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La tassonomia verde dell’Unione Europea

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Il percorso verso la Tassonomia Verde Europea

Il Legislatore comunitario con il Regolamento Ue n.852/2020 ha istituito un sistema di classificazione per stabilire quando un’attività economica possa considerarsi “verde”.

L’obiettivo è di orientare i flussi di capitali al fine di favorire investimenti sostenibili per creare un sistema alimentato dalla protezione e dalla valorizzazione dell’ambiente, cosicché gli attori dell’economia siano indotti a determinare un nuovo paradigma della produzione e del consumo.

Lo scopo è la creazione di un circolo virtuoso tale da generare positive implicazioni dal punto di vista economico, sociale, umano e, per l’appunto, ambientale.

In effetti, pacificamente condiviso l’assunto secondo cui “l’ambiente è un bene che consiste in un modo di essere di altri beni”, l’ingresso della variabile ambientale nel sistema finanziario intende testimoniare un nuovo modo di essere di questo settore, che solo in tempi recenti ha accolto al suo interno considerazioni di natura ambientale.

D’altronde è noto che il rapporto tra economia ed ambiente è stato in passato tutt’altro che idilliaco se si considera che nell’errata convinzione della inesauribilità delle risorse, l’ambiente è stato posto al di fuori degli scambi commerciali, perché, non presentando caratteri di scarsità, fattore centrale nell’economia, era considerato semplicemente gratuito.

La sua potenziale infinitezza ha fatto sì che, non rientrando nei meccanismi di domanda ed offerta, in assenza di un prezzo, fosse un bene nella disponibilità di tutti, che avrebbero pertanto potuto goderne integralmente senza che determinarsi tra di essi un qualche rapporto di conflitto o contrasto.

La conseguenza è stata quella di uno sfruttamento selvaggio dell’uomo ai danni della natura, un’autentica lotta dell’uomo contro la natura in nome della crescita e dello sviluppo economico, nonché della massimizzazione del profitto. Non pare un caso che, a livello normativo, le prime leggi in materia ambientale fossero concentrate sull’inquinamento come emblema di una tutela prettamente conservativa, volta a porre un argine alla predatrice attività dell’uomo.

Si è dunque propriamente assistito ad caso di fallimento del mercato, che ha imposto agli ordinamenti giuridici di intercettare l’esigenza di tutela dell’ambiente nell’indifferenza dell’economia di mercato. Gli ordinamenti giuridici, quale mezzo di regolazione dell’attività degli individui, hanno accolto l’ambiente nella sua trasversalità, puntando al bilanciamento dei suoi interessi con altri valori. Ricorrendo a diverse tecniche di tutela e a poteri di diversa forma ed intensità in attuazione di politiche ambientali si sono proposti di sviluppare un diverso rapporto con l’ambiente frutto di un approccio olistico ed ecologico.

In questi termini, l’Unione Europea ha considerato che “se era il mercato con i suoi fallimenti la principale causa del degrado ambientale, era nel mercato che andava cercata la soluzione al problema dello sviluppo sostenibile”, dapprima in un’ottica di integrazione delle esigenze ambientali nelle altre politiche europee, poi secondo il paradigma emergente della “ecoefficienza” ed infine in una prospettiva futura di real green economy, in cui l’ambiente diviene il motore stesso della crescita economica.

Partendo da quest’ultima considerazione il legislatore comunitario ha dunque istituito un sistema di classificazione, la Tassonomia verde europea, affinché sulla base di criteri armonizzati possa stabilirsi quando un’attività sia effettivamente ecosostenibile, favorendo più agevolmente il riconoscimento degli investimenti a favore del grado di ecosostenibilità dell’economia.

Come le attività economiche sono considerate ecosostenibili

L’articolo 3 del Regolamento Ue n. 852/2020 stabilisce espressamente che un’attività economica può considerarsi “verde”, quando

a) contribuisce in modo sostanziale ad uno o più degli obiettivi ambientali,

b) non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali, se svolta nel rispetto di garanzie minime di salvaguardia attinenti a principi e diritti presenti nella Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo ed in altre importanti convenzioni internazionali,

c) se conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione Europea per ogni obiettivo ambientale.

Quali sono questi obiettivi ambientali?

Essi sono individuati dall’art.9 del Regolamento Europeo sulla Tassonomia e sono:

-la mitigazione dei cambiamenti climatici;

-l’adattamento ai cambiamenti climatici;

-l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine;

-la transizione verso un’economia circolare;

-la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento;

-la protezione ed il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Il Regolamento tassonomico, che, come ogni Regolamento europeo, è tecnicamente obbligatorio e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati Membri, fornisce i principi generali del sistema di classificazione degli obiettivi.

