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Siamo persone o personaggi?
Una bella domanda per ognuno di noi. L’occasione per rifletterci la trovo in questo festival di Sanremo. All’apparenza calmo e solidale, nei fatti ricco di trasgressioni, anche se l’Osservatore Romano ha scritto ironicamente che non esistono più i trasgressori di una volta, riferendosi al grande David Bowie che molti anni fa aveva cantato in ginocchio il Padre Nostro, ben precedendo l’odierna performance di Achille Lauro. In fin dei conti, persone che cercano di creare personaggi da portare sul palco per impressionare lo spettatore è l’essenza dello show.
Ed ecco la domanda: siamo sicuri di essere in grado di distinguere la persona dal personaggio? Non solo riguardo a un palco dal quale esibirsi, ma da quel personaggio che spesso, nel quotidiano, tutti, anche inconsapevolmente, usiamo per piacere e sentirci più “forti”?
“Non basta aver ragione ed essere eroi per essere vivi” scriveva Pierpaolo Pasolini.
E la ragione e i torti si sono presentati davanti al personaggio di Drusilla Foer, la nobildonna toscana, vedova di età indefinita che affronta con uno snobismo che sconfina nel sarcasmo un mondo a lei sempre più lontano. Drusilla è un personaggio inventato dall’attore fiorentino Gianluca Gori.
In un Twitter molto “invidioso” si faceva notare che l’attore Gori non era abbastanza considerato a livello teatrale e che per questo si è inventato la maschera di Drusilla, per aggiungerla a quelle classiche o della commedia dell’arte. E quindi? E quindi direi che è stato geniale.
Esiste dall’inizio del mondo, dalle rappresentazioni sociali creare personaggi. Conosciamo Ulisse, Medea, Amleto e il nostrano Pinocchio. Sono personaggi attraverso i quali lo scrittore o l’attore, può permettersi di dire e raccontare quello che come persona non potrebbe fare, non saprebbe fare, non avrebbe il coraggio di fare per dare la forza necessaria al suo messaggio.
Ed è dalle risposte e, da ciò che leggiamo sui social, che si comprende che ancora non riusciamo a scindere la persona dal personaggio.
Questo continuo contrasto, che ben si è visto in questi giorni di polemica, porta ad una riflessione che riguarda una crepa nella nostra vita: siamo persone che indossano personaggi.
Da un lato, c’è la parte più intima di chi siamo, quella che spesso non vogliamo rivelare, ma dall’altra, c’è la forma che calziamo su di noi, quella che ci piace mostrare al mondo, a chi ci osserva o che pensiamo che ci giudichi.
Indossare una maschera per recitare un ruolo imposto dalle convenzioni sociali.
Un autoinganno molto pericoloso, spesso messo in atto per dare un senso alla propria esistenza, alla vita stessa.
Trovare la propria strada nel mondo è forse una delle cose più difficili da mettere in atto. La società odierna è sempre più finalizzata a creare ruoli ai quali la persona si deve adeguare e non viceversa. Un mondo che si è scordato che è la persona a dare autenticità al ruolo. Ed è proprio questo il concetto che Gianluca Gori fa dire a Drusilla:
“Le parole sono come le amanti quando non si amano più vanno cambiate subito. Un termine in sostituzione potrebbe essere unicità, perché tutti noi siamo capaci di coglierla nell’altro e pensiamo di esserlo. Per niente, perché per comprendere la propria unicità è necessario capire di cosa è composta, di cosa siamo fatti. Di cose belle: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti. Ma talenti e convinzioni devono essere curati. Non è facile entrare in contatto con la propria unicità ma un modo lo avrei: si prendono per mano tutte le cose che ci abitano e si portano in alto, si sollevano insieme a noi, nella purezza dell’aria, in un grande abbraccio innamorato e gridiamo: “che bellezza tutte queste cose sono io”. Sarà una figata pazzesca e sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità e a quel punto io credo che sarà più probabile aprirsi e uscire da questo stato di conflitto che ci allontana.”
