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Sotto i nostri piedi, alla profondità di qualche chilometro al massimo, c’è una quantità di energia sufficiente a soddisfare, potenzialmente, l’intero fabbisogno dell’umanità. È l’energia che può essere prodotta del calore della Terra. Anche se al momento ha ancora un ruolo marginale nel bilancio energetico mondiale, potrebbe diventare una delle protagoniste della transizione energetica verso l’uso di fonti green. Essa permette di abbattere la produzione di anidride carbonica, di polveri sottili e di altre sostanze tossiche che provocano l’effetto serra e che, dunque, contribuiscono al tanto temuto cambiamento climatico.
Produrre calore
La produzione di calore è sempre stata una problematica per la quale l’uomo, anche di millenni fa, si è prodigato per trovare soluzioni.
I cinesi costruirono il centro termale più antico che si conosca, una piscina in pietra sulla montagna di Lisan durante la dinastia Qin nel III secolo a.C.. I Romani conquistarono nel I secolo a.C Aquae Sulis divenuta poi il rinomato centro termale di Bath nel Somerset in Inghilterra, utilizzando sorgenti calde per alimentare i bagni pubblici e il riscaldamento a pavimento delle abitazioni. I bagni termali furono il primo utilizzo commerciale dell’energia geotermica. Il vapore e l’acqua calda dal geyser sono utilizzati per il riscaldamento domestico in Islanda a partire dal 1943.
L’energia geotermica, fu utilizzata e sfruttata per la prima volta al mondo, dal fiorentino Principe Piero Ginori Conti, che il 4 luglio del 1904 la usò per produrre elettricità. Fu costruito poco dopo il primo generatore geotermico a Larderello, in Toscana, dove in seguito furono erette vere e proprie centrali geotermiche.
Anche dal Monte Amiata alcuni decenni dopo si è iniziato a produrla, generata dai vapori estratti dal sottosuolo del vulcano spento.
L’energia geotermica è una fonte stabile da cui è possibile ricavare energia costante, con un’occupazione del suolo in termini di impianti e infrastrutture più contenuta rispetto alle altre fonti rinnovabili. Inoltre, l’assenza di processi di combustione contribuisce alla riduzione delle emissioni di inquinanti e di CO2. L’energia termica accumulata nel sottosuolo fuoriesce sulla superficie terrestre attraverso vettori fluidi, quali acqua e vapore.
Esistono tre tipologie di centrali geotermiche.
Quelle a vapore secco, in cui il vapore è estratto dalle fratture presenti nel terreno ed utilizzato per azionare una turbina.
Quelle flash che trasformano l’acqua bollente e ad alta pressione in acqua più fredda e a bassa pressione.
E quelle binarie, in cui un fluido con il punto di ebollizione inferiore rispetto a quello dell’acqua viene fatto scorrere a fianco dell’acqua bollente, la quale trasforma il fluido in vapore che, a pressione, andrà ad azionare una turbina.
Fonte di energia verde rinnovabile per eccellenza, l’energia geotermica è un’energia pulita a cui fanno da cornice altri non trascurabili vantaggi. La produzione è continua, indipendentemente dalle temperature esterne, dalle condizioni meteorologiche e dall’alternanza giorno-notte. Tra le energie rinnovabili, la geotermica concretizza la fonte che riesce a produrre la maggiore quantità di elettricità.
Gli impianti geotermici sono silenziosi, non creano problemi acustici e non emettono anidride carbonica e polveri sottili. Gli scarti di produzione vengono rimessi in circolo grazie al riciclo del vapore prodotto e l’assenza di processi di combustione riduce al minimo la necessità di interventi di manutenzione sugli impianti. Può essere distribuita a livello domestico per il teleriscaldamento delle abitazioni.
Questa energia può essere infatti utilizzata per produrre sia elettricità sia calore, secondo il processo della cogenerazione, cioè di generazione contemporanea di energia meccanica, da trasformare in energia elettrica, e di calore utilizzabile per il riscaldamento di edifici oppure per insediamenti industriali e agricoli, come le produzioni in serra.
