Tempo di lettura: 4’.
Itinerario per il Castello
Oggi in pochi conoscono il Castello del Calcione ubicato al limite della provincia di Arezzo con quella di Siena in Comune di Lucignano su un pianoro dal quale ad Est si domina la Valdichiana e ad Ovest una distesa di boschi in cui si erge Monterozzi di Santa Cecilia. Più in basso il lago artificiale sul torrente Foenna.
Il Castello insomma è in una magnifica posizione panoramica ed è circondato da un bellissimo giardino all’inglese.
Invece 50 anni or sono il castello, con l’annessa fattoria, era molto noto per il fervore delle attività agro-silvo-pastorali anche in termini di avanguardia tecnica che si esercitavano su 1200 Ha di estensione.
Al Castello si giunge dalla strada provinciale Arezzo-Siena svoltando a sinistra in località Dreini per la comunale di Rapolano, attraversando zone boscate e poderi ora destinati ad attività turistico-ricettive.
Il nome “Calcione” deriva da quello di una famiglia etrusca o da un nome di persona sempre etrusco “Calcinea”. Del resto notevole fu in queste aree la presenza colonizzante e militare di Etruschi e Romani. Altre interpretazioni lo riferiscono al calcare e quindi alla industria della calce, ma sono meno probabili.
Le origini del Castello e Leonardo da Vinci
Notizie certe sulla sua origine si hanno verso l’XI secolo durante il quale ebbe potere e giurisdizione sul territorio l’Ordine dei Monaci senesi di San Eugenio, secondo il Dizionario geografico fisico storico della Toscana (Repetti 1883), che comprendeva anche la vicina Villa di Mondanella e relativi poderi.
“Acquistato Calcione dalla potente famiglia Tolomei di Siena, questa vi eresse nei primi anni del secolo XIV, scrive sempre il Repetti, un palazzo a guisa di castello baronale”, utilizzando e modificando preesistenti edifici fortificati.
Allorché nel 1473 la Repubblica Fiorentina conquistò Calcione e Lucignano, espropriò il Castello e le proprietà terriere ad un certo Regolino da Campopetroso di Genova e quasi subito vendette la proprietà ad Angelo della famiglia Lotteringhi, aristocrazia fiorentina d’origine germanica, tra le più un vista.
Al cognome Lotteringhi si aggiunse nel tempo quello “della Stufa”, poiché la famiglia era proprietaria anche Della Stufa ovvero dei bagni pubblici fiorentini così chiamati.
Nel 1632 il Castello fu eretto a Contea sempre sotto la proprietà dei Lotteringhi della Stufa, Contea confermata dal Granduca Francesco II fino al 1745, quando fu emanata la Legge sulla eliminazione dei feudi.
Leonardo da Vinci soggiornò sicuramente nel Castello del Calcione, come architetto ed ingegnere su mandato di Cesare Borgia, quando nel 1500 studiò un progetto per la sistemazione idraulica della Valdichiana. Ciò si ricava anche dalla cura dei dettagli nelle carte disegnate allo scopo. Nella carta RL 12278 Windsor è disegnato anche il Castello del Calcione evidentemente ritenuto importante dettaglio geotopografico nei suoi studi.
L’azienda agroforestale annessa al Castello
Il Castello era la fattoria dei numerosi poderi che costituivano, insieme alle aree boscate, un complesso di circa 1200 Ha. Negli anni 1920 l’agricoltura era molto arretrata, sotto certi aspetti quasi medievali per cui si iniziò subito un processo di modernizzazione che raggiunse il culmine dopo gli anni 30 anche con vari interventi per il miglioramento delle condizioni sociali dei coloni, con lo sviluppo notevole della meccanizzazione, in certi settori con aspetti di sperimentazione.
Fu istituita una scuola elementare per ridurre il diffuso analfabetismo con lezioni serali per adulti. Si effettuarono estese piantagioni con tecniche agronomiche moderne. L’azienda ebbe un premio alla Fiera internazionale di Tripoli e, nel 1938 giunse prima ad un concorso nazionale “per ottimi risultati tecnici ed economici conseguiti malgrado le difficoltà dell’ambiente agrologico”.