Ed è semplicemente vero. Perché nel momento in cui siamo incatenati alla “forma” non percepiamo più l’armonia tra i nostri desideri di realizzazione e la recita che ci impone la società.
Siamo Personaggi all’interno di una commedia sociale, come diceva Pirandello, che, nelle sue opere, ha affrontato per primo la questione tra essere e apparire, la differenza tra persona e personaggio.
Ma quanto è difficile al giorno d’oggi non rendere così evidenti queste differenze?
Con l’uso dei social la nostra vita è divenuta sempre più connessa con uno schermo. Un computer ci permette di interagire in tutti i campi del nostro quotidiano: lavoro, tempo libero e vita privata. Praticamente costruiamo una nuova identità alla quale diamo una forma che spesso è solo la proiezione, non la realizzazione dei nostri ideali. Ma non è colpa del mezzo, perché non esistono cattivi strumenti, bensì buoni o cattivi suonatori.
La riflessione da porci, prima di “attaccare” continuamente anche ciò che definiamo “diverso” e quindi non inclusivo, è importante. Abbiamo visto sul palco di Sanremo che non sempre siamo in grado di discernere tra persona e personaggio, ma anche la vita quotidiana di tutti noi è un palcoscenico teatrale. Siamo certi di non “cascare” in una finta vita che trae conclusioni come il romanzo “Uno, nessuno e centomila”?
Come ricordano in tanti, la penna di Pirandello ben evidenzia il bisogno di indossare maschere per vivere. Il suo contesto storico era il cambiamento di un’epoca a cavallo di due secoli del tutto diversi: oggi non siamo lontani dalle stesse inquietudini. Noi cerchiamo disperatamente di stare in contatto con gli altri per fare parte di un insieme.
Per Pirandello bisogna munirsi di maschere per combattere la realtà che può essere molto dura da affrontare. Più ci sentiamo deboli come persone, più costruiamo maschere per difesa, per corazzarci nei confronti delle inevitabili incertezze. Siamo convinti di saper creare illusorie scappatoie per la sopravvivenza. È questo il momento che non ci rendiamo conto che smettiamo di vivere, forse ancora peggio, che banalizziamo la vita stessa e la sua essenza.
Un conflitto perenne che uccide non solo sogni e ideali, ma la nostra unicità, il nostro coraggio che viene dalle parole Cor e Agere, l’agire del cuore, è quello di togliersi la maschera.
Purtroppo ci stiamo indebolendo, due anni di pandemia ci hanno resi pieni di incertezze e di paure. È più semplice creare un personaggio piuttosto che sforzarsi di migliorare la nostra persona. Praticamente stiamo abusando del personaggio per difendere la fragilità della nostra persona.
Ecco ho trovato! Ecco il valore di Drusilla. Che da personaggio si fa persona, che si strappa la maschera, rimanendo mascherata. Che prova a fare l’operazione opposta di Pirandello, trasformando una forma cinica e disincantata nell’agire del cuore.
Avesse per caso Drusilla segnato un punto contro Pirandello? O forse sto semplicemente esagerando.
[…] Interessante articolo di Elena Tempestini, pubblicato su Economia & Finanza Verde, è leggibile cliccando il link sottostante. https://www.economiaefinanzaverde.it/2022/02/08/a-sanremo-drusilla-batte-pirandello/ […]
Dopo aver letto l’interessante articolo che propone aspetti eterni della nostra natura umana, forse occorrerebbe approfondire l’argomento e fare un po’ il punto su noi stessi.
Magari ricorrendo all’apparente semplice metodo marzulliano: facciamoci una domanda e diamoci una risposta; anche per cercare di capire meglio l’ambaradan complesso che ci circonda.
Come sempre, analisi profonda. Nella apparente semplice domanda: “chi siamo”, c’è tutta la complessità universale dell’essere umano.