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Un nuovo spazio strategico.
La questione dello Uyghur nello Xinjiang ha praticamente obbligato Europa, America e Regno Unito ad imporre sanzioni alla Cina per violazioni ai diritti umani a danno della minoranza islamica, una cosa che non succedeva dai tempi di piazza Tienanmen del 1989.
La questione Uigura è iniziata con il crollo dell’Unione Sovietica e l’istituzione delle repubbliche indipendenti di Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan lungo i confini della regione. Sono anni che le voci si sono levate per portare l’attenzione sulle problematiche interne, ma la liquidazione del problema e’ stata “racchiusa” nella cornice del terrorismo.
Con l’apertura della Nuova via della seta, la questione è divenuta ben più complessa a livello geopolitico. La Regione è attraversata da tre dei cinque corridoi economici più ambiziosi al mondo. La pandemia sta mettendo a rischio tutto ciò che è stato costruito nel corridoio Cina-Pakistan, il CPEC. Il progetto che vuole creare le infrastrutture necessarie per collegare Cina e Pakistan ai mercati economici dell’Asia meridionale, del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Europa. Il progetto una volta attuato con il grande porto sull’Oceano Indiano, si collegherà alla città di Gwadar, in Pakistan, divenendo la “Gwadar Free Trade Zone”, la quale area avrà a disposizione una serie di centrali elettriche, oggi in fase di costruzione avanzata, e un “New Gwadar International Airport”, che costituirà un Centro logistico integrato per l’Asia meridionale costiera.
La provincia autonoma dello Xinjiang-Uyghur racchiude la più grande unità territoriale, coprendo ben un sesto dell’intero territorio cinese; i confini sono Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India.
Il territorio dello Xinjiang-Uyghur, oltre ad essere un importante luogo di test nucleari e missilistici cinesi, possiede importanti risorse di petrolio e gas.
Il Turkestan orientale
Non volendo dimenticare la storia, fino al diciannovesimo secolo il territorio si chiamava Turkestan Orientale, la popolazione in gran parte mussulmana di etnia turca nel 1944 era sostenuto dall’Unione Sovietica di Stalin, il quale con la nascita della Repubblica Popolare Cinese, fece in modo che il territorio divenisse l’attuale Regione Autonoma.
Il territorio visse decenni di miseria e lento sviluppo, finché le riforme di Deng Xiaoping degli anni Ottanta, dettero il via a una rapida crescita. Da quel momento l’area è divenuta uno dei maggiori produttori di combustibili fossili.
Nel 2001 Pechino si è aperta allo Occidente per costruire le infrastrutture necessarie per attrarre gli investimenti di società nazionali ed estere. Il paese ha migliorato il livello di istruzione e il reddito procapite.
Questo ha provocato la reazione degli integralisti mussulmani culturalmente ostili al progresso della globalizzazione. Il territorio si è trovato spaccato in due realtà, una islamica considerata anche esposta ad infiltrazioni dell’Isis, e l’altra territorio cinese di stile “occidentale”, anche se con molti immigrati dal Turkestan Orientale.
Ovviamente il Presidente turco Erdogan non si è lasciato sfuggire l’occasione del “Rinascimento” dei popoli turanici, un sentimento patriottico molto forte dalla Turchia al Caucaso, dall’Azerbaigian, ai paesi dell’Asia Centrale, Uzbekistan, Kazakistan, Turkmenistan. La vastità del territorio permette ad Erdogan di aspirare a diventare una potenza continentale quale “rappresentante degli Stati turchi dell’Asia centrale”.
Il governo cinese afferma che l’obiettivo sia quello di separare lo Xinjiang-Uygur dalla Cina.
In questa fase di grave incertezza internazionale, dovuta alla pandemia da Covid, dobbiamo poter costruire un’economia globale più stabile.
Il terreno è fertile per il concreto avvio di una rivoluzione energetica, ma la grande sfida che si pone all’Occidente è la geopolitica dei rapporti tra Cina e Turchia e tra Cina e America, come ha evidenziato il nuovo Presidente Usa in uno dei suoi primi interventi.
