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Mentre ci avviciniamo a 1,5 gradi di riscaldamento planetario, cresce la consapevolezza che le foreste sono la migliore soluzione per rallentare il cambiamento climatico poiché sono, al contempo, una strategia di mitigazione del riscaldamento globale (riducono le emissioni e la concentrazione di CO2 attuale) e di adattamento, principalmente attraverso il raffrescamento dell’aria e la prevenzione del riscaldamento delle superfici. Ma soprattutto sono una soluzione basata sulla natura.
Per questo motivo molti governi nazionali e locali stanno lanciano campagne di forestazione di massa. Se non possiamo che plaudire alle diverse iniziative (finalmente verrebbe voglia di dire!) dei governi locali e nazionali e anche di organizzazioni private che, almeno a parole, si preparano alla afforestazione/riforestazione di massa, attraverso diverse iniziative ai diversi livelli, incluso il World Economic Forum, rimane una grande domanda: dove troveremo esattamente le decine di milioni (ma si parla di miliardi) di piante per realizzare gli obiettivi? In questo momento l’offerta dei vivai nazionali, forestali o di produzione di piante per il verde urbano, si stima sia intorno ai 10milioni di piantine (numero totale, non di quelle potenzialmente vendibili). Dobbiamo anche ricordarci che i futuri impianti necessiteranno della disponibilità di un numero di piante nei vivai almeno del 20-25% superiore alle richieste per garantire che le piante morte (una mortalità del 5% può considerarsi “fisiologica”, anche se un impianto ben pianificato e realizzato dovrebbe tendere alla “zero mortalità”) vengano rimpiazzate.
Le aziende produttrici devono perciò affrontare sfide significative per soddisfare questa domanda di piantine. Ma sono pronte? Saranno pronte?
Rimanendo nel nostro Paese, possiamo tranquillamente affermare che senza cambiamenti sostanziali, i vivai nazionali non possono e non potranno neanche avvicinarsi a soddisfare la crescente domanda di alberi.
Dovrebbero più che raddoppiare (ma, azzardo,forse quintuplicare) la loro produzione attuale per raggiungere gli obiettivi che diverse istituzioni hanno fissato ma, ovviamente, la cosa non è così semplice neppure nel medio periodo a causa dell’esistenza di numerose barriere, non solo economiche.
Infatti, mentre la maggior parte dei vivai potrebbe essere anche disposta ad espandersi, problemi seri e non facilmente superabili rendono difficile farlo. I principali tra questi sono sicuramente la carenza di superfici utilizzabili per le piantagioni, una forza lavoro non sempre adeguata, la mancanza di contratti di dimensioni e durata sufficienti per giustificare investimenti per l’ampliamento e,soprattutto, una serie di vincoli ambientali che, di fatto, frenano l’espansione delle superfici investite a vivaio. Questo nonostante che, ormai, la gran parte delle produzioni non solo sono rispettose delle normative ambientali, ma rappresentano “pozzi di carbonio”, potendo garantire l’assimilazione, il sequestro e lo stoccaggio di grosse quantità di CO2.
I produttori di piante sono anche e, comprensibilmente, diffidenti nei confronti del rischio economico che deriva dalla costruzione di serre, dall’acquisto/affitto di terreni della necessità di maggioriattrezzature e dalla coltivazione di un numero di piante molto superiore.
Ricordiamoci poi che gli alberi impiegano dai 3-4 anni (1-2 se si parla si materiale forestale) fino a 6-7 anni per arrivare alla minima dimensione vendibile e può essere difficile prevedere la domanda del mercato con così tanto anticipo. Mentre gli investimenti sono immediati, il ritorno è, spesso, lontano nel tempo e per limitare la probabilità di dover buttare via le piantine se gli acquirenti non si materializzano, i vivai di solito coltivano ciò che è necessario per adempiere ai contratti già in essere, ma sono molto cauti nel pianificare l’impianto di nuove superfici. Questo spesso significa che può esserci una grave carenza di piantine dopo stagioni estreme di incendi, tempeste e altre catastrofi, per coloro che non hanno contratto di coltivazioneprima di un tale evento.
