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L’Europa, continente vecchissimo
La storia è una coniugazione di fili sottili, sicuramente anche di eventi non risolti che danno vita a situazioni belliche asimmetriche. Quello che vediamo nella guerra di invasione Russo Ucraina, è l’esito di diverse incertezze e contraddizioni perpetuatesi nel tempo che complicano ogni spiegazione.
Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, uno stato ucraino sorse nei territori russi dell’Estremo oriente, in quanto le popolazioni ucraine avevano partecipato come agenti dell’imperialismo zarista alla colonizzazione della Siberia e del Pacifico.
Le intenzioni del trattato di pace di Versailles furono redatte per mettere fine alla Grande Guerra, ma nei fatti concreti questo non è avvenuto. Nell’Europa occidentale e centrale, come in quella orientale, il conflitto si protrasse fino agli anni ’20, con la guerra civile russa e le sue propaggini, incluse la Guerra polacco sovietica e la guerra d’indipendenza Ucraina.
La guerra Russo Ucraina di questo 2022 sta generando un nuovo disordine riportando l’attenzione su situazioni mai volutamente risolte. In questi ultimi decenni abbiamo visto un’Europa frastagliata. Nessun paese europeo è stato risparmiato da pesanti crisi interne, debolezze dei propri leader, creazione di partiti di rottura che hanno aperto strade verso una maggiore fragilità.
Il 15 febbraio del 1991, gli Stati dell’Europa centro-orientale, appartenenti all’ex blocco sovietico: Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia; quest’ultima poi scissasi in Repubblica Ceca e Slovacchia, si unirono in un accordo di collaborazione politica ed economica firmato a Visegrad in Ungheria. L’accordo serviva per integrarsi politicamente con l’Europa e la Nato. I quattro paesi di Visegrád sono da anni tra le economie più dinamiche dell’Unione, aiutate dagli aiuti ricevuti e dal costo del lavoro più basso che in Europa occidentale. I quattro di Visegrad sono inseriti nella filiera industriale europea, soprattutto nel settore dell’automotive.
Da un lato, l’Ungheria del primo ministro Viktor Orbán, ha un occhio collaborativo con Mosca, dall’altro, la Polonia, la repubblica Ceca e la Slovacchia hanno invece sempre visto il Cremlino come una minaccia e sono più vicini agli Stati Uniti.
Ma tutti e quattro i paesi condividono l’opposizione a un sistema europeo che regoli le quote di emissione di CO2, chiedendo che ciascun paese possa stabilire autonomamente i propri obiettivi di riduzione delle emissioni. Non a caso, essi sono ancora fortemente dipendenti dall’uso del carbone.
Quale è il luogo più ricco di carbone? Il Donbass, che è storicamente il cuore industriale dell’Ucraina, settimo produttore al mondo di carbone: circa 31 miliardi di tonnellate.
Praticamente il 92% di tutto il carbone dell’Ucraina si trova nell’area che parte dal Mare di Azov e si estende più a nord sino al fiume Dnepr. E questo fa gola sicuramente al Cremlino che nel 2021 ha siglato accordi con Cina e India per nuove forniture di combustibile fossile.
La guerra Russo-Ucraina è già terza guerra mondiale per le materie prime?
Non si tratta più di una guerra “convenzionale”, ma di una guerra atta a ridisegnare un nuovo assetto geopolitico combattuto per la supremazia sul controllo delle materie prime.
La cosa più saggia sarebbe di non cadere nella dualità delle fazioni, per non arrivare a scelte drastiche e irreversibili. Per contribuire ad un ordine mondiale pacificato, libero, più giusto, c’è bisogno di una forte partnership tra Europa e Stati Uniti più che di una sola potenza mondiale circondata da satelliti, per costruire un mondo multipolare. Ma c’è bisogno anche di soluzioni geopoliticamente innovative, per scongiurare una guerra tecnologica giocata sul tavolo del cyberspazio.