La domanda che mi pongo è: si palesa davvero un modello completamente nuovo oppure è ancora in atto la prima guerra mondiale, con la Cospirazione di Sykes -Picot e la necessità di un nuovo trattato di Balfour in un’area geopolitica strategica.
Nell’unico discorso pubblico nella moschea di Mosul, Abu Bakr al Baghadi, capo dell’Isis, affermò nel 2014: “Non ci fermeremo fino a che non avremo piantato l’ultimo chiodo nella bara della cospirazione Sykes-Picot”.
Fino ad oggi le rivalse non si sono concluse per gli errori di aver stipulato un armistizio ventennale e non un trattato di pace a chiusura della Grande Guerra.
La madre di tutte le stragi
Lo Stato di Israele ancora non esisteva negli anni Trenta del ventesimo secolo, ma la presenza ebraica nelle terre sante dell’Islam iniziava ad essere considerata dal Gran Muftì di Gerusalemme un corpo estraneo da sradicare con la forza. Il Gran Muftì era Amin al-Husseini, ideatore e precursore del fondamentalismo islamico. Durante il mandato governativo inglese in Palestina, Husseini organizzava e sosteneva ribellioni, incitando i musulmani all’odio verso ebrei e cristiani, progettando un impero panislamico nel quale ebrei e cristiani non avrebbero trovato collocazione né tantomeno vita comune con gli islamici. Fino a quel momento, ebrei e musulmani avevano vissuto fianco a fianco insieme a gruppi di altre religioni, per secoli e in pace in tutto il Nord Africa e in Medio Oriente.
Da giovane Husseini aveva partecipato, quale ufficiale dell’impero ottomano al genocidio dei cristiani armeni. Tornato in Palestina, iniziò a mettere in pratica la sua visione di impero panislamico, fondato sul motto: “un popolo, un partito, un leader”, lo stesso slogan che diverrà dei nazisti.
Chiunque non fosse stato allineato con il pensiero del movimento islamico moderno, finalizzato all’emancipazione dal dominio europeo dei Fratelli musulmani, doveva essere tolto di mezzo, come molti dei capi mussulmani locali che lo osteggiavano, definendolo un pericoloso delinquente.
Gli errori dell’Occidente
Nonostante il voto contrario del popolo Palestinese, erano stati gli inglesi a eleggerlo Gran Mufti di Gerusalemme. La visionaria restaurazione di un impero islamico divenne per Husseini il punto di riferimento. Sarà la corrente Wahhabita a dare potere ad Husseini. Era la corrente di riforma religiosa ultraconservatrice che giustifica l’uso della violenza per purificare il mondo islamico da tutto ciò che non lo sia e nel quale vige solo la legge della Shahariah. Molti intellettuali cristiani, mussulmani ed ebrei vennero uccisi, gli attacchi suicidi crearono stragi nelle città, avverse alla sua ascesa. Il terrore islamico era appena iniziato.
I venti di guerra che aleggiavano in Europa, permisero ad Husseini di entrare in contatto con il banchiere svizzero Francois Genoude e il Console Tedesco Eichman che gli illustrarono l’intento di Hitler di deportare gli ebrei europei in Palestina.
Amil-al-Husseini, percependo questo scopo come minaccia al suo potere nel territorio, si adoperò affinché Hitler optasse per lo sterminio, proprio come i Turchi avevano fatto con il popolo armeno nel 1915 (1,5 milioni di vittime).
Il nazionalismo arabo ottenne sostegno anche nell’Italia di Mussolini ed è proprio da Roma che Amin al-Husseini, lanciò una fatwa-jihad contro l’Inghilterra. Nel 1941, dimostrò la propria ferocia appoggiando l’offensiva nazista in Bosnia e lo sterminio di oltre 200 mila cristiani ortodossi. Da questo momento, collaboro’ attivamente con Hitler, facilitando il reclutamento di musulmani nelle Formazioni internazionali della Waffen-SS e in quelle del Regio Esercito Italiano.
Il Gran Mufti era comunque riuscito a convincere molti leader arabi che guardavano con interesse all’espansione della Germania nazionalsocialista ed al ruolo che avrebbe potuto avere in contrapposizione all’imperialismo franco-britannico.