Al contempo richiede altri atti normativi che integrino e specifichino quei criteri in base ai quali un’attività economica possa essere considerata “verde”.

I criteri di vaglio tecnico si estrinsecano dovendo osservare alcuni ragionevoli requisiti, quali:

a)individuare i principali contributi potenziali a favore di un determinato obiettivo ambientale, nel rispetto del principio della neutralità tecnologica, tenendo conto dell’impatto sia a lungo che a breve termine di una determinata attività economica;

b) specificare le prescrizioni minime che devono essere soddisfatte per evitare un danno significativo a qualsiasi dei pertinenti obiettivi ambientali, tenendo conto, anche in questo caso, dell’impatto sia a lungo che a breve termine di una determinata attività economica;

c)basarsi su prove scientifiche irrefutabili e sul principio di precauzione sancito all’art.191 TFUE;

d) tenere conto del ciclo di vita, compresi gli elementi di prova provenienti dalle valutazioni esistenti del ciclo di vita dei prodotti, considerando sia l’impatto ambientale dell’attività economica sia l’impatto ambientale dei prodotti e dei servizi da essa forniti; in particolare prendendo in considerazione la produzione, l’uso ed il fine vita di tali prodotti e servizi. Dai requisiti previsti per i criteri di vaglio tecnico pare doveroso sottolineare che la stessa Autorità regolatrice rischia di assumersi la responsabilità di una forte contraddizione, giacché di recente sono state incluse tra le attività economiche “verdi” anche alcune attività del settore del gas e del nucleare.

Pur non essendo un’integrazione ancora definitiva, sarebbe opportuno che il potere pubblico comunitario privilegiasse con decisione il valore ambientale operando nell’attento bilanciamento degli interessi, cioè resistendo anche a influenze e pressioni che mirino al raggiungimento di compromessi al ribasso nella composizione di interessi antagonisti.

Al netto di quanto appena osservato, il Legislatore comunitario ha posto comunque consistenti e solide basi per agevolare e garantire la transizione ecologica, disciplinando questa rinnovata finanza che viene considerata quale Finanza sostenibile.

L’istituzione di un sistema di classificazione unificato per le attività sostenibili costituisce l’azione centrale e tendenzialmente onnicomprensiva del piano d’azione, il quale riconosce che lo spostamento dei flussi di capitali verso attività più sostenibili deve fondarsi su una comprensione condivisa e olistica dell’ecosostenibilità delle attività e degli investimenti.

Dalle considerazioni dell’Unione si ricava che, data la natura sistemica delle sfide ambientali, è necessario adottare un approccio che affronti le crescenti tendenze negative, quali i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, il consumo eccessivo di risorse a livello mondiale, la scarsità alimentare, la riduzione dello strato di ozono, l’acidificazione degli oceani, il deterioramento del sistema di acqua dolce e i cambiamenti di destinazione dei terreni, nonché l’emergere di nuove minacce, tra cui le sostanze chimiche pericolose ed i relativi effetti combinati.

Il raggiungimento degli obiettivi richiede l’incanalamento di capitali, valorizzando le potenzialità del mercato interno e consentendo il progressivo adattamento del sistema finanziario.

Si comprende la necessità della piena integrazione nel sistema, di questi indirizzi innovativi.

La creazione di prodotti finanziari che perseguano l’obiettivo di indirizzare le risorse verso investimenti privati ecosostenibili fa sì che la Finanza verde possa considerarsi il volàno di un nuovo paradigma di produzione e consumo, aiutando a conciliare i bisogni delle generazioni presenti con quelli delle generazioni future.

L’istituzione di un sistema di classificazione basato su criteri armonizzati e condivisi mira anche a ridurre un fenomeno noto come greenwashing, che rappresenta una distorsione opportunistica della sostenibilità, presentando attività solo apparentemente rispondenti agli obiettivi di tutela ambientale.

Il greenwashing

Del greenwashing non si hanno definizioni normative. L’unica menzione del termine si ha nel considerando n.11 del Regolamento sulla Tassonomia, in cui viene descritto come pratica consistente nell’ottenere un vantaggio concorrenziale in modo sleale, commercializzando un prodotto finanziario come ecocompatibile, quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti.

Tale menzione, tuttavia, ha un valore meramente interpretativo e può essere tutt’al più di orientamento nella comprensione del testo e degli obiettivi dell’atto legislativo. Da essi è possibile desumere che, in assenza di criteri uniformi volti alla classificazione delle attività economiche e degli investimenti sostenibili, nonché di un sistema informativo standardizzato, può essere elevato il rischio di incorrere nella selezione di prodotti finanziari solo formalmente verdi.

