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L’ Ulisse di Joyce compie 100 anni

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A sinistra la prima edizione dell’Ulysses di Joyce. A destra la prima edizione italiana. Di quest’ultima si può trovare qualche copia a prezzo ragionevole. Per l’edizione parigina ci vogliono almeno 300 mila euro.
Tempo di lettura: 5’.

Restiamo sui libri che è un argomento che non fa arrabbiare nessuno. È l’argomento più trasversale che esista. Nel parliamo ancora perché Ulysses di James Joyce compie 100 anni. Per farlo ci prendiamo qualche minuto in più (pochi). Scusate.

Uscì a Parigi il 2 febbraio del 1922. Ci sarebbero parecchie cose interessanti e bizzarre da dire su questo romanzo che è l’espressione letteraria del secolo breve e nel suo caos un modello di incredibile modernità. Rimando però, per completezza, il lettore curioso all’ottimo articolo del Post e a questo intervento dello scrittore e pluripremiato critico irlandese Colm Tóibín.

1922-2022

In italiano l’Ulisse arrivò solo nel 1962 tradotto dal fiorentino Giulio De Angelis, nella mitica collezione della Medusa di Mondadori. 40 anni di iato sono tantissimi per, come lo bollò lo stesso Joyce, il “maledettissimo romanzaccione” — Joyce conosceva bene l’italiano anche nei suoi differenti registri. Questo “romanzaccione” (320mila parole) viene da molti considerato l’opera letteraria centrale del Novecento. Sicuramente la più innovativa.

Non so se è anche la più importante (Proust, Kafka, Pynchon e chi sa quanti altri avrebbero da ridire, giustamente). Ma è indubbiamente l’opera che segna una cesura radicale nella storia della letteratura.

Non foss’altro per l’ardire di Joyce nel trasferire a Dublino la vicenda-clone del fondatore del canone occidentale, un peraltro irriconoscibile Ulisse, la personificazione stessa del logos. È un po’ anche come sfidare a duello l’Odissea. Un atto che nella pittura equivale a raffigurare Dio. A parte Michelangelo, ci hanno provato in pochi.

Alla fine però non riesco a vedere grandi affinità tra Leopold Bloom, l’alter ego libertino e liberopensatore di Joyce, e l’epico eroe greco che traghetta il pensare e l’agire dal mito alla razionalità. Forse Joyce cercava, nella suo schema anarchico, un qualche appiglio per lo “spaventoso guazzabuglio” (sempre lui) che andava mettendo insieme e l’Ulisse itacense, con la sua emblematicità e universalità, gli sarebbe servito da piggybacking alla sua storia.

Marilyn Monroe intenta nella lettura dell’Ulisse. Ormai è quasi al termine dell’illeggibile libro. La trasognante e cinquettosa diva è riuscita dove molti hanno fallito, me incluso. Ma sarà così o voleva solo burlarsi di chi la riteneva troppo “leggera”? L’intelligenza per farlo l’aveva sia per burlare che per leggere, eccome se l’aveva!

La ragione di uno iato

Capisco la ragione di questo iato di 40 anni della traduzione italiana: anch’io non ho avuto mai il “mojo” per affrontare l’Ulisse di Joyce. L’ho sempre considerato inarrivabile (completamente in originale), come gli scalatori considerano irraggiungibile la vetta dell’Annapurna in inverno. Qualcuno l’ha detta “un’opera da far tremare le vene e i polsi”, solo a leggerla, figuriamoci a tradurla in un’altra lingua.

È come se nell’Ulisse risiedesse qualcosa di insolito e fors’anche di occulto, come non si stanca di scrivere l’ottimo studioso di Joyce Enrico Terrinoniche ha anche curato la traduzione di Ulysses per l’edizione Newton Compton uscita nel 2012. Alcune discorsi di Terrinoni sul romanzo mi suscitano l’immagine dei frattali (caos che si solidifica).

Sarà perché l’opera è nata da un gran pastiche.