Pochi giorni prima dello scoppio del conflitto, Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha presentato il “Chips Act”, il piano Europeo con l’obiettivo di raddoppiare la produzione comunitaria di semiconduttori entro il 2030. Sono stati stanziati 43 miliardi per conquistare l’autosufficienza e potersi staccare dalla dipendenza asiatica. L’investimento, tra soldi privati e pubblici, consente di cambiare le regole del gioco alla “guerra dei chip”.
Nel frattempo è stato inaugurato un percorso di politica industriale completamente nuovo, che comprende scenari di tecnologia avanzata, quali il supercomputer Leonardo presso il Cineca di Bologna, uno dei più potenti al mondo. Il cuore tecnologico del Centro Meteo Europeo è la prima delle infrastrutture che troveranno sede al Tecnopolo CERN di Bologna, dando vita ad una vera e propria cittadella della scienza destinata a riunire le più importanti istituzioni scientifiche e della ricerca per un hub europeo dei Big data e del digitale. La nuova Data Valley nasce nel cuore dell’Italia, proiettandoci nuovamente a livello internazionale.
Perché dico nuovamente? Perché la prima pietra miliare fu nel 1961 a Frascati, presso l’INFN, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dove fu costruito “AdA”, il primo acceleratore di particelle e antiparticelle, praticamente il prototipo del LHC di Ginevra e degli esperimenti che hanno portato a scoprire il Bosone di Higgs e il Barione “raddoppiato” Xi. Grazie ad “Ada” si è potuto dimostrare che la via dell’urto è stata una via formidabile per capire la struttura della materia, cioè del mondo in cui viviamo
Oggi sarà il TECNOPOLO CERN di Bologna a garantire una sovranità tecnologica all’Europa e una visibilità da protagonista al nostro Paese.
Semiconduttori e microchip
Ma con le materie prime necessarie come facciamo?
Per i microchip ci vuole il gas neon, per il gas neon abbiamo bisogno dell’Ucraina.
Per il presidente russo Vladimir Putin, Odessa, città del sud dell’Ucraina che si affaccia sul Mar Nero, rappresenta non solo uno dei porti più trafficati del paese, ma anche la sede di una società chiamata Cryoin, che riveste un ruolo di primo piano nella produzione globale di semiconduttori, producendo gas neon. Essa rifornisce aziende in Europa, Giappone, Corea, Cina e Taiwan e fa anche consistenti forniture agli Stati Uniti.
Russia e Ucraina sono entrambi importanti esportatori di molte altre materie prime, tra le quali da non sottovalutare l’uranio che viene utilizzato per i rettori nucleari e per le bombe atomiche. Poi ci sono l’alluminio, con il quale si costruiscono auto e altri manufatti di uso universale, il palladio, che le case automobilistiche usano per rimuovere le emissioni tossiche dai gas di scarico, e ancora il platino, il rame e il nichel, usati nelle batterie che alimentano i veicoli elettrici. E ancora neon e litio.
In quel territorio si trovano, escluse le estrazioni cinesi, le più grandi riserve di terre rare e di litio, l’oro bianco, come viene chiamato finanziariamente dall’altro paese che in Europa ne detiene una grande produzione, la Serbia.
l’Ucraina orientale è poi la seconda più grande riserva d’Europa di gas naturale; in Luhansk e Donetsk vi sono enormi giacimenti di ShaleGas, un gas intrappolato nella roccia porosa, la cui tecnica di sfruttamento ha permesso agli Stati Uniti di mirare all’indipendenza energetica, facendo crollare i prezzi del metano a livello mondiale. Praticamente da importatori di metano essi sono passati ad esserne esportatori.
Se gli Usa sono indipendenti dal petrolio greggio e dal gas, non lo sono per altre materie prime come il neon e le terre rare, essenziali per il funzionamento dei laser per l’incisione dei chip.
La catena di approvvigionamento è basata sulla forza applicata o minacciata.
