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Te’ e Caffè, bevande dell’Umanità, a rischio per i cambiamenti climatici

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Ciliegie di caffè di Coffea Arabica o pianta del caffè
Tempo di lettura: 5’.
Ogni ora è buona per il CAFFE’.

Lo beviamo, ne distinguiamo l’aroma inconfondibile tra cento altri profumi, ci sono noti i suoi chicchi bruni, ma sapremmo riconoscerlo nella sua veste naturale? Probabilmente no. Non a tutti è capitato di vedere, fosse anche in fotografia, gli alti arbusti sempreverdi (allo stato selvaggio raggiungono sei/otto metri), dai bianchi fiori a campanula profumatissimi e dai frutti rossi, molto simili alle ciliegie. Ed è proprio in quel frutto che sono racchiusi due noccioli, ogni uno dei quali contiene un seme: il chicco di caffè.

Se gli orientali conoscevano gli effetti meravigliosi del caffè, ne ignoravano però le cause, perché la caffeina venne “isolata” solo nel 1820. La caffeina, un alcaloide ritenuto il responsabile degli effetti dannosi del caffè sul fisico, è in effetti presente nei chicchi tostati (il caffè verde non ne contiene). La caffeina esplica i suoi effetti sul sistema celebrale, respiratorio e muscolare. Provoca un leggero stato di eccitazione che favorisce il lavoro intellettuale, aumenta la velocità dei riflessi, potenzia la memoria e la facoltà di concentrazione e, quando fa caldo, non c’è niente di meglio di una tazzina di caffè bollente.

Un fiore profumato, ma anche delicato

Il riscaldamento globale rischia di renderne la coltivazione sempre più difficile e costosa.

L’ultimo rapporto del WCR
(World Coffee Research) , pubblicato in base ai dati del 2020, riporta cifre preoccupantiIl 47 percento della produzione mondiale viene sostenuta in paesi che sono ad altissimo rischio di perdita di terreni coltivabili. Entro il 2050, meno del 60% della superficie ora utilizzata resterà a disposizione per la coltivazione del caffè.

Un rapporto congiunto di studiosi del Texas, della Colombia e del Nicaragua pubblicato nel 2015 e citato sempre dagli esperti del WCR sostiene che il Brasile, uno dei maggiori produttori su scala mondiale, potrebbe perdere il 95% dei terreni destinati alla coltivazione di caffè arabica (la qualità migliore) entro il 2100.

Di fronte a questo scenario catastrofico, il caffè finirà?

Possiamo sperare che non avvenga, ma i dati sembrano incontrovertibili. Il caffè potrebbe diventare più caro dello zafferano, dell’oro, dei minerali dell’industria metallurgica.

Anche il cosiddetto 
caffè selvatico, la pianta ancestrale dalla quale sono state ottenute tramite incroci tutte le varietà di caffè attuali che scegliamo di consumare in base a gusto, aroma, sapore, è minacciato dal global warming, che sconvolge gli ecosistemi delle foreste più fragili dell’ecozona afrotropicale.

Potrebbe addirittura estinguersi definitivamente entro il 2080, come i ghiacciai artici. I climi caldi e secchi che sono la culla di crescita del caffè verranno gradualmente rimpiazzati da umidità, cicloni, temperature sempre più tropicali, caldi soffocanti, mancanza o eccesso di piogge.

Una vera devastazione del microclima necessario alla coltivazione, le cui piante vivono tendenzialmente 30 anni. Quelle piantate oggi, nel 2021, ai limiti quasi estremi della resistenza, potrebbero arrivare a fine vita e concludere per sempre il ciclo della amata tazzina riscaldata?

Il caffè è originario dell’Etiopia, dove cresce spontaneo a 1000 – 1800 metri di altitudine. Da qui, nel XIV sec. sarebbe stato trapiantato in Arabia, dove acquisì la denominazione araba di qahweh (kaffa), la regione etiope dove furono scoperte le prime piante, poi nelle Indie e infine in tutti i Paesi in cui, dal punto di vista climatico, è possibile coltivarlo (maggiori produttori mondiali sono Brasile, Vietnam, Colombia e Indonesia, seguiti da Messico, Guatemala, Honduras, Perù, Etiopia e India). Il termine per indicare il caffè è simile in quasi tutto il mondo: cafè, kofye, kahawa, kaffa, kave e simili (anche se in Etiopia sua patria di origine si dice “bunna”).

La tipologia etiopica è la Coffea Arabica o pianta del caffè è un arbusto della famiglia delle Rubiaceae, coltivato, analogamente ad altre specie congeneri, per la produzione della nota bevanda. Il clima tropicale e il tipo di territorio fanno sì che le piante di caffè crescano spontaneamente, richiedendo la mano dell’uomo solo per l’essiccazione.

Il caffè, bevanda intellettuale?

Non si hanno notizie precise su chi ne abbia scoperto per primo la commestibilità. Probabilmente ciò avvenne in modo del tutto causale anche se, forse, meno romantico di quanto narri un’antica leggenda: “una notte, sulle aride colline dello Yemen, i pastori videro le capre danzare al chiaro di luna. Sorpresi volendo scoprire le cause di tante allegrezza, si accorsero che gli animali avevano mangiato le bacche di un arbusto dai fiori profumati come il gelsomino. Ne assaggiarono anch’essi e furono presi da una straordinaria allegria e da una grande vivacità… “. Una leggenda persiana, invece, attribuisce a Maometto il merito di aver fatto conoscere agli uomini questa corroborante bevanda. Allah, infatti, per aiutare il suo profeta, oppresso da un sonno pesantissimo, gli inviò un elisir amaro e forte: conosciuto allora col nome di kebwa.