A scriverla è stato un cosmopolita irlandese (quando l’Irlanda stava per liberarsi dal gioco britannico), in lingua inglese (l’idioma più detestato dai suoi connazionali), è stata pubblicata a Parigi da una stamperia francese, ma dopo essere stata ideata a Roma, abbozzata a Trieste (allora parte dell’impero austro-ungarico con venature irredentiste, presente Freud) e terminata tra Zurigo (nella città di Jung già in rotta di collisione con Freud) e Parigi stessa (dove c’era un’espatriata inglese visionaria). Una serie di incidenze (diciamo così), antesignane di una sorta di destino europeistico.

Congiunzioni astrali

Mentre, a Parigi, usciva Ulysses, la città di Dublino, dal 28 giugno al 5 luglio 1922, per otto  giorni diveniva teatro di cruenti scontri, noti come la “Battaglia di Dublino”, che portarono alla proclamazione dello stato libero d’Irlanda. Su questo episodio si può vedere il film Michael Collins di Neil Jordan, con Liam Neeson, Julia Roberts, Stephen Rea e Alan Rickman (su Chili a 3,99 euro).

Per gli appassionati di storia irlandese c’è anche la miniserie Rebellion su Netflix che ricostruisce, in un’ambientazione molto accurata, la preparazione, lo scoppio e l’approdo della Rivolta di Pasqua del 1913, quando il liberale Lloyd George minacciò di mandare in Irlanda un soldato inglese per ogni donna e bimbo irlandese.

Anche il romanzo di Joyce si svolge nella capitale irlandese in una giornata di giugno, il 16 giugno – ma del 1904 – poi diventato il Bloomsday.

L’Irlanda e Ulysses

Per avere un’edizione pubblicata nel loro paese, gli irlandesi dovettero aspettare più degli italiani: ben 26 anni. Non sembra però gliene importasse più di tanto se si pensa che com’è noto Ulysses è il libro meno letto nel paese del trifoglio.

Lo scrittore satirico Flann O’Brien, scrittore cult anche in Italia, si era offerto di tradurlo in irlandese cosicché se gli irlandesi “intendessero vantarsi di non volerlo leggere in inglese non avrebbero potuto vantarsi di non leggerlo nemmeno in irlandese”.

Il giovane governo irlandese lo ignorò, e non gli fece nemmeno il favore di bandire ufficialmente il suo libro. Nessuna autorità irlandese era presente al funerale di Joyce a Zurigo dove, in compenso, prese la parola l’ambasciatore inglese…

Piuttosto complicato, insomma, il rapporto dell’Irlanda con il suo più illustre letterato. D’altra parte, mettendosi da una angolatura diversa, il paradosso è che, a portare la lingua inglese a uno dei suoi massimi livelli di espressività, sia stato proprio un irlandese. Lo stesso Joyce parla così dell’“inglese” dell’Ulysses:

Uno spaventoso guazzabuglio di pidgin english, inglese dei neri, londinese, irlandese, slang della Bowery e sgrammaticata poesia burlesca.

A proposito di inglesi e irlandesi. Dato che San Patrizio era un inglese (di allora) si può parlare di uno scambio culturale abbastanza equo tra le due comunità. Del resto, anche il filosofo George Berkeley, uno dei fondatori dell’empirismo inglese, era irlandese. Esistono numerosi tributi reciproci. Ma, si sa, tra parenti si litiga piuttosto spesso.

La vicenda editoriale

Altrettanto paradossale e  paradigmatica è la vicenda editoriale del romanzo di Joyce al pari di quella dell’altro dei grandi propilei della letteratura novecentesca: la Recherche. Proust dovette pagarsi la prima edizione e si deve a Gide se poi è successo quel che è successo.

Joyce deve a una libraia, la visionaria Sylvia Beach fondatrice di Shakespeare & Co. tutt’oggi sulla riva sinistra della Senna, davanti a Notre-Dame, la pubblicazione delle prime mille copie di Ulysses. La Beach, per far fronte al costo mica da niente della pubblicazione del romanzo, ricorse a una sorta di crowdfunding: chiese i soldi in anticipo per avere una copia stampata… e raggiunse l’obiettivo senza bisogno di Internet.

