Il titolo dell’articolo mette insieme argomenti tra loro lontani, l’Imperatore francese, il doge Manin e la banca centrale italiana. Eppure nel corso dei secoli hanno avuto una intima e non facile frequentazione che passa per l’attuale sede della Banca d’Italia di Venezia, tale fin dal 1893 quando era la Banca Nazionale del Regno. Si dirà è stato il destino ma la nostra civiltà, per ricchezza di eventi e personaggi illustri, si è costruita grazie ad essi più che a oscuri e ciechi accadimenti. Come si vedrà anche in queste vicende che provo a commentare.
Per merito di Paolillo e Dalla Santa, direttore e funzionario dell’istituto, nel 1970 fu edito, ad opera di Alfieri, il libro che racconta la storia del palazzo e delle vicende di uomini che hanno contrassegnato la storia del nostro paese.E’ un palazzo sul Canal Grande ove le famiglie più potenti esprimevano la loro autorita’ e ricchezza. La imponente ed elegante facciata fu disegnata dal Sansovino, su commissione di Giovanni Dolfin, e fu poi rimaneggiata dal Selva. Affreschi, stucchi, decorazioni sono di indubbio valore artistico ma essi trascendono il loro significato per assurgere a cornice storica di uno degli episodi più drammatici della storia europea: la fine della Repubblica di Venezia. Il palazzo fu dimora privata dell’ultimo doge, Lodovico Manin, che fu deposto nel 1797 da Napoleone con il Trattato di Campoformido (il vil trattato, lo maledì Ugo Foscolo). Qui vi morì qualche anno dopo nel 1802.
Nel corso del tempo il palazzo ha subito vari interventi di ristrutturazione e modifiche per adeguarlo alle esigenze di un istituto finanziario. Non è mia intenzione ripercorrerle, vi è ampia trattazione di essi nelle pagine del libro, spesso in modo anche critico per come questi interventi sono stati portati avanti.
Rileggendo il libro, vi ho trovato due aspetti che mi hanno particolarmente colpito. Nella prefazione si avverte:Nel momento in cui Venezia, stimolata dall’occasione infausta dell’acqua alta del 4 novembre 1966, gioca ogni sua carta, con l’appoggio di altre nazioni generose per tradizioni culturali, per risanare i danni inferti al suo patrimonio artistico minacciato dal tempo vorace, dalla natura insidiosa e dall’uomo della civiltà del consumo, il ripristino del palazzo che Sansovino eresse a Rialto per i Dolfin, poi divenuto sede della Banca d’Italia dal 1893, costituisce un fatto significativo e di buon augurio: un esempio che gli altri enti pubblici e privati dovranno seguire.
Nel risvolto della copertina, a proposito del palazzo lo si descrive come un ambiente fastoso, degno della famiglia di un doge, e insieme patetico, perchè la civiltà e il denaro veneziani nulla poterono contro la forza delle armi e delle idee della rivoluzione francese, e contro il grande conflitto delle potenze europee, che tutto bruciava.
Manin avvertiva in modo lacerante la sua inadeguatezza rispetto alle sfide del tempo. Nel suo testamento ringraziava la Divina Maestà d’avermi levato da un posto, per il quale ho avuto sempre una nota insuperabile alienazione. E poco più avanti attribuiva alla Provvidenza, per imperscrutabile disposizione, di aver ridotto lui stesso e i suoi familiari al rango di sudditi di un Governo nuovo.
Civiltà del consumo e governance inappropriata diremmo oggi alludendo a un contesto sociale e di mercato senza più slancio e sviluppo economico e quindi destinato a deperire su sè stesso o essere acquisito da altre potenze straniere. Per Venezia si va anche oltre il consumismo perchè l’intera città è al servizio del turismo di massa. Oggi, l’ampliamento del plateatico per le misure post pandemia riserva l’intera struttura urbanistica alla ristorazione e al divertimento, non c’è fisicamente spazio per altro.
Sono due moniti terribili per la potenza evocatrice delle forze che plasmano la storia che varrebbe la pena tener presente anche oggi che ripartiamo, quando sembra prevalere, invece, la forza della propaganda e degli slogan, del tipo andrà tutto bene e la storia siamo noi.
Da parte mia, auspico che la Banca d’Italia possa rendere fruibile questo pregevole testo a tutti coloro che lo desiderano, continuando il lavoro iniziato più di mezzo secolo fa.
Un libro non cambia la storia ma fa pensare e aiuta a capire chi siamo noi italiani e quel che abbiamo perso.