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Contro la desertificazione bancaria

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Desertificazione bancaria 

Ha fatto un certo rumore in questi giorni uno studio della FABI, sindacato maggiormente rappresentativo dei bancari italiani, sulla perdita di servizi bancari da parte di una crescente quota di popolazione, a causa della chiusura di oltre 11.000 sportelli avvenuta negli ultimi dieci anni. Lo studio, che senza mezzi termini chiama il fenomeno ‘desertificazione bancaria’, stima che il 7% della popolazione italiana, oltre 4 milioni di individui, viva oggi in territori senza sportelli bancari. Il rischio è di allontanare milioni di soggetti dal circuito legale della finanza e dell’economia, con le banche a svolgere sempre meno il ruolo sociale a servizio di famiglie e imprese.

E’ stata una inversione rapida e massiccia avvenuta dopo il periodo di massima espansione territoriale del sistema che nel 2012, cioè proprio al tempo delle crisi finanziarie mondiali dei subprime e dei paesi sovrani, aveva baldanzosamente raggiunto la spropositata dimensione di 33.000 punti vendita, ponendo l’Italia in cima alla classifica dei paesi con più sportelli bancari (53 ogni 100.000 abitanti, uno ogni 1900).

Era quello il tempo in cui si esaltavano i caratteri della banca locale, del territorio, di prossimità, o altre espressioni analoghe, come modello virtuoso in grado di stare vicino ai piccoli, fossero famiglie o imprese, anche mediante la fisicità dei punti vendita. Banche che incarnavano questo modello di business si affermarono con la benedizione della politica, delle autorità e il consenso di sterminate platee di soci. A partire dal 2014 si è dovuto fare i conti con fallimenti bancari a catena, risoltisi in operazioni di concentrazione, in cui risparmiatori e contribuenti sono stati chiamati a fare la loro sostanziosa e dolorosa parte.

La riflessione generale che viene da fare è dunque sul carattere ondivago delle scelte strategiche del sistema, le cui criticità hanno avuto a fondamento figure di banchieri spregiudicati (vedasi i processi ancora in corso), accumulo di crediti non performanti (in misura superiore ad altri paesi e per fattori non riconducibili alla sola recessione economica), obiettivi di crescita aziendale insostenibili (banche lanciate a occupare spazi di mercato sproporzionate alle loro forze, accrescendo il numero delle filiali lontano dai luoghi di tradizionale insediamento), collocamento di prodotti finanziari rischiosi o addirittura con finalità illecite (operazioni baciate), qualche scandalo (da ultimo quello dei diamanti), le ripetute operazioni di ridimensionamento della terza banca italiana (Monte dei Paschi), nell’intento ultradecennale di trovare soluzione a una crisi ancora in corso.

D’altro canto una recente inchiesta della CGIA di Mestre ha messo in luce come nei comuni sotto i ventimila abitanti sia insediato ben il 41% delle imprese italiane e vi si produca il 39% del PIL nazionale. E’ un’altra contraddizione sulla quale dovremmo interrogarci.

Quindi la riduzione degli sportelli sembra aver a che fare prevalentemente con le difficoltà del sistema, piuttosto che con la determinazione a modernizzare i canali distributivi dei servizi bancari, trascurando addirittura le opportunità di sviluppo offerte dai territori.

Dalla bulimia all’anoressia

Verrebbe da fare un paragone con le malattie del metabolismo dell’uomo, con un repentino passaggio dalla bulimia alla anoressia da sportelli e domandarsi come il sistema reagisce a certe degenerazioni della banca come impresa. Invece troviamo giustificazioni d’ordine micro secondo le quali a nessuna impresa interessa più avere punti operativi sparsi sul territorio costosi, poco orientati alla relazione con la clientela e alla vendita di prodotti e servizi.

I cambiamenti sono avvenuti sostituendo ai punti di vendita di proprietà reti terze di mediatori creditizi, promotori e agenti finanziari, a minor costo. Che sia un modello più attento e reattivo alle esigenze della clientela è da dimostrare, anche perché non ci sono molti dati in proposito, anche relativamente alla efficacia dei controlli esercitati sulle reti medesime. I reclami della clientela hanno soprattutto di mira le modalità di vendita di prodotti e sono aumentati di numero. C’è da chiedersi addirittura se le reti siano più duttili ad eseguire ordini del proprio soggetto di riferimento rispetto a una struttura di dipendenze.

In definitiva, ha prevalso l’obiettivo di riduzione dei costi, piuttosto che quello dello sviluppo armonico di nuovi modelli distributivi da remoto, i quali tra l’altro scontano il confronto con un basso livello di educazione digitale della popolazione.