Ma stupisce soprattutto che il libro sia stato rifiutato dalla madre di tutte le case editrici, la Hogarth Press di Leonardo e Virginia Woolf. Con coerenza però: alla Woolf, il manoscritto di Joyce (peraltro al limite della leggibilità) non piacque mai. Quanto a Leonard era troppo preso dalla politica per discutere con la moglie.

Prova suprema, se ce ne fosse bisogno, di quanto possa essere convenzionale anche la migliore industria editoriale tradizionale che, salvo stupende eccezioni, si siede sul noto e omologato.

Una coppia di pagine del manoscritto dell’Ulisse riferite, presumo, all’episodio di Circe. Ma non sono sicuro che sia proprio dell’Ulisse viste le condizioni di lettura.

5000 errori

D’altra parte, Joyce sarebbe stato un incubo per qualsiasi editore. Perennemente introvabile, sempre chino su un qualche altro progetto, dai manoscritti indecifrabili, di cui non correggeva le bozze con la diligenza richiesta dai contratti editoriali, e incorporando anzi nel testo gli errori di composizione delle/dei dattilografe/i e dei proto (quelli francesi ne misero a bizzeffe anche in buona fede cercando di correggere quelli presunti dell’autore).

La prima edizione e anche le innumerevoli successive uscirono con 5000 errori riconosciuti e in un secondo tempo corretti, non da Joyce, ma da un team internazionale di studiosi.

Con la nuova edizione del 1984 che recava la dicitura “A Critical and Synoptic Edition”  furono corretti in media sette errori per ogni pagina stampata: errori di punteggiatura, parole saltate, frasi tranciate o anche persino omesse per intero.

Morale

Libri come quello che aveva in mente Joyce non esistevano sulla faccia della terra e se è vero che se non trovi il libro che cerchi, fai bene a scriverlo, allora Joyce ha fatto la cosa giusta, cioè quello che tutti vorremmo fare, ma non abbiamo il “mojo” per farlo.

Ma la (s)fortuna di Ulysses, libro veramente speciale sotto ogni punto di vista, proprio nel suo paese, l’Irlanda, palesa, se ancor ce ne fosse bisogno, che anche alla grande arte non è data altra possibilità che soccombere agli ideologismi, ai nazionalismi e allo spirito di tribù che nutre le echo-chamber di tutte le epoche. Peccato che sia successo e che continui a succedere.

Non dovrebbe.

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2 COMMENTS

  1. Non sono mai riuscito a leggerlo tutto in italiano, figuriamoci in inglese. Ma Joyce ha scritto un affresco interminabile in cui tutti si ritrovano. Il paragone con Ulisse è folgorante. Il coraggio di vivere un giorno nella Dublino del novecento richiede la stessa forza e capacità dell’eroe omerico. Alla fine nel tempo ho deciso di leggerlo un pò alla volta e mi è stato di guida e di conforto. Sono anche sicuro che non lo finirò mai, un pò come capita con i grandi capolavori a cominciare dalla Divina Commedia. Grazie a Mario Manicini che ci ricorda quel che serve nella vita.

  2. L’Ulisse di Joyce compie 100 anni, Grazie all’autore Mario Mancini.
    La cultura in tutte le sue espressioni ideologiche e politiche segue i processi reali più che prepararli. Quel sentimento di grigiore che ci portiamo dentro nella memoria è forse anche la conseguenza di questi fatti: “mentre, a Parigi, usciva Ulysses, la città di Dublino, dal 28 giugno al 5 luglio 1922, per otto giorni diveniva teatro di cruenti scontri, noti come la “Battaglia di Dublino”, che portarono alla proclamazione dello stato libero d’Irlanda”, che ha seguito. L’Irlanda entra nella società di massa “per molti fu una rivelazione”. Bisognerebbe dire forse che l’Irlanda era già entrata o stava entrando nella società di massa ma che gli intellettuali non se ne accorsero, appunto, in ritardo.
    James Joyce, combattuto fra la propria onesta intellettuale, la devozione alla causa, il desiderio di esprimersi (privilegio e a un tempo dovere dell’intellettuale) di fronte a una quantità di tabù e di divieti, non aveva nei confronti della propria funzione specifica altra soluzione “un’opera da far tremare le vene e i polsi”.

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