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L’importanza di chiedere scusa o della Ballad in Plain D di Bob Dylan

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Bob Dylan con Suze Rotolo nel 1962

Tempo di lettura e di ascolto: 10’.
[Quarto episodio della serie “Dietro una canzone”]

Già pubblicati:
1. Ohne dich, Rammstein
2. Trans-Europa Express, Kraftwerk
3. Daimond & Rust di Joan Baez
4. Ballad in Plain D di Bob Dylan

Torniamo in acque tranquille dopo le rapide delle due scorse settimane che hanno rischiato di rovesciare il nostro kayak, per me che non sono un vogatore abile come il mio amico Paolo M.

Torniamo a Bob Dylan, che prima delle rapide, abbiamo un po’ strapazzato, quando andava dietro al fascino da giraffa di una donna “seduttrice, intensa, magica”, parole di Bob Dylan, come Joan Baez.

Torniamo anche a usare il nome convenzionale “donna”, …perché… come avrebbe potuto titolare diversamente Charles Bukowski la sua autobiografia (Guanda) che si apre con l’esergo “Più di un brav’uomo è finito sotto il ponte per colpa di una donna” scritto dal suo avatar, Henry Chinasky. Come potremmo qui sostituire le due parole non inclusive, senza rompere la tinozza?

Mi spiace…

Dopo Diamond & Rust della Baez mi sono domandato se quel poeta del nostro tempo e premio Nobel che è Bob Dylan non fosse mai stato spinto a chiedere scusa per gli inevitabili inciampi di una vita così piena.

Per cercare questo lato umano del personaggio sono andato un po’ a “sniffare”, come bolla il nostro sidolizzatore certe mie comparsate off-broadway, nella autobiografia di Dylan e nei testi delle canzoni, che gli hanno portato il Nobel.

Bene Bob Dylan, in tutta la sua singolarità e la sua alterigia, è in effetti capace di dire “mi spiace” oppure di angustiarsi per non averlo ancora fatto.

Non posso essere scusato, io, per quello che ho fatto
con le parole per dire “mi spiace” non ancora trovate

Questi due versi del brano Ballad in Plain D lo riscattano, perché chiedere scusa è uno dei gesti morali supremi, anche se Kant criticava ferocemente il “Fac et excusa”, ma la morale di Kant ha per certi versi un aspetto terribile per noi reietti dell’imperativo categorico.

Su Joan Baez

Innanzitutto Bob Dylan, nella sua autobiografia Chronicles (Feltrinelli) distilla ammirazione per Joan Baez. Scrive di lei:

“Un po’ scozzese e un po’ messicana, Joan sembrava un’icona religiosa alla quale ci si poteva sacrificare, e cantava con una voce che veniva direttamente da Dio… Ed era anche una strumentista eccezionalmente brava… Era come se fosse scesa da un altro pianeta… Non c’era nessuno al suo livello. Era lontana e inaccessibile, una Cleopatra in un palazzo italiano. Quando cantava ti faceva restare a bocca spalancata. Avrei avuto paura di incontrarla. Magari mi avrebbe affondato le zanne nella nuca. Non volevo incontrarla ma sapevo che sarebbe successo”.

Solo quando la cantante di Staten Island tenta di portarlo in politica con una canzone-invocazione, To Bobby, il tono di Dylan si fa un po’ più asciutto, poiché era disgustato dall’idea di “diventare il portavoce” di un movimento di protesta che pur stava facendo dei suoi testi un inno di lotta. Eccola qua Joan a Bobby.

Scrive ancora nelle Chronicles:

“Qualunque cosa fosse la controcultura, io ne avevo vista abbastanza. Ero stufo del modo in cui i miei testi venivano estrapolati, il loro significato sovvertito a scopo di polemica, come ero stufo di essere stato promosso a Grande fratello della ribellione, Grande sacerdote della protesta, Zar del dissenso, Duca della disobbedienza, Duce degli scrocconi, Kaiser dell’apostasia, Arcivescovo dell’anarchia, Pezzo da novanta ma di che diamine stiamo parlando? Definizioni orribili, comunque le si voglia considerare. Tutte parole in codice per dire Fuorilegge.”

Accidenti!, parole di cemento. Nel clima della controcultura ce lo aveva gettato Suze Rotolo tra il 1960 e il 1962.

La canzone che non avrebbe mai voluto scrivere

Veniamo adesso a Ballad in Plain D, dal quarto album, Another Side of Bob Dylan (1964), uno dei brani più tormentati e personali del cantautore. Prima di tutto ascoltiamolo.

Ballad in Plain D è l’unica canzone di cui Dylan si è pubblicamente pentito. Sostiene, nel 1985: “Oh sì, quella! Mi guardo indietro e dico: ‘Devo essere stato un vero idiota a scriverla’”. Dopo averla registrata, sembra che non l’abbia mai più eseguita in concerto.

Dylan ha scritto varie “true story” di persone di colore vittime di soprusi — Emmett Till, Rubin “Hurricane” Carter, George Jackson, Hattie Carroll —, ma in questa ballata c’è proprio lui Dylan con la sua ragazza, Suze Rotolo e la famiglia di lei, di origine italiana.