Le azioni sciagurate di Husseini e di Hitler verso gli ebrei replicarono quanto subìto dagli armeni in Turchia. Gli armeni vennero “deportati” verso il deserto: morirono di stenti, di sete e delle violenze. Un quarto di secolo dopo, gli ebrei furono avviati alla soluzione finale tramite i campi dì concentramento. Heinrich Himmler fondò e finanziò l’ Islamische Zentralinstitut di Dresda insieme al Mufti Husseini, con l’intento di creare una generazione di capi islamici nazisti per il secolo a venire, concetto ben espresso anche nel “Mein Kampf”. Amin Al-Husseini è un antesignano del terrorismo islamico del secolo scorso, tanto spregiudicato sul piano politico-finanziario, quanto oscurantista su quello dottrinale.
La grande Turchia
Sono cambiati gli attori e le strategie, ma ci dobbiamo chiedere se i fondamentali non siano ancora gli stessi, generando una grave e sempre più acuta preoccupazione nel mondo Occidentale.
Erdogan vuole nuovamente la “Grande Turchia”; la identifica con l’impero Ottomano allora diviso a tavolino, gli stati separati da una riga di confine tracciata con squadra e righello.
Il continuo ricordo delle vittorie, militari e politiche, conseguite dall’impero ottomano sono una componente ricorrente dei discorsi del leader turco, il quale ne vede i confini dal Mediterraneo (in Libia e nella penisola balcanica), al Medio Oriente (questione siriana) all’Asia Centrale, con il sostegno agli Uiguri.
Non a caso, Erdogan in un discorso di pochi mesi fa, ha detto: “Siamo una grande famiglia di trecento milioni di persone dall’Adriatico alla Grande Muraglia cinese”. È importante dunque che Biden si accinga a riconoscerà il genocidio armeno, secondo l’annuncio atteso per domani.
Nel contempo la Turchia non tralascia di curare il consenso tra gli emigrati sparsi nelle nazioni europee, ma sopratutto in Germania dove il legame con Istanbul è sempre stato molto forte.
La televisione come arma di propaganda culturale
E se le immagini sono la radice del pensiero e la prima forma di linguaggio, la rappresentazione della società turca, attraverso la tv delle telenovelas e delle soap o serie (Dizi in turco) che dir si voglia, si è andata rapidamente diffondendo.
Un fenomeno culturale e commerciale, esploso negli ultimi anni e divenuto rapidamente globale. In Italia, è divenuto virale tra giovani e meno giovani. Piacciono molto gli attori, divenuti velocemente famosi, c’è una grande attenzione all’aspetto estetico degli interpreti, le trame sono prive di scene di sesso, ma ricche di triangoli amorosi che scatenano tensioni familiari e contrasti tra classi sociali differenti. Sono generi televisivi e cinematografici molto abili ad immettere storie dal tipico canone mediorientale.
Questo a mio avviso è una sottile modalità di esercitare la propria influenza anche sotto il profilo culturale, tipico di ogni progetto di egemonia.
La storia ci dimostra che non è altro che una lunga ripetizione dei suoi caratteri: un secolo plagia l’altro, e ciò succede quando rivendicazioni continue si esercitano sul piano territoriale, militare, economico, ma anche della cultura di massa.
Il passato è ancora tra di noi, non è affatto morto.
La questione dello Uyghur nello Xinjiang e dei suoi abitanti costituisce una delle tante diatribe sociopolitiche molto controverse, in una situazione quasi costante che contrappone occupanti e occupati, in cui ciascuna delle controparti cerca di cancellare o mantenere integre le proprie culture.
Al riguardo, un video postato su You Tube, molto visitato in rete specialmente da navigatori del web indigeni e che ho avuto modo di realizzare a Kashgar nel lontano 1995, appare un pò rappresentativo di differenti opinioni postate nei commenti, secondo l’orientamento e l’appartenenza.
Io l’ho definito, nel mio scritto (https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2020/10/una-specie-di-tazebao-che-raccoglie.html), una specie di tazebao che si aggiorna di continuo, in cui ognuno lascia liberamente quello che è il proprio parere al riguardo.