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Quei ‘provinciali’ dei miei concittadini

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A sinistra il dipinto Le madri di Jenny Saville. A destra l’installazione di Jeff Koons nell’androne di Palazzo Strozzi. In primo piano i due fiorentini, in abiti borghesi del tempo, dipinti da Masolino da Panicale nel grande ciclo di affreschi della Cappella Brancacci nella Chiesa del Carmine a Firenze. Il grande storico dell’arte Roberto Longhi (Alba 1890, Firenze 1970) era così irritato da queste “figurine Panini” di Masolino che guastavano la superba armonia figurativa del Masaccio da sbottare in un “Ma che se ne vadano!”. Un impulso che nei secoli i fiorentini hanno spesso provato verso l’arte “estranea”.

Oggi vorrei parlarvi di qualcosa che accade nella mia città, Firenze.

Attualmente a Firenze ci sono due mostre che si insinuano surrettiziamente nella tradizione del Rinascimento e giungono a sfidarla, sia pur con un inchino à la Kill Bill. È già bello che le istituzioni fiorentine le abbiano accolte amorevolmente, ma chissà cosa ne pensano i fiorentini DOC.

Entrambe meritano un viaggio a Firenze.

Due mostre coraggiose

Si tratta di due mostre alle quali la stampa internazionale ha dato una sorprendente evidenza.

Il “New York Times” dell’8 ottobre dedica, già in prima pagina, un ampio servizio (con intervista) alla mostra della pittrice inglese Jenny Saville che espone oltre 100 opere.

A sua volta, il “Financial Times” torna a più riprese sulla mostra Shine di Jeff Koons, in corso a Palazzo Strozzi. Sulle colonne del quotidiano di Londra (supplemento patinato “How to Spendi it”) lo stesso Koons parla delle sue intense e proficue interazioni con il Rinascimento fiorentino.

Si capisce che il FT si occupi di Jeff Koons. Jeff è, non solo un importante artista contemporaneo, ma pure una corazzata economica.

Il suo coniglio d’acciaio metallizzato, una sorta di un giocattolo gonfiabile, è l’opera d’arte di un artista vivente più pagata a un’asta: 91 milioni di dollari

Giù le mani da Firenze

Una volta Vittorio Sgarbi disse che Firenze è perfetta e non si può, né si deve, toccare nulla. Ha ragione!

Steve Jobs l’ha girata in lungo e in largo in bicicletta e la pietra serena di Firenze è diventata il rivestimento pavimentale dei 550 negozi Apple Store, le nuove cattedrali laiche, sparsi in tutto il mondo.

A parte il rifacimento ottocentesco della facciata di Santa Maria Nuova (questo sì discutibile, meglio se chiamavano Christo a impacchettarla), negli ultimi due secoli solo Vittorio Emanuele II e Mussolini hanno messo le mani su Firenze.

Nel 1864 il Comune, in vista del trasferimento a Firenze della capitale d’Italia e dei Savoia, incaricò l’urbanista Giuseppe Poggi di fare di Firenze una piccola Parigi e di ‘coventrizzare’ il suo impianto urbanistico ancora medievale. E Poggi fece un buon lavoro.

Nel 1934 Mussolini, riconoscendovi dall’alto un bel fascio littorio, si entusiasmò della nuova stazione ferroviaria ideata da Giovanni Michelucci, che aveva costruito un capolavoro dell’architettura razionalista italiana. I fiorentini, col fiato sospeso, plaudirono subito all’opera per il suo equilibrio e la sua sobrietà funzionale che lasciava intatta l’egemonia visuale del grande complesso di Santa Maria Novella. A Milano era andata molto peggio, con la stazione Centrale.

Successivamente, non è accaduto granché a Firenze: a parte periferie e hinterland è stata praticamente messa sotto formalina.

Purtroppo il “no pasaran” sì è esteso anche alle manifestazioni di arte contemporanea. Pochissime sue espressioni fanno parte integrante del paesaggio urbano. E si trovano quasi tutte nelle periferie.

Il senso di Firenze per l’arte

Come si fa ad essere umili quando siamo stati i migliori?”. Questo detto di Charlie Brown dà ragione del senso di Firenze per l’arte dell’ultimo secolo. Solo pochi gli esempi che mi vengono in mente.

A Firenze, per due secoli capitale mondiale dell’arte, non esiste un centro di arte contemporanea. Doveva sorgere a Rifredi nell’area delle ex-officine Galileo. Ottima idea! Peccato che dopo 30 anni l’area è come un isolato di Mosul. Per trovare un centro d’arte contemporanea, degno di questo nome, bisogna spostarsi a Prato.

A Prato, sono finite anche le sculture (i sassi col “buo”) che Henry Moore aveva regalato alla città Firenze dopo l’epica mostra del 1972 a Forte Belvedere.