Sebbene frequentasse Joan Baez, il ventenne Dylan, nel 1960 aveva preso una super cotta per l’affascinante diciassettenne Rotolo. “Una scultura di Rodin. Mi faceva venire in mente un’eroina dell’epoca dei libertini. Era assolutamente il mio tipo” scrive di lei Dylan nelle Chronicles. Lei e Joan erano diventate sue muse dopo l’arrivo a New York dal Minnesota settentrionale, lo stato del midwest, a tradizione democratica, dove si svolge Fargo (su Sky e NowTV).

Rotolo, come la Baez, era una attivista liberale della East Coast, e aveva contribuito parecchio ad ampliare la visione del mondo del giovane Dylan, in particolare per quanto riguardava i diritti civili e la minaccia nucleare.

Suze gli aveva fatto conoscere l’opera del poeta simbolista francese Arthur Rimbaud. Soprattutto lo aveva portato in off-Broadway dove la rappresentazione dell’Opera da tre soldi di Bertold Brecht e Kurt Weil aveva aperto a Dylan l’orizzonte del verso libero musicato. Un orizzonte che troviamo dispiegato nel poco successivo Blowin’ in the Wind.

Ballad in Plain D si apre così:

Un tempo ho amato una ragazza, dalla carnagione bronzata
Innocente come un agnello, dolce come una cerbiatta
L’ho corteggiata con rispetto, ma adesso è andata
Come il tempo in cui è stata

Nel cuore della notte il re e la regina andarono in frantumi

Ma una notte del marzo 1962 nell’appartamento di Suze che dava su Sheridan Square, a Manhattan, scoppia il parapiglia tra Dylan, Carla, la “parassita” sorella maggiore e la madre “comunista” di Suze. Le due donne vogliono che Bob, il cantante trasandato, il “fenomeno puzzolente”, tolga per sempre le tende dal cuore e dalla vita di Suze. Gli dissero con parole dure che se ne andasse, sì, proprio lui doveva chiuderla, lui che

In una fresca brezza estiva l’aveva portata via
Dalla madre e dalla sorella che per quanto unite fossero
Soffrivano ciascuna i loro quotidiani fallimenti
Con sensi di colpa che scaricavano su di noi

La doppia versione di Dylan

Quella oscura e istitntiva:

“Losco figuro”, urlava la sorella
“Lasciala stare, che tu sia dannato, vattene via”
Ed io nella mia armatura, mi sono rivoltato,
L’ho appesa alle rovine della sua nullità
.
Sotto una fioca luce, l’intonaco in frantumi
sua sorella e io, in una battaglia di strepiti,
lei nel mezzo, trafitta dagli urli,
stritolata come un bimbo dai suoi mostri.”

E quella illuminata e razionale:

Per quello che ho fatto non esistono scuse
Né i mutamenti tra i quali passavo si possono usare
Per i falsi buttatile in faccia, pur di non perdere
l’amore, forse, sognato, della vita mia tutta.
Il vento batte le imposte, la stanza è umidiccia,
Con le parole per dire “mi spiace” non ancora trovate,
Sovente la penso sperando che chi abbia incontrato
Sappia davvero il gioiello che è.

Che fine ha fatto Suze Rotolo?

Poco dopo quell’episodio e quando Dylan iniziò a incidere per la Columbia Records The Freewheelin’ Bob Dylan, Suze Rotolo partì per l’Italia per studiare arte e la relazione terminò. In seguito, testimoniò una sua versione della lite tra Bob, la sorella e la madre:

“Non mi sono mai sentita ferita. Ho capito cosa stava facendo. Era la fine di qualcosa ed entrambi eravamo feriti e amareggiati. La sua arte era il suo sfogo, il suo esorcismo. Era terapeutica per lui. Era il modo in cui scriveva la sua vita; le canzoni d’amore, le canzoni ciniche, le canzoni politiche, erano tutte parte del modo in cui vedeva il suo mondo e viveva la sua vita. Punto”.

Con le ex Dylan non ha proprio scampo.
Suze Rotolo è scomparsa nel 2011 a 67 anni.

… non tutti comunque

Okay!, ma non tutti riescono a dire “mi spiace” come il poeta Bob Dylan. Ma non occorre essere un poeta per dirlo. Basta tirarlo fuori dalla pancia e dirlo, finché si è in tempo.

Non c’è riuscito Boris Johnson. Ci riuscirà Elon Musk con Twitter, invece di accampare esili pretesti? Figuriamoci Влади́мир Влади́мирович Пу́тин! Nella cultura maschile la parola “scusa” è rara come il francio in natura.

Bob Dylan - LP Another side of Bob Dylan CBS BPG 62429 (UK, - CatawikiIl lato B dell’album Another Side of Bob Dylan, il quarto brano è Ballad in Plain D, Sembra che Dylan non abbia eseguito dal vivo il pezzo e neanche è menzionato sul sito specializzato Setlist.fm che traccia la esecuzione delle canzoni nei concerti. Dylan ha inserito la canzone nel suo film surreale Renaldo and Clara(1978, su Vimeo video di bassa qualità).

Fonti

Phil Davison, Ballad in Plain D — the song Bob Dylan wished he had never written, “The Financial Times”, 25 aprile 2022
Bob Dylan, Chronicles, Milano, Feltrinelli, 2004
Suze Rotolo, A freewheelin’ time : a memoir of Greenwich Village in the sixties, New York, Broadway Books, 2008

Testo originale di Ballad in Plain D.
Ecco come il cantautore e poeta ricorda la relazione Suze Rotolo nelle Chronicles.

 

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