Sono stati i pastori o Maometto a scoprire il caffè, non appena gli uomini si accorsero dell’eccezionale potere della bevanda ottenuta da quelle bacche rosse, cominciarono i guai. Nel 1511, alla Mecca, si giunse per persino a proibire quella che era stata definita la “bevanda del diavolo” e a perseguire coloro che osavano berla. Lo stesso avvenne al Cairo qualche anno dopo. Nonostante gli ostracismi il caffè continuò tuttavia la sua conquista trionfale. I primi caffè pubblici sorsero alla Mecca e al Cairo e di lì si propagarono in Siria e nel 1554 a Costantinopoli, sul Corno d’oro, dove venivano chiamati “scuola degli intellettuali”. La cultura dell’epoca, passava attraverso quei locali in cui si riunivano i nomi più noti della pittura, della letteratura e della politica.

I mercanti e navigatori portarono poi in Europa l’uso del caffè, che si beveva amaro come in Oriente, e fu Vienna che più tardi introdusse la moda di filtralo e addolcirlo. I primi locali di mescita apparvero a Venezia nel 1640, a Londra nel 1662, a Parigi verso il 1680 e sono ancora oggi nomi notissimi, come “Florian” (Venezia), “Greco” (Roma), “Pedrocchi” (Padova), “Procope” (Parigi), salotti degli intellettuali di tutta Europa.

E’ di moda il tè?

Secondo il Rapporto FAO del 2018, produzione e il consumo di te’ sia nero che verde sono in crescita in tutto il mondo, compresi i paesi occidentali. I principali paesi esportatori vedono in testa il Kenya seguito da India, Sri Lanka, Argentina, Vietnam, Uganda, Tanzania, Rwanda, Malawi, and China.

Il tè è entrato lentamente nel costume degli italiani. Oggi circa l’ottanta per cento delle famiglie italiane ne fa uso, anche se in misura limitata: nulla in confronto all’Inghilterra dove il 98 per cento della popolazione beve tè. In ogni caso questa bevanda non è riservata alle cinque del pomeriggio: c’è chi la beve la mattina, chi al posto del caffè; c’è chi alla maniera dei cinesi, mette il tè in tavola, come bevanda da pasto, chi lo serve con panini e toast salati. Non fa ingrassare, diminuisce le sensazioni di fame, è astringente, diuretico e aiuta la memoria.

Il tè ha un prezioso contenuto in antiossidanti, che, come ormai un po’ tutti sanno, aiutano l’organismo a difendersi dai radicali liberi (molecole reattive implicate nel danno cellulare). Il tè non contiene calorieIl tè si adatta perfettamente alle nuove abitudini alimentari.

Storia del te’, ambasciatore del mondo

L’uso del tè fu introdotto in Inghilterra da Caterina da Braganza, principessa portoghese, quando andò in sposa a Carlo I nel 1662. Fu un’antesignana a introdurre presso le corti l’uso del tè, dopo che la prima importazione di tè in Europa era avvenuta nel 1610 ad opera della Compagnia delle Indie olandesi. Dal 1706 Thomas Twining, inglese, lo offrì ai clienti del suo pub.

Da allora il tè è diventato la bevanda nazionale inglese, dopo che lo era da molti secoli in India e in Cina. Così nel VII secolo il poeta Lo-tung ne descrive il piacere e il potere: “la prima tazza mi bagna le labbra e gola, la terza entra nell’anima inaridita, la quarta eccita un lieve sudore che allarga i pori, la quinta mi purifica, la sesta mi chiama nel regno dell’immortalità”.

Il tè è bevuto in tutto il mondo e forse proprio ad esso va il merito di avere fatto per secoli da trait d’union tra occidente e oriente: è amato dai russi, che lo bevono a qualsiasi ora del giorno (il samovar, che mantiene sempre l’acqua calda per il tè, è  nato proprio a questo scopo) in bicchieri sormontati da fasce metalliche; dagli americani che hanno inventato i primi sacchetti filtro adottati ora in tutto il mondo. Le specie più conosciute ed apprezzate provengono dalla Cina, dall’India, da Ceylon, da Formosa, dal Giappone dove si produce il tè verde. Alla Twining di Londra da oltre duecento anni si vendono tutti i tè delle migliori produzioni mondiali.

Camellia sinens è coltivata soprattutto in zone tropicali e subtropicali, nelle quali le precipitazioni possono raggiungere i 2.000 mm. all’anno.

Anche per il tè ci sono i rischi collegati al cambiamento climatico. Il Rapporto FAO avanti citato parla delle difficoltà di assicurare in futuro la disponibilità di terreni adatti alla sua coltivazione, cosa che inciderà rapidamente sull’economia globale del te’ riducendone i ritmi di espansione così come li abbiamo finora conosciuti.

Insomma queste due bevande dell’Umanità non potranno sfuggire al destino che le nostre miopi politiche di conservazione del Pianeta riserveranno anche a loro.

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