La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) è il principale produttore mondiale di semiconduttori, ma si è impegnata a rispettare le indicazioni americane. L’azienda ha assicurato che bloccherà le sue esportazioni verso la Russia. Mosca, come tutti i paesi, è dipendente dai chip per produrre i suoi computer e soprattutto le attrezzature militari avanzate.
Quindi le materie prime hanno il potenziale per essere usate come armi da guerra e sono da almeno 30 anni il motore della globalizzazione, che ha creato grandi ricchezze a molte nazioni.
Ad esempio, la chiusura della cava della Chevron in California nel 2009 ha permesso la creazione di un monopolio cinese di estrazione delle terre rare. Il potere geopolitico legato alle materie prime è la complessità che caratterizza l’epoca attuale.
Se si sono verificate interazioni o retroazioni tra ogni fenomeno e il suo contesto, la guerra Ucraina le sta evidenziando.
Riassetto geopolitico: tutto e il contrario di tutto
Com-plectere da cui deriva “complessità”, in latino significa intrecciare, aggiungere senso a due elementi opposti che si intrecciano. Più c’è complessità e più gli intrecci divengono fili che si sovrappongono durante la tessitura degli eventi. Le opinioni di guerra, la crisi, le incertezze sulla fine del conflitto in corso e le infinite comunicazioni dei media che ci raccontano tutto, ma anche il contrario di tutto quello che sta accadendo, creano un caos senza precedenti. Questo disordine o ritorno alla “politica di potenza”, viene chiamato anche “guerra ibrida”, una guerra fredda nella quale si diffondono false informazioni, si verificano attacchi in contemporanea via terra e via aerea, si fa utilizzo di mercenari, si colpiscono obiettivi economici, ma in modo circoscritto e non globale.
L’Ucraina serve per creare un nuovo ciclo, per “disegnare” la geopolitica di alcune nazioni, non semplicemente per segnare l’espansione territoriale di un paese sull’altro. L’Ucraina è la miccia dello spazio geopolitico chiamato “Scudo Ucraino”, un territorio tra i fiumi Nistro e Bug che si estende fino alle rive del Mar d’Azov, nel sud del Donbas. Una zona geologica che non ha pari in Europa e nel mondo, arrivando ad essere la mappa stessa dell’invasione Russa dell’Ucraina. Una mappa del tesoro, anzi una mappa di molti tesori, corrispondente ai luoghi dei tanti giacimenti.
La guerra in Ucraina può essere la fonte di un conflitto a lungo termine tra le maggiori potenze mondiali, fino a trasformarlo in un fattore cronico di alimentazione dell’“Effetto farfalla”, cioè di imprevedibilità e di non controllabilità di eventi anche minori dagli effetti peraltro esiziali. Una gamma di combinazioni di esiti possibili, frutto del grado di interdipendenza, ma anche della pericolosità competitiva nel quale si muove la società mondiale. Ogni minimo turbamento dell’equilibrio di volta in volta raggiunto rischia di aprire a ripetizione scenari ad alta tensione.
Per esempio nella regione dell’Indo-Pacifico, area destinata ad influenzare il sistema delle alleanze a livello planetario, meno di un anno fa è stato costituito l’Aukus, patto tra Regno Unito, Stati Uniti e Australia, che si propone di integrare le catene di sicurezza e difesa, nonché di far condividere tra gli aderenti informazioni in ambito cyber e di intelligenza artificiale.
L’Aukus potrebbe prendere il posto del vecchio Anzus, che fu costituito nel settembre del 1951 senza il Regno Unito, ma con la Nuova Zelanda, per contenere diplomaticamente l’Unione Sovietica nella fascia sud del mondo e che decadde alla fine degli anni ottanta.
Intanto tutti i paesi aderenti all’ASEAN, l’area di libero scambio del sud est asiatico, sostengono l’Ucraina, compresa la Tailandia e la Cambogia che insieme al Laos rappresentano l’asse cinese del sud asiatico. Pechino continua ad osservare gli eventi, con segnali contrari al conflitto, ma connotati da ambiguità, stante la sua dipendenza dalle forniture energetiche russe.
