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Un centro di cultura universale
In occasione della sua recente scomparsa, dopo una vita ultracentenaria, sono apparsi numerosi articoli su Lawrence Ferlinghetti, poeta americano di lontane origini italiane, considerato il padre della beat-generation.
Tra questi, alcuni articoli hanno rievocato i suoi contatti con l’Italia come il bel ricordo che ne ha fatto Paolo Romano su Il Quotidiano del Sud, riandando ad una visita del poeta alla costiera amalfitana nel 2007 (Ferlinghetti salernitano).
Dai commentatori, la figura di Ferlinghetti è messa soprattutto in luce come innovatore letterario, editore indipendente e scopritore di dirompenti talenti, quali Allen Ginsberg e Jack Kerouac. Chi capita a San Francisco, dove egli ha vissuto e operato fino all’ultimo, non dovrebbe quindi sottrarsi a una visita al City Lights Bookstore, la libreria da lui fondata alcuni decenni fa.
In essa, e non sembri retorica, si respira un’atmosfera di libertà, con alcuni messaggi apparentemente di diffidenza verso l’innovazione tecnologica, proprio nella patria della modernità, come sono la California e la Baia di San Francisco.
Basti leggere alcuni messaggi bene in vista sulla vetrina del negozio (educate yourself: read 14 hours a day; stash your sell-phone (sic!), be here now; abandon all your despair ye who enter here).
E circa la sua estetica, sono emblematiche queste poche parole.
“Fino a quando vi sarà poesia, