da parte dei consumatori.
In conclusione, si tratta di un romanzo che narra, come chiarisce il titolo, la vita (di altri), comprensiva dei disagi e del dolore; ma raccontando dell’esistenza altrui si racconta e si riconosce la propria.
Ciò vale per tutti gli aspetti della vita…compresi quelli finanziari!