Anche gli aspetti genetici (selezioni) e fitosanitari erano particolarmente curati. Infine notevole fu l’apporto culturale agronomico delle Cattedre ambulanti in agricoltura con lezioni ai coloni da parte di dottori in scienze agrarie.
Futurismo e sport al Castello
Nel Castello non poteva non aleggiare uno spirito futurista. Alessandro Della Stufa, figlio di Antonino, sportivo di razza (giocava anche a Polo), fu presto attratto nell’ambiente d’elite fiorentino di valenti piloti, anche di GP (l’attuale Formula 1), ovvero dal mito della velocità.
Il futurismo traeva infatti alimento dalla velocità dell’agonismo e l’automobile era il mezzo migliore per l’idealizzazione di un futuro tutto da scoprire. A quel tempo i piloti correvano su macchine potenti e su strade consolari sterrate, macchine insicure, pericolose ed anche i circuiti, molti cittadini, non possedevano certo la sicurezza di quelli attuali.
Gli incidenti erano micidiali per cui i piloti nell’immaginario collettivo venivano considerati quasi come eroi, in grado di annullare spazio e tempo.
Ecco che nel 1935 Alessandro Lotteringhi, in coppia con il pilota fiorentino Carlo Pintacuda, su Alfa Romeo 8C 20000 vince a 114,735 km/ora di media a tempo di record la gara attraverso l’Italia delle Mille Miglia.
Fu una vittoria strabiliante che mobilitò circa 7 milioni di spettatori lungo il percorso. Grande festa al Castello del Calcione oltre che in via Della Stufa a Firenze ed in tutta Italia per la vittoria assoluta di una macchina italiana, come l’Alfa Romeo.
Un gruppo di piloti di alto valore come ad esempio Farina campione del Mondo, Pintacuda, Varzi, Caracciolo ed altri amici del Marchese Alessandro, frequentavano il Castello del Calcione. Erano cenacoli goliardici al termine di ben organizzate partite di caccia. Carlo Pintacuda era un tiratore infallibile con la carabina calibro 22 ed abbatteva più capi degli altri armati di fucile calibro 12 a pallini.
Scherzi di ogni genere non mancavano come quello di mettere un serpentello tra le lenzuola! Immaginatevi l’ignaro pilota quando si infilava tra le lenzuola e poi il frastuono, la confusione per la caccia all’innoquo serpentello in fuga tra i meandri del Castello.
Tutta questa gente giungeva con automobili da sogno, che lasciavano senza respiro: Talbot, Bugatti, Alfa Romeo, Lancia, Delage, Mercedes, Aston Martin. Era un altro mondo, di macchine e uomini.
E al Castello non manca la leggenda
Il Castello del Calcione non fu danneggiato dalle truppe germaniche che vi istallarono il comando della divisione Hermann Goering, sfuggendo miracolosamente a tre giorni di inutili cannoneggiamenti da parte degli anglo-americani poiché i tedeschi si erano già ritirati. Ne fecero invece le spese i boschi con vaste distruzioni e qualche casa.
Non esiste inquinamento, perché le ampie aree boscate costituiscono un valido filtro. Ampie le possibilità di escursioni, di raccolta di funghi e frutti di bosco. C’è ancora il tracciato seguito dai “Maremmani”, così si chiamavano i pastori, che transumavano il gregge verso pascoli invernali di pianura, c’è il lago sul torrente Foenna, c’è anche la Chiesa annessa al Castello, e in locali vicini una buona e genuina cucina, con iniziative ricettive organizzate dagli Eredi Lotteringhi della Stufa.
E la leggenda? Ogni castello deve avere la sua, come accade anche al Castello del Calcione. Quando ero piccolo nelle veglie serali intorno al fuoco del camino, i vecchi, accompagnati da bicchieri di Sangiovese o Trebbiano, aspirando pipe di coccio riempite di trinciato casereccio attraverso un cannello ottenuto da un rametto di noce forato con un ferro da calza incandescente, asserivano che nelle notti di plenilunio un cavaliere nero su un cavallo bianco percorreva tre giri intorno alle mura del Castello per scacciare ogni pericolo e sparire poi nel nulla accompagnato dall’ululato dei lupi della foresta. Non un lugubre concerto, ma un doveroso saluto a chi vegliava sul castello.