Se ne parlava l’altro giorno con l’amico Pippo e si concordava sul fatto che con “Quelli di Bagheria” Ferdinando Scianna, il maggiore dei fotografi italiani, ha realizzato, più che in altri volumi, un bellissimo documento su una realtà da lui vissuta e felicemente raccontata.
Senza veli, allusioni o messaggi criptici, il libro edito originariamente dalla “Fondazione Galleria Gottardo” e successivamente commercializzato da Peliti Associati (pp. 384, Euro 35,00), forte di evocative immagini rigorosamente in bianco e nero, elabora perfettamente singoli fotogrammi di pura memoria per chi ha vissuto quei tempi e quei territori.
A prescindere dalla specificità “bahariota” la Sicilia provinciale è in ogni caso ben rappresentata e le singole immagini consentono di rivivere scene vissute da tanti di noi, in un’infanzia che accomuna, dove i riti quotidiani tendono a replicarsi negli angoli dell’intera isola.
Magari immagini di personaggi anagraficamente e originari di differenti luoghi, ma con mestieri similari, tutte legate ad un filo unico, cucite dalla memoria.
Per chi ha i capelli argentati o completamente bianchi, sfogliare le pagine del libro significa riaffacciarsi sul proprio passato; attraverso i molteplici scatti in bianco e nero ci ritroviamo nel vissuto personale degli anni sessanta, che appartengono sicuramente alla nostra storia.
In fotografia, molti autorevoli artisti si ispirano a tanti protagonisti spesso lontani dal comune sentire. Non è questo il caso di Ferdinando Scianna il quale, ancorché ispirato dalla scuola di Henri Cartier Bresson, instradato nella sua arte da Enzo Sellerio e culturalmente influenzato da Leonardo Sciascia, è sempre riuscito a mantenere saldamente le sue solide radici, mostrando quella tipica ‘sicilitudine’ che lega indissolubilmente tutti i maggiori artisti isolani.
In generale, a prescindere dalle sue specifiche produzioni, osservare qualunque foto di Ferdinando Scianna è leggere la Sicilia.
Sia che le sue immagini siano stagliate nei suoi tipici e violenti contrasti del bianco e nero sia che siano armoniosamente intrise nelle tante gradazioni di grigio, di per sé efficacemente narranti.
Nel suo caso, infatti, non occorrono artifizi particolari, che alludano all’ onirico o a tecniche rivolte a sottolineare un concettuale spesso complicato e contorto e nemmeno ‘mossi’ o sfasature ricercate per caratterizzare o far riconoscere da subito il tocco distintivo dell’artista affermato.
Sfogliare i libri di Ferdinando Scianna, almeno per me, è riconoscere perfettamente il linguaggio della mia terra e leggere le tante storie raccontate dalla sua fotografia.
Un colpo altrettanto abile nell’operazione “Quelli di Bagheria” è rappresentato dall’editing progettuale, dove fotografie, didascalie, pensieri e considerazioni si mescolano per impreziosire e rafforzare ogni elemento scelto.
Per coinvolgere ancor di più gli estimatori dell’autore si rimanda alla interessantissima prefazione del volume, dove Ferdinando Scianna confessa di aver voluto sostanzialmente perseguire con il suo progetto il solco precedentemente tracciato, in forma letteraria, dall’amico Leonardo Sciascia.
Citando Ernesto De Martino, riguardo all’universalità di certe narrazioni, Scianna scrive pure che: “solo chi ha un villaggio nella memoria può avere un’esperienza cosmopolita”. Non è l’unica delle chicche che portano ad allargare lo sguardo, perché leggendo il volume se ne scopriranno altre, fino a trascendere il localismo siculo verso un raffinato universale narrativo.
Dell’operazione “Quelli di Bagheria”, un libro ricco di personaggi, anedottica e ricordi, Scianna, nel riconosce la complessità realizzativa, si spinge a dire oggi che è forse luogo centrale e sintesi di tutta la sua fotografia.
Si è in questi giorni chiusa (5 giugno) un’ampia antologica di Ferdinando Scianna, che ha riproposto anche molte delle foto esposte a Palermo nel 2019 (cfr. articolo e relative foto pubblicate su questo portale). Su You Tube è pure postata un’esaustiva e lunga “Lectio” sulla sua attività fotografica che, alla vigilia dell’evento palermitano, il Maestro ebbe a tenere all’Università cittadina.
Buona luce a tutti!