È di grande rilevanza lo studio condotto dal Massachusetts Institute of Technology, MIT, che afferma che la potenziale energia geotermica contenuta sul nostro pianeta si aggira attorno ai 12.600.000 ZJ e che con le attuali tecnologie è possibile utilizzarne solamente 2000 ZJ e, dato che il consumo mondiale del pianeta ammonta a un totale di 0,5 ZJ all’anno, con la sola energia geotermica si potrebbe soddisfare il fabbisogno planetario per i prossimi 4000 anni.
Quindi la domanda è se per il MIT americano e per la nostra ENEL, l’energia geotermica presenta tutti i vantaggi che abbiamo detto (sostanzialmente gratuita una volta completato l’impianto, disponibile in misura illimitata e costante, etc.etc.) perché continuiamo a “guerrigliare” per le fonti di energia?
Un paese ricchissimo e confusionario
Se non mettiamo a terra i tanti (e abbandonati) progetti che la riguardano, sarà l’ennesima occasione di mancato sfruttamento delle nostre risorse e saremo sempre al punto in cui i paesi detentori di petrolio come quelli arabi ai tempi delle due crisi petrolifere della seconda metà del secolo scorso e quelli del gas metano come la Russia ai giorni nostri continueranno a sollecitarci cervellotiche e austere politiche di risparmi energetici, rimettendo la soluzione alla benevolenza del consumatore. Al quale si promette in cambio di scontare le bollette, mettendole a carico del contribuente che è poi egli medesimo. Potenza delle partite di giro!
Noi siamo forse il paese più ricco al mondo di fonti energetiche rinnovabili grazie al soleggiamento, ai venti, alle correnti marine, alle risorse idriche alpine e appenniniche e alla geotermia per parlare delle principali, cui sono da aggiungere il biogas da produzioni agricole e da rifiuti e quelle ottenibili dal recupero delle acque piovane, nel quale siamo tra gli ultimi al mondo. Raccogliamo poco più del 10% delle nostre precipitazioni annue. Insomma quantità e differenziabilità non sono vantaggi da poco a nostra disposizione e il tempo per tecnologie sempre più evolute e abbordabili è maturo.
Non lo sono invece i nostri governanti che, quanto a strategie energetiche, hanno prodotto solo soluzioni di breve respiro, in negativo (i no si sono sprecati non solo al nucleare, ma anche alle pale eoliche), soluzioni di emergenza, dell’ultimo minuto e, solo per questo, contraddittorie e dispendiose, che ci hanno portato nel cul de sac nel quale ci stiamo dibattendo.
Quando nel 1962 il primo governo di Centrosinistra nazionalizzò l’energia elettrica non lo fece solo per abbattere gli oligopoli privati, ma in nome di una programmazione che non dovesse legarsi a una sola fonte di produzione e a un solo Paese di approvvigionamento, ma che perseguisse l’indipendenza energetica attraverso una molteplicità di scelte, che nel tempo avrebbero consentito anche il rispetto dell’ambiente. Al tempo si trattava di integrare le fonti idroelettriche non più sufficienti a sostenere lo sviluppo industriale con le fonti petrolifere che l’Eni si procurava con alleanze e politiche di prezzo favorevoli, per le nostre centrali termoelettriche. In quegli anni facemmo naufragare il primo progetto nucleare con lo scandalo montato ad arte contro il suo mentore, l’ormai dimenticato ingegner Felice Ippolito, privando il Paese di un possibile complemento nell’offerta energetica. La decisione di affossarlo parve casuale e dettata da opportunismi, non da scelte ecologiste.
Il coordinamento energetico non è dunque mai avvenuto, cosicché siamo costretti anche questa volta ad affannose operazioni di tamponamento delle forniture delle materie prime essenziali con paesi che, quanto a principi antidemocratici, non sono certo da meno della Russia.
Insomma anche per l’energia, le colpe storiche non hanno responsabili, ma solo vittime. E tanta confusione. E rischi. Ecco perché l’assenza di strategie è forse più penalizzante della stessa scarsità delle fonti.