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Sfide per un moderno cooperativismo bancario

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Questioni di inclusione sociale una volta e oggi

Oggi sono almeno tre le questioni che incidono sul grado di inclusione socio-economico della popolazione, portate drammaticamente in evidenza dalla lunga recessione prima e dalla pandemia poi.

La prima si manifesta con il maggior numero di individui e di famiglie al di sotto della soglia di povertà. La seconda è di ordine territoriale e ha a che fare con le diversità che nascono dal vivere in centri minori. La terza è generazionale e riguarda le differenti attitudini all’uso di nuove tecnologie in ragione dell’età.

Tutte queste fratture si traducono in disparità sostanziali in termini di accesso a servizi essenziali e quindi a diritti, incidendo sul livello di benessere generale. Le azioni per contrastarle sono oggetto delle politiche economico-sociali del governo ed europee. Sulla loro attenuazione operano anche le iniziative del terzo settore e gli stimoli per una diversa combinazione tra la massimizzazione del profitto e gli impatti sociali dell’attività economica.

E’ un terreno di sfida sul quale anche il banking soprattutto nella sua componente no profit, come il credito cooperativo, è chiamato a confrontarsi.

Sfide e ritardi del credito cooperativo

Nato oltre cento anni fa per contrastare fenomeni come l’usura e per dare sostegno finanziario alle piccole attività e alla formazione del risparmio familiare, il credito cooperativo ha via via accresciuto il proprio peso economico, raggiungendo all’inizio del 21^ secolo la sua maggior dimensione, con quote del mercato nazionale di depositi e crediti del 7/8%, una presenza in termini di sportelli pari al 15% del totale e una articolazione di offerta che si estende al risparmio gestito, ai servizi di assicurazione, ai pagamenti ed altro.

Negli ultimi anni ha dato luogo, con la nascita dei gruppi bancari cooperativi, a un processo di riforma della governance, alla ricerca di un nuovo paradigma tra autonomie delle singole componenti (le Bcc) e coordinamento/controllo della capogruppo bancaria. Il tutto nel quadro dei nuovi rapporti con le istituzioni sovranazionali di Bce, EBA e Commissione.

La domanda è se, tra i molti contrasti originati dalla riforma ancora non del tutto metabolizzati, l’impegno profuso nella conservazione di una identità in termini di governance e la sfida competitiva alle banche profit sul loro stesso terreno non siano andati a discapito della differenziazione di ruolo, secondo la vocazione originaria di assistenza della parte più debole della società. Al di là delle affermazioni di principio sulla vicinanza al territorio, lo sforzo dimostrativo dovrebbe essere più circostanziato, per essere compreso nella sua vera valenza.

D’altro canto, in termini di politiche bancarie non sembrano esservi sostanziali distinzioni tra banche profit e credito cooperativo. Come queste ultime, tutte le banche grandi e medie proclamano il proprio interesse per i territori, per le famiglie e per le piccole e medie imprese, hanno creato strutture dedicate e sviluppato politiche di offerta di servizi sostanzialmente omogenee. L’assorbimento da parte delle banche maggiori delle non poche banche di prossimità andate in dissesto ha vieppiù proiettato le prime in contesti locali.

Nemmeno sul piano della redditività emergono vantaggi a favore del credito cooperativo, che ha sì spread tra tassi attivi e passivi più alti di tre volte rispetto alla media, ma anche costi operativi molto più elevati, come emerge anche dalle ricorrenti osservazioni di Banca d’Italia.

Ci sono dunque altri segmenti di mercato e altre attività per conservare al credito cooperativo le peculiarità istituzionali e sociali per le quali è nato?

Siamo convinti di sì, con esempi che possono tradursi in linee concrete di un nuovo cooperativismo bancario.

Altri target di mercato e altri business

Il più consistente segmento di mercato da esplorare a questi fini è quello rappresentato dalla popolazione non bancata, da quella parte cioè che ha perso ogni rapporto con il banking, per esserne stato escluso o per non poterne più sostenere la convenienza. Le stime arrivano a 10 milioni di persone senza accesso a servizi, dando un’idea della dimensione delle nuove povertà. D’altro canto, anche l’inserimento dei migranti, che decidono di stabilirsi nel nostro paese, non può non tenere conto di esigenze minime anche di natura bancaria, come il microcredito e i pagamenti ricorrenti.

