Una lettura da comma 22. La Corte UE ha stabilito che l’assistenza alle tante banche fallite in Italia non configura gli aiuti di Stato. Ed allora, che serve aiutarle se sono fallite. Buona lettura.
Una brutta gatta da pelare
Il tempo è galantuomo e lo è ancora di più quando si parla di banche fallite. Con la sentenza del 2 marzo 2021, la Corte di Giustizia UE è stata capace di riesumare banche morte dando loro una rinnovata reputazione.
Ora tutti invocano cospicui risarcimenti danni per i risparmiatori italiani, non si sa per quanto e da parte di chi. Fatto sta che Tercas, Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara, Banca Marche, BPVI e Veneto Banca morte erano e morte restano.
Per inquadrare tutti gli snodi dell’intricata vicenda, è utile leggere il comunicato dell’ABI. Una sintesi perfetta della questione bancaria in salsa italiana: le banche falliscono perchè evidentemente non sono state controllate efficacemente, mentre le Autorità cercano disperatamente risorse pubbliche o dei risparmiatori per tappare i buchi. La questione bancaria quindi si presenta così: poco importa perchè le banche sono fallite, mentre molto importa come rimediare, ex post e non ex ante. La più palese negazione dell’architettura dei controlli su un’attività così delicata, come quella dell’intermediazione bancaria e finanziaria.
Due considerazioni
La prima riguarda come furono gestiti i numerosi salvataggi di qualche anno addietro delle banche che ho prima menzionato. Senza approfondire i dilemmi del Bail-in che cambiava in modo radicale i principi dei salvataggi bancari, le autorità di vigilanza misero in piedi tutta una serie di possibili interventi: aste pubbliche, interventi di fondi ad hoc, aumenti improbabili di capitale, operazioni baciate ecc. Tutti miseramente falliti a cui dobbiamo aggiungere gli interventi del fondo di garanzia dei depositi su cui calò come un accetta il giudizio, ora ribaltato, della Commissione Europea: è aiuto di Stato e come tale proibito dalle norme comunitarie.
Da ricordare che all’epoca gli interventi del fondo furono sostituiti da schemi volontari di assistenza finanziaria da parte delle principali banche italiane. Queste risorse finanziarie straordinarie furono inghiottite dai buchi delle banche in default, al punto che le principali banche italiane, registe delle operazioni della specie, alzarono inopinatamente e pubblicamente le commissioni sui conti correnti per rifarsi delle perdite.
La seconda considerazione è di carattere più generale. E’ una fortuna per noi che all’epoca furono inibiti i salvataggi con i soldi dei fondi di garanzia. Le banche citate erano irrimediabilmente fallite e non da pochi giorni, ma da anni e tentare di riportarle in vita sarebbe stata una impresa disperata, che sarebbe costata ulteriori oneri al risparmiatore italiano.
La batosta è già stata molto forte per gli azionisti ed obbligazionisti, cui sono da aggiungere i contribuenti. Ex post è stato un bene che la Commissione abbia precluso allora di usare altri soldi oltre i tanti letteralmente buttati alle ortiche. Infatti, nessuna banca si è mai salvata con gli aiuti esterni di cui stiamo trattando.
Quale finale?
All’epoca, siamo nel 2014, lo Stato italiano ordinò a Tercas, eseguendo la decisione della Commissione, di restituire i soldi al Fondo. Il Fondo interbancario restituì queste somme alle banche che le avevano versate, le banche che le avevano versate, essendo diventate componenti dello schema volontario le versarono a quest’ultimo che le diede nuovamente a Tercas. Una inutile partita di giro di appena 300 milioni di euro che non servì e non poteva servire a nulla considerate le voragini patrimoniali dei due attori della vicenda.
Più in generale, negli altri casi, gli interventi di soccorso delle banche erano prestati per salvataggi impossibili a prescindere dal formalismo sulla loro natura giuridica: aiuti di Stato come allora ritenuto o meno come ora ha stabilito la Corte di Giustizia. Queste oscillazioni regolamentari e giurisprudenziali, pur giuste e dovute che siano, suggerirebbero invece di rafforzare i presidi ex ante della vigilanza in un’ottica di tutela effettiva e anticipata dei risparmiatori.
In conclusione, meglio così. Abbiamo subito una pesante pandemia bancaria che, proprio come quella sanitaria, non è ancora finita. Speriamo che la ritrovata reputazione delle banche morte non ci faccia fare altre sciocchezze, anche se i dubbi non mancano.
In epoca di pandemia diventa tutto piu’ facile. E non sembra che i tanti cantieri aperti di banche traballanti (MPS, Carige, Popolare di Bari) ispirino grande fiducia. La questione bancaria rimane, dunque, centrale e sarebbe ora, con il nuovo governo di banchieri centrali, che è un unicum nel mondo, che qualcuno se ne occupi in modo serio e responsabile. Sviluppando una visione di insieme dell’intermediazione bancaria che poggia sulla constatazione della discesa dei prestiti all’economia da anni (tranne negli ultimi tempi quando è intervenuta la garanzia di Stato sulle erogazioni) e della conseguente inutilità di avere tante banche. A che servono?
Eppure sono passati solo pochi anni da quando veniva esaltata la robustezza del sistema bancario italiano e la valentia dei suoi controllori. Attribuire ad altri le nostre più nette responsabilità è la solita, patetica storia della quale siamo maestri. Intanto invochiamo ancora, sotto altre forme, l’aiuto statale per le banche ancora compromesse e guardiamo senza particolari tensioni all’ulteriore rafforzamento delle banche straniere.
Che cosa dovrebbero capire il risparmiatore e il contribuente italiano?