Si scaldano i motori della ripartenza del nostro paese e fioccano come è ovvio le previsioni per i prossimi anni. Si sprecano le analisi e si disseminano numeri dappertutto. In questo breve articolo, l’esame del ponderoso volume del Ministero dell’Economia e delle Finanze denominato DEF-Documento di Economia e Finanza ci da utili indicazioni per capire come saremo. Approvato lo scorso 15 aprile dal Consiglio dei Ministri esso è un documento imprescindibile da considerare e valutare. La chiave di lettura, forse per la prima volta da decenni, è la stretta connessione tra aspetti sanitari e sociali e l’andamento delle variabili economiche e di finanza pubblica. La miscela se non attentamente governata potrebbe anche essere esplosiva. Il limite principale, tuttavia, è che le previsioni non incorporano i progetti del prossimo PNRR e forse era più saggio fare il DEF dopo aver messo in sicurezza il piano.
L’economia
Dalla tabella in alto appare chiaro il percorso di mero recupero della economia italiana dopo il forte calo del PIL del 2020. Ci vorranno tre anni e solo nel 2023 avremo una variazione superiore alla mera compensazione del tonfo pandemico. Ben poca cosa che pagheremo in termini di livelli occupazionali e di corrispondente aumento della disoccupazione.
Il prolungarsi della pandemia e la necessità di nuove misure di sostegno rendono cogente misure anti cicliche di natura strutturale a sostegno della domanda aggregata e della produttività delle imprese. Tutto ciò è stato demandato al PNRR, che conosceremo solo nei prossimi giorni.
La finanza pubblica
In poco più di un decennio il rapporto debito/PIL è aumentato del valore monstre di 50 punti percentuale fino a raggiungere il 160 per cento questo anno. Trattandosi di un rapporto tra due grandezze l’incremento è dovuto in parte alla recessione e in maggior parte alla maggiore spesa pubblica rispetto agli anni passati.
Nel DEF, tuttavia, si sparge ottimismo a profusione. Infatti, si legge:”Nel medio termine il basso costo implicito del finanziamento del debito, che per quest’anno è stimato pari a circa il 2,2 per cento, dovrebbe scendere ulteriormente, consentendo di ridurre il rapporto debito/PIL di almeno 4 punti percentuali all’anno a condizione che la crescita nominale di trend dell’economia italiana torni almeno al livello del primo decennio di questo secolo e il saldo strutturale primario raggiunga il 3 per cento del PIL.
Queste considerazioni avvalorano la tesi che il debito pubblico rimanga del tutto sostenibile.”
Quel che i numeri non dicono
Che dire ? In verità, tutta questa enorme mole di numeri è un mero esercizio statistico. Qua e là vi sono sprazzi di verità che disegnano scenari ben più complessi. La concatenazione degli eventi, come detto all’inizio, è più o meno la seguente: vaccinazioni, ripresa economia, aiuti UE e mitigazione dello spread da parte della BCE, riforme e infine miglioramento dei conti pubblici. Sono tali e tante queste condizionalità da far si che le variabili numeriche siano scritte sull’acqua. Difficile che la descritta sequenza degli eventi non trovi degli ostacoli e renda tutto più difficile. D’altronde non vale piangere sul latte versato, abbiamo affrontato questa pandemia con una economia molto debole e fiacca.
Questo è quel che possiamo immaginare nel durante ma se tutto va bene che Italia avremo fra un pò di anni ?
Credo che abbia ragione Luca Ricolfi quando, recuperando le analisi marxiste di Zygmunt Bauman, ci avverte che ci avviamo al capitalismo parassitario. “Nella società signorile il parassitismo di chi non lavora convive con un notevole benessere, che accomuna la minoranza dei produttori e la maggioranza dei non produttori. Nella società parassita di massa la maggioranza dei non lavoratori diventa schiacciante, la produzione (e l’export) sono affidati a un manipolo di imprese sopravvissute al lockdown e alle follie di stato, e il benessere diffuso scompare di colpo, come inghiottito dalla recessione e dai debiti. I nuovi parassiti non vivranno in una condizione signorile, ma in una condizione di dipendenza dalla mano pubblica, con un tenore di vita modesto, e un’attitudine a pretendere tutto dalla mano pubblica, con conseguente dilatazione della “mente servile”, per riprendere l’efficace definizione di Kenneth Minogue.”
E l’industria, vanto del sistema Italia e degli anni ruggenti del boom economico che fine farà ? Ecco che ci avviciniamo alla vera questione di questi tempi che ha fatto dell’industria la cenerentola delle nostre analisi e della politica economica. Eppure come si vede dal grafico qui sotto riportato essa ha tenuto molto bene durante la pandemia. Che le forze politiche che tengono incollata la maggioranza di Draghi abbiano la consapevolezza di questa situazione ne dubito fortemente. Ed alla crisi dell’impresa non vi è soluzione a meno che non pensiamo di porvi rimedio incrementando i bacari a Venezia, i turismodotti organizzati lungo la penisola e le navi da crociera in mezzo al Medieterraneo.
Nella strategia del governo illustrata pomposamente nel DEF con il nome aulico una strategia per uscire dalla crisi e tornare a crescere, mi sembra che alla fine manchi proprio il pezzo più importante, l’industria.
Programmi e attori…
I vincoli gli impacci del governo “della grande ammucchiata” dai Cinque Stelle costretti a digerire le ministre di Forza Italia a Leu che deve votare un governo con tre ministri leghisti, sino ai dissidi gialloverdi con Daniele Franco, neo ministro dell’economia e delle finanze. Sono il riflesso diretto delle resistenze degli equilibri tra le forze politiche radicate in parlamento. Al tempo stesso, sono in aperto contrasto con la consapevolezza sempre più diffusa degli equilibri del paese e della necessità di interventi tempestivi in questa direzione.
Da qui la necessità di una programmazione dell’intervento pubblico volta a cogliere tempestivamente le opportunità che si sono aperte con i recovery fund soltanto in una fase di forte dinamismo è possibile attuare le necessarie modificazioni del meccanismo economico senza incontrare costi troppo elevati.