C’è chi dice che la guerra Ucraina potrebbe aprire una possibilità di dialogo tra Cina e Stati Uniti, per risolvere l’incognita di Taiwan, ma c’è anche chi teme che la guerra ucraina possa indurre repliche cinesi contro Taiwan.
L’India poi ha bisogno della Russia e delle sue armi, ma anche degli Stati Uniti e dell’Occidente per contrastare le mire espansionistiche di Pechino.
Insomma, tutto e il contrario di tutto. Cioè i rischi sono alle stelle e non sappiamo come si manifesterà il prossimo effetto farfalla.
La neutralità come approccio alle relazioni internazionali
Una modalità da esplorare per allentare la tensione è il ricorso alla neutralità dell’Ucraina, da garantire con modalità anch’esse da mettere a punto nel processo di innovazione delle relazioni internazionali, di cui si avverte estrema necessità.
La proposta è stata finora fatta cadere dal mondo occidentale, che sta addirittura andando in direzione opposta cioè in quella di far schierare nella propria orbita paesi finora neutrali, come Svezia e Finlandia.
La soluzione della neutralità porrebbe anche fine alla crescita della deterrenza armata, che purtroppo è la strada più prossima ad essere intrapresa da molti paesi europei, accrescendo l’invio di armi agli ucraini.
Un modello basato sull’indipendenza dell’Ucraina generata dalla equidistanza internazionale tra i due blocchi sembrerebbe essere di tipo win-win, cioè in grado di produrre vantaggi per tutti, in ragione della capacità di dirigere pacificamente le enormi potenzialità di quel paese, preservandone l’autodeterminazione.
Esso eviterebbe di diventare la posta in gioco per conflitti sempre più devastanti, ma addirittura potrebbe essere elemento di equilibrio per assicurare continuità ai rifornimenti di materie prime per il progresso dell’economia mondiale e soprattutto per il benessere degli oltre 600 milioni di abitanti del pianeta che contano sul grano delle terre nere ucraine per i propri bisogni alimentari. La neutralità dell’Ucraina è il riconoscimento di essere territorio determinante per le sorti dell’Umanità.
Insomma le radici economiche del conflitto in corso, spesso trascurate anche nei dibattiti, non sono soltanto spiegazione degli interessi in palio, ma possono essere anche fonte di soluzioni delle controversie, in un contesto disposto a innovare in termini di relazioni internazionali.
Ecco perché le responsabilità delle conseguenze di questa guerra ricadono su tutti i protagonisti, senza nulla togliere a quella, assoluta, di chi ha scatenato il conflitto. Esso finora ha prodotto l’esito più vecchio e comune a tutte le guerre, cioè quello di ricadere sulla parte più debole e indifesa della popolazione e sui suoi sempre più flebili diritti.
Alla classe dirigente mondiale si chiede di evitare gli errori commessi nel passato, frutto di scarsa lungimiranza, creando nuove tragedie dopo pochi anni. Bisogna evitare al massimo possibile il verificarsi di imprevedibili effetti farfalla e si deve rinunciare a ogni escalation, che di solito finisce fuori del controllo di chi la promuove.
Perché di una cosa bisogna essere certi: che solo l’utilizzo intelligente sia politicamente che tecnologicamente delle risorse del pianeta e, oggi, di una delle sue terre più ricche è la sola garanzia che abbiamo per la nostra sopravvivenza anche ambientale.
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Interessante articolo sulle ragioni economiche della guerra. Ad un certo punto della storia salta l’equilibrio politico, tenue e fragile, che teneva in ordine le nazioni fino a pochi mesi fa. Perche’ questo e’ accaduto non si comprende ancora ma forse la fragilita’ politica della costruzione europea e’ la principale indiziata. Anziche’ pensare a come riformarsi per garantire un nuovo ordine, gli europei si aggrappano ancora un volta agli USA e alla Nato. Cui prodest ?