Tale constatazione sembra pacifica, se si considera che la sostenibilità dello strumento finanziario sarebbe altrimenti assicurata dallo stesso soggetto che rende disponibile il prodotto ovvero certificata da società solo teoricamente indipendenti, ma nella realtà inclini o tendenti al rilascio di giudizi compiacenti e positivi.

D’altronde si tratta di una pratica già implicitamente affrontata e combattuta con il ricorso, da parte dell’Autorità regolatrice, a strumenti economici come quello delle certificazioni (es. Ecolabel).

Anche in questo caso, l’intento dell’autorità pubblica è stato quello di assicurare che le informazioni sulla sostenibilità di una certa attività siano caratterizzate da un elevato grado di affidabilità per aumentare la fiducia dei consumatori e ridurre il rischio della divulgazione di informazioni fuorvianti.

Le conseguenze di questa pratica possono essere molteplici e manifestarsi in diversi effetti negativi:

-nei confronti innanzitutto dell’ambiente; il fatto che venga offerto un prodotto che si dichiari apportare benefici all’ambiente, quando invece gli effetti positivi sono solamente apparenti o non corrispondenti a quelli dichiarati o assenti se non addirittura negativi, comporta che il valore della sostenibilità sia posto al centro dell’offerta al solo fine del profitto. Ne consegue lo svuotamento de facto della caratteristica principale dello stesso prodotto, che non apporterebbe alcun contributo all’ambiente, ma inseguirebbe solo opportunità di guadagno, senza i costi che la sostenibilità richiede;

-nei confronti della concorrenza; le imprese e le attività economiche che ottengano profitti o accedano ad investimenti vantando la sostenibilità della propria attività, senza peraltro una reale valenza ecologica (ad esempio attraverso l’esame di confronto dei dati del fatturato proveniente da attività, prodotti o servizi sostenibili, ovvero delle spese affrontate da tali imprese ed attività economiche in attività effettivamente verdi), comporta un indebito arricchimento, provocando una distorsione concorrenziale a discapito delle imprese che correttamente sostengono i costi della transizione ecologica;

-nei confronti della controparte interessata; un esempio è quello del consumatore che intenda acquistare un capo di abbigliamento fatto di materiale riciclato, ovvero di un investitore che intenda indirizzare il proprio capitale a prodotti finanziari che contribuiscano ad obiettivi ambientali. L’assenza dell’elemento verde pattuito o non corrispondente a quello dichiarato arreca un danno nei confronti della controparte, poiché risulta insoddisfatta la sua attesa di ricevere un capo di abbigliamento attento alla sostenibilità, ovvero di acquistare un prodotto finanziario ambientalmente non impattante, peraltro dietro il pagamento di un prezzo eventualmente anche più elevato, basato sulle millantate caratteristiche del prodotto medesimo.

Questi diversi effetti distorsivi dovrebbero essere arginati attraverso meccanismi che, pur con le dovute differenze di applicazione ai diversi settori produttivi o alla finanza, siano presenti e applicati all’interno dell’ordinamento comunitario e/o nazionale.

La posizione di debolezza informativa del consumatore o dell’investitore può essere tale da determinare un rapporto negoziale squilibrato, in cui una parte si trova in svantaggio e quindi in possesso di un minor potere contrattuale.

La tutela dei consumatori 

A tutela dei consumatori, il Legislatore comunitario ha elaborato un corpus normativo, recepito dagli Stati membri, in cui ad esempio individua una serie di fattispecie che possono essere applicate anche al settore dei servizi finanziari sostenibili.

Si pensi all’art.21 del Codice del Consumo, in cui si dispone che ‘è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più elementi (ad es. natura del prodotto o sue caratteristiche principali) e, in ogni caso, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso’.

Sembra pertanto necessario, con riguardo al settore dei servizi finanziari sostenibili, che le competenti Autorità nazionali (come disposto dallo stesso Regolamento sulla Tassonomia) siano nella condizione di esercitare i loro poteri di vigilanza e sanzionatori nel caso in cui vengano segnalate o intercettate pratiche di greenwashing nella offerta di prodotti finanziari sostenibili, anche attraverso verifiche del rispetto della normativa di settore.

La normativa di riferimento richiede, infatti, una complessiva coerenza che i partecipanti ai mercati finanziari ed i consulenti finanziari devono assicurare nella pubblicazione delle informazioni di sostenibilità dei prodotti finanziari rispettivamente nei propri siti web, nell’informativa precontrattuale e nella reportistica periodica. L’efficacia dei controlli dell’operato degli attori della finanza sostenibile dovrebbe garantire che il rischio di greenwashing sia ridimensionato, creando i presupposti per consentire che i flussi di capitali siano orientati verso investimenti effettivamente sostenibili e realizzare l’obiettivo di una finanza che apporti un reale contributo nella transizione ecologica del sistema.

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