La pensilina all’uscita est della stazione di Santa Maria Novella, disegnata da Toraldo di Francia, che avrebbe avuto un senso in qualsiasi altra città, ormai ridotta nelle condizioni dei fabbricati dell’ex-officine Galileo a Rifredi, fu demolita nel 2010 dall’amministrazione Renzi.

Dietrofront, la scultura di Michelangelo Pistoletto collocata nel 1994 sul tappeto verde della rotonda di Porta Romana, ha ricevuto i peggiori epiteti come “donna col mal di testa, squilibrata, stralunata”. Oggi, restaurata, è parte integrante del paesaggio urbano. Se l’amministrazione la volesse mandare a Prato, insorgerebbero appositi comitati per tenerla lì dove si trova.

La Paloma, il pingue uccellino bronzeo di una tonnellata e mezzo, lasciata da Botero alla città è volata all’aeroporto di Peretola e lì è rimasta, a sognare di volare via.

Tutte queste installazioni avrebbero potuto turbare l’immagine apollinea di Firenze. Perciò è scattato l’esilio.

Apollineo e dionisiaco

Una domenica di maggio di molti anni fa ho accompagnato Jonathan Dennis, allora responsabile del New Zealand Film Archive, a Forte Belvedere. Volevo mostrargli la vista della città ideale del Rinascimento.

Mentre la stavamo ammirando dal parapetto della grande terrazza, proprio sotto di noi, tra le frasche, c’erano due giovani intenti intenti ad attività inequivocabili. Neanche i Medici erano certo degli stinchi di santo in quelle attività.

Il dionisiaco salta sempre fuori in un modo o nell’altro.

E nella mostra della Saville c’è molto Dioniso e molta carnalità.

I nudi di Jenny Saville

In effetti i lavori esposti dalla Saville in cinque musei fiorentini sono d’impatto, a loro modo disturbanti. Colpiscono soprattutto quelli che si confondono con opere del rinascimento e del Quattrocento fiorentino.

Sono certamente tributari del Quattrocento fiorentino, e in esso trovano di sicuro una certa ispirazione, ma il crudo espressionismo dei corpi e dei volti di donna alterati, sofferenti e così lontani dai modelli che vogliono evocare creano una enorme distanza tra i lavori della Saville e il Rinascimento.

Detto questo la mostra è bellissima: l’artista ha il talento di Lucien Freud. Inoltre e soprattutto lascia una forte impronta emotiva nel visitatore. L’accostamento alle forme di Michelangelo, di Botticelli e di altri maestri del Rinascimento può suscitare, però, un certo smarrimento, come se un brano di Stockhausen si fosse infilato in una sinfonia di Beethoven.

Brava, però, la Saville! E Urrà per Sergio Risaliti direttore dell’ottimo Museo del Novecento (a cui sarebbe l’ora di mettere la parola “arte” nella denominazione). Forza Risaliti!

↳ Contenuto espanso #1: I nudi di Jenny Saville riportano i maestri del Rinascimento sulla Terra

Lo splendido splendente di Jeff Koons

Non ho mai saputo che cosa pensare veramente dei lavori di Jeff Koons. Ma i tulipani della Fondazione Prada mi hanno impressionato e lì ho capito che la chiave della sua arte sta nei concetti di lucentezza e nel riflesso.

È come se l’opera, nella sua modesta neutralità materica, si riempisse di quello che vede e riflette, compreso colui che la guarda. Per questo l’artista americano si dice convinto che l’arte si trovi nello spettatore e non nel manufatto.

La mostra di Firenze, che non a caso si chiama Shine, rende esplicita questa concettualizzazione del risplendente. È tra l’altro molto interessante vedere come Koons colleghi la lucentezza e il riflesso alla scultura del Rinascimento e alla sua.

L’opera di Koons ha una forte struttura teorica. Koons è un artista che troppo spesso viene presentato come meramente commerciale, trash o orientato al mercato. Il suo lavoro ha invece un forte fondamento ontologico. Jeff Koons sull’arte rinascimentale e la mostra Shine

Insomma mostre belle, coraggiose che sfidano l’apollineo fiorentino e il suo senso dell’arte. Andateci.

Prima di andare

Il solito sidolizzante dei miei articoli è perplesso. Dubita che Poggi abbia fatto un buon lavoro: doveva “haussmann-izzare” il centro storico, riuscendo solo a “coventrizzarlo”. La piazza al centro è un “vuoto-con-giostra”: non smista, non incrocia, non dà-luogo; la fuga di arcate (su un solo lato) smarrisce la misura (“quinci e quindi” – come insegna Dante!), diventa un meandro buono per gli omicidi di Hannibal Lecter e si perde in buie viuzze…
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