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La notizia del sorpasso della Corea del Sud sull’Italia (Repubblica del 17 marzo 2021) nella classifica mondiale del Pil, anche se non giunge inaspettata, sembra presentare qualche analogia con le dolorose vicende calcistiche, quelle sì all’epoca del tutto inattese, della nostra nazionale con la rappresentativa della lontana regione asiatica.
Oggi ricordiamo ancora i tentativi di ricorrere all’aiuto divino da parte del commissario tecnico Giovanni Trapattoni che spargeva acqua santa su panchina e bordo campo durante la partita dei Campionati mondiali del 2002.
La strategia apotropaica, però, non riuscì a impedire che il piccolo attaccante Ahn Jung-hwan (all’epoca in forza al Perugia di Gaucci) si elevasse al di sopra del più massiccio Maldini, infilasse il sorpreso Buffon e rimandasse ingloriosamente a casa la nostra nazionale, che pure era zeppa di talenti (l’azione scaramantica del carismatico Trap non fu utile, a dire il vero, nemmeno a proteggerci da un arbitraggio non certo esemplare).
All’inizio degli anni ’50 la Corea del Sud aveva un reddito pro capite tra i più bassi a livello mondiale. Gli economisti spiegano che alla base del forte sviluppo economico del paese orientale (ma anche delle altre “tigri” asiatiche: Taiwan, Hong Kong, Singapore, Vietnam) che si protrae fino ad oggi, ci sono diverse circostanze.
Dall’aiuto degli Stati Uniti, fornito ai paesi di frontiera con la Cina comunista, a politiche industriali lungimiranti guidate dallo Stato che hanno favorito lo sviluppo di settori tecnologicamente avanzati, fino a forti investimenti nell’istruzione o, per dirla in termini più accattivanti, in capitale umano.
L’Italia dopo il boom economico, durato sino ai primi anni sessanta (sul finire di quel periodo, siamo nel 1966, subimmo l’altrettanto cocente sconfitta della nazionale di calcio di Edmondo Fabbri con “l’altra” Corea, quella del Nord, gol del calciatore dilettante, Pak Do Ik, che nella vita faceva il dentista), ha iniziato, invece, un lento e perdurante declino, non solo economico, ma anche demografico.
Tant’è che la pandemia ha dispiegato i suoi effetti negativi su un’economia già fortemente debilitata da una lunga fase di mancata crescita, durante la quale non sono state adottate efficaci politiche economiche e sociali per favorire settori industriali più promettenti o investimenti in formazione e ricerca.
Al contrario, ci si è sostanzialmente limitati, mentre la nostra industria perdeva pezzi importanti a favore della concorrenza estera, a ripetere vecchi riti propiziatori basati sul credo del “piccolo è bello” e sulla forza altamente simbolica e quasi magica del “made in Italy”, nella religiosa e liturgica convinzione che tali rituali sarebbero stati sufficienti di per sé a rinverdire i vecchi fasti italici.
Sta di fatto che oggi la Corea del Sud può vantare protagonisti mondiali dei settori industriali più avanzati (Samsung, LG) e automobilistici (Hyunday-Kia), a fronte dei quali non possiamo che melanconicamente ricordare, con rimpianto, le vecchie “glorie” italiane di un tempo (Olivetti, Fiat, Montecatini).
Ma la Corea riveste anche un ruolo importante in altri settori; non da ultimo può sfoggiare un’apprezzabile produzione cinematografica d’autore. Come del resto era il nostro cinema degli Anni Sessanta e Settanta, dei grandi registi ed attori italiani, poi svilito dai cine-panettoni.
Nel 2019 la pellicola sudcoreana “Parasite” ha meritatamente trionfato agli Oscar. Nel film è citata una canzone italiana (non a caso degli anni sessanta), forse un omaggio al Belpaese volto ad impreziosire l’opera cinematografica con un piccolo cameo musicale, prestigioso ed elegante proprio perché “made in Italy”.
L’omaggio, però, sembra evocare, sia pure inconsapevolmente, stante il titolo della canzone “In ginocchio da te”, anche una forma di sudditanza italica, da cui al momento non si intravedono vie di uscita, né possibilità di risollevarci presto.
E allora non ci resta che ascoltare il romantico Morandi che canta, con la giusta contrizione, “ora lo so, ho sbagliato con te, ritornerò in ginocchio da te”.
Ci rialzeremo? Dobbiamo veramente votarci a qualche santo moderno? Per saperlo, chiedere ai Coreani! Ma immaginiamo già la risposta. Nel calcio, dopo le Coree, abbiamo vinto due titoli mondiali. Dipenderà solo da noi!
Un efficace articolo, ben scritto e articolato, che al di là del “lagnismo italico” diffuso e quasi pandemico come il virus che attualmente ci attanaglia, descrive un modello sociale raggiungibile e che con lungimiranza il Popolo Coreano ha saputo crearsi per il conseguimento di un benessere condiviso.
Il parallelismo calcistico indurrebbe a riflettere ad una analoga evoluzione temporale delle due differenti democrazie nei rispettivi paesi.
Emergerebbe di certo la differente filosofia di due popoli, ispirati da convinzioni esistenziali assai differenti.
Meglio sentirci contenti con la nostra pizza e mandolino, che ci mantiene però più che allegri, abbastanza distratti su compiti, ruoli, appartenenze e prospettive. Basandoci sempre sulla provvidenza.
Al riguardo, rifacendomi anche alla chiusura mesta che individua per noi italiani un “santo moderno” che possa aiutare a risollevarci dalla fossa in cui siamo precipitati, segnalo un pezzo che in qualche modo si rivela eloquente: https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2021/03/luce-luce-luce-luce-ho-detto-luce-non.html