Il risultato è finora la riduzione di servizi alla popolazione piuttosto che la spinta verso nuovi modelli di accesso.

Modelli più snelli e prodotti di base

Che il sistema abbia bisogno di modelli più snelli anche per beneficiare di innovazioni rilevanti come quella dell’open banking, destinato a incentivare maggiore concorrenza, non c’è alcun dubbio. In questa direzione, si osservano resistenze più o meno marcate all’ingresso a pieno titolo di nuovi operatori i quali hanno dalla loro il vantaggio di attirare i clienti con servizi rapidi, sicuri e  soprattutto a costi molto più bassi, tramite il web.

Ma proprio per questo motivo la questione della unbanked people, della popolazione senza rapporti bancari, è rilevante e non è soltanto legata alla chiusura degli sportelli presso le comunità minori.

E’ questione assai più ampia, perché riguarda azioni di vera e propria esclusione finanziaria, dovuta ad esempio al mancato al collocamento di prodotti bancari di base, che pure rappresentano un indirizzo europeo, per non privare le parti più deboli della popolazione di servizi essenziali, a cominciare da quelli di pagamento.

La proposta di uno sportello bancario ‘vicino e lontano’

Quando iniziarono le prime chiusure di sportelli, proposi un modello di sportello bancario che conservava la sua fisicità, rimanendo installato sul territorio, ma che veniva gestito da remoto, attraverso la video comunicazione, da dipendenti presenti in filiali maggiori.

Il punto vendita era progettato con la dotazione di altre macchine governate a distanza, quali stampanti, macchine per la distribuzione del contante, per la raccolta della firma, digitale e antropometrica, compilazione della modulistica, nonché aree riservate per la consulenza e la discussione delle pratiche di fido. L’elenco dei servizi bancari effettuabili sarebbe ulteriormente espandibile, secondo questa modalità. Il cliente può essere assistito anche nelle sue incertezze quanto a procedure digitalizzate, aiutandolo a diventare un pò alla volta più autonomo.

Insomma un punto così attrezzato può consentire economie di costo rilevanti, con un dipendente che a distanza è in grado di servire gli utenti di più di una di queste strutture e un set di apparati e applicazioni software con contenuti costi di impianto, ma anche e soprattutto in grado di mantenere relazioni di tipo tradizionale, specie nei luoghi dove è presente clientela avanti negli anni, come accade di solito nei centri minori.

Un modulo in mostra di filiale bancaria gestita da remoto via videocomunicazione e dotata di apparati per svolgere ogni operazioni di banca con assistenza a distanza

Insomma, una filiale non solo gestita da remoto, ma anche evoluta ed efficace sul piano commerciale, trait d’union tra mondo analogico e mondo digitale dei servizi al cittadino.

Alcune postazioni all’epoca istallate e tuttora funzionanti hanno dato positivi riscontri, tra l’altro senza configurare, ai sensi della normativa in vigore, la tipologia dello sportello bancario.

Sarebbe un modo per rafforzare l’immagine economico-sociale del sistema bancario, proprio adesso che si vuole che la banca partecipi ad obiettivi come la salvaguardia dell’ambiente, con politiche di selezione del credito miranti a valutare la sostenibilità e gli effetti sul clima delle iniziative da finanziare.

Politiche mirate all’efficientamento tout court, che va addirittura nella direzione di autorestringere la propensione a servire il mercato con modelli distributivi capaci di allontanare più che avvicinare il cittadino, possono invece avere impatto sul rischio massimo di ogni operatore, che è il rischio di reputazione. Nella vicenda che qui si discute è presente a tutti coloro che se ne occupano?

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2 COMMENTS

  1. Dal ricco articolo di Daniele Corsini traspare una conoscenza approfondita della materia, peraltro praticata in prima linea dai diversi fronti. La situazione è difficile e l’orizzonte prospetta nuvole di pioggia. Che dire di più?
    Logiche burocratico manageriali hanno da tempo preso il sopravvento.
    Le politiche monetarie a tasso zero hanno illuso sul fatto che la liquidità possa creare da sola nuova economia.
    La home banking ormai diffusa segue quasi la logica dei social, con nick name e quant’altro, demandando a gestori esterni – simili ai tutor di you tube – spesso lontani dalle culture bancarie.
    I costi costituiscono ormai l’ossessione del sistema finanziario, con delle paranoie che ormai non fanno più intravvedere forme alternative di profitto, da tempo scollegate dall’attività primaria che in origine orientava la sana gestione dei risparmi.
    Se l’attualità è difficile il futuro appare ancor più incerto.

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