Non risulta che vi siano pacchetti minimi di prodotti a basso rischio, per una politica organica di offerta. Il mondo bancario italiano si è d’altro canto tenuto a distanza anche dal settore delle rimesse, che pur vedeva il paese in una delle prime posizione mondiali. Sarebbe stato anche un terreno fertile di integrazione sociale e di educazione finanziaria per i nuovi arrivati e lo sviluppo di nuove relazioni. Mercati temporanei della manodopera stagionale possono offrire ancora opportunità di collocamento di servizi essenziali. I nuovi esclusi possono tornare ad essere campo di una sistematica azione cooperativa.

Offrire prodotti di base

Il tema dei prodotti di base, segnatamente del conto di pagamento, ha ricevuto molta attenzione a livello di direttive comunitarie. Per tutte va citata la PAD (Payment Account Directive), tradotta in numerosi articoli del Testo Unico Bancario.

In generale, non si riscontrano politiche di offerta di strumenti di base a prezzo calmierato, per avvicinare nuovi segmenti da parte dell’intero sistema. L’industria dei pagamenti si è per ora sviluppata con asserite differenziazioni funzionali, sostanzialmente poco percepibili. Gli strumenti di base sono invece una linea strategica che ha assoluta dignità e risponde al primo passo del processo di avvicinamento a servizi bancari di maggiore complessità. Il credito cooperativo potrebbe farne un indirizzo strutturato di offerta, opportunamente pesato nella composizione delle attività complessive, contando anche sul fatto che le altre banche non sembrano propense per il momento a preferire la linea dei prodotti di base.

Innovare le modalità di distribuzione del prodotto bancario 

La distribuzione del prodotto bancario sta subendo una forte trasformazione, uscendo dalle modalità rappresentate dai tradizionali sportelli bancari. Fino a pochi anni fa, il credito cooperativo ha fatto della crescita della rete fisica una propria linea di azione. Anche oggi in cui la riduzione del numero degli sportelli intrapresa dal sistema ha assunto una certa velocità, il credito cooperativo procede a ritmi molto più lenti.

Oltre a inevitabili chiusure di punti diventati irreversibili fattori di costo, si potrebbe dar luogo alla trasformazione e al potenziamento di quelli che continueranno a presidiare il territorio. Punti di contatto stabili con la clientela attraverso l’interlocuzione a distanza, via video chiamate, con impiegati in servizio presso filiali maggiori o presso la direzione generale potrebbero continuare a offrire assistenza bancaria a costi contenuti.

Queste infrastrutture assistite si presterebbero anche ad una offerta di servizi non bancari, ad esempio di natura sanitaria, di iniziazione al digitale nei rapporti con la PA, e pure di valorizzazione dei prodotti e dei beni culturali del territorio. Empori multiservizi potrebbero colmare i deficit che si vanno producendo con il ritiro di articolazioni storiche di presidio delle aree minori, affinché le distanze con gli abitanti dei centri più grandi non diventino incolmabili. Il contesto è favorevole per le iniziative di recupero e valorizzazione delle aree interne, grazie alle politiche pubbliche.

Vicinanza al territorio e trattamento dell’informazione economica 

Se le proposte di cui sopra non sono del tutto estemporanee, ma possono formare indirizzi per la messa a terra di nuove politiche di presenza sul territorio dell’identità cooperativa, sarà da scoprire.

D’altro canto, il mantra dei benefici derivanti dalla prossimità fisica alle famiglie e alle pmi va incontro a modifiche sostanziali nel trattamento delle informazioni che le riguardano, fino a tratteggiare i caratteri di una nuova industria. Essi sono sollecitati dagli indirizzi a favore di una maggiore concorrenza, presenti nelle normative europee, e nel crescente valore attribuito ai dati, per cui la diretta interlocuzione con la clientela o le notizie attinte da altre fonti di contesto non saranno più sufficienti nè per lo sviluppo commerciale nè per il governo del rischio.

La nuova industria delle informazioni sarà fatta di basi dati sempre più analitiche per confrontare prodotti e prezzi e misurare il merito creditizio, con elaborazioni che partono dai dati elementari dei pagamenti tra imprese e tra individui. Anche intermediari non bancari come gli Imel e le neo banche stanno invadendo i territori propri delle banche tradizionali. La più alta velocità di interpretazione dei dati determinerà anche la perdita del vantaggio competitivo dato finora dalla rapidità delle decisioni, di cui le piccole banche locali menano vanto.

Per il credito cooperativo, si tratta dunque di aprire una strada nuova, tenendo in prima considerazione i profondi squilibri prodottisi nella società di oggi, al fine di replicare un compito etico-economico come quello esercitato alle origini del movimento, utilizzando le opportunità della trasformazione tecnologica.

In caso contrario, i dubbi sulla ragion d’essere del sistema e della sua corposa articolazione saranno sempre più difficili da allontanare.

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