Come agire?
Ampliare in modo sostanziale la produzione vivaistica in tempi brevi sarà difficile, se non impossibile, ma se le foreste sia urbane che periurbane devono adattarsi ai cambiamenti climatici e fare la loro parte nella mitigazione, questo può e deve essere fatto. La forestazione di nuove aree potrebbe compensare milioni di tonnellate di carbonio all’anno e contribuire a ridurre l’inquinamento atmosferico nelle città, fornire acqua pulita e ridurre il rischio di decessi dovuti al calore.
Espandere la superficie vivaistica, coltivare, piantare e prendersi cura di tutti questi alberi, sarebbe anche un grande vantaggio economico. Ogni milione di euro investito nella capacità e nelle operazioni dei vivai sostiene, mediamente, da 14 a 48 posti di lavoro, a seconda dello Stato. Molti lavori di riforestazione si trovano poi in aree rurali economicamente depresse, dove è improbabile che si verifichi un’espansione economica senza strategie esplicite.
Nel settore privato, il mercato della rimozione del carbonio sta iniziando a crescere. Gli impegni “Net zero” (o zero emissioni)rappresentano, in certi Paesi, già oltre il 50% del PIL globale e il 25% delle emissioni globali. I maggiori player stanno guidando ulteriori investimenti “Net zero”. Una recente analisi suggerisce che, entro il 2050, le entrate derivanti dal mercato della rimozione del carbonio potrebbero superare gli attuali valori di mercato delle industrie del petrolio e del gas.
Con l’espansione dell’economia a impatto zero nei prossimi due decenni, il settore privato soddisferà gran parte dei suoi impegni attraverso la rimozione del carbonio basata sulle soluzioni naturali (NBS – Nature Based Solutions). Ma non basta. Bisogna che la crescita dei progetti di riforestazione invii segnali di mercato ai vivai e ai proprietari terrieri per coltivare e piantare più alberi. Questo si ripercuoterà in linea diretta sul potenziale di riforestazione. Ma per essere pronto, anche il settore pubblico deve fare la sua parte.
Un pacchetto di politiche nazionali e continentali per le infrastrutture, ad esempio, potrebbe includere finanziamenti per lo sviluppo di vivai e progetti di piantagione di alberi. Le garanzie sui prestiti alle imprese per lo sviluppo del settore potrebbero aiutare i vivai a crescere per soddisfare le richieste future.
Per i terreni privati lo stato potrebbe attuare programmi per promuovere la piantagione di alberi per la conservazione e ciò porterebbe più ordini di piantine ai vivai e progetti di piantagione ai proprietari terrieri privati.
Sul fronte della forza lavoro, potrebbe essere promossa lacreazione di un programma per l’occupazione per formare i giovani a carriere rispettose dell’ambiente e soprattutto orientarli alla gestione sostenibile e tracciabile della filiera produttiva in un’ottica simile alla blockchain.
Anche la creazione o il rilancio dei vivai statali, soprattutto per la produzione di materiale forestale analogamente a quanto fece Franklin D. Roosevelt (che fu in grado di piantare più di 3 miliardi di alberi) rappresenterebbe un notevole impegno, ma anche un altrettanto notevole passo avanti.
Certo, non possiamo semplicemente piantare alberi e andarcene. Una corretta gestione è essenziale per garantire che le nostre foreste siano in grado di gestire gli effetti del cambiamento climatico.
Man mano che si profilano gli scenari peggiori del cambiamento climatico, gli Stati devono ridurre drasticamente le emissioni di carbonio, agendo con urgenza per ripristinare le foreste. Come detto, ciò significa in primis aumentare molto la produzione di piantine, investire in programmi di lavoro e aumentare i finanziamenti per i progetti di piantagione di alberi. Come tutte le grandi cose, questo richiederà intraprendenza, partnership collaborative e leader nei settori pubblico e privato. È in gioco un clima stabile: cresciamo.
[…] Articolo originale pubblicato su Economia&Finanza verde: https://www.economiaefinanzaverde.it/…/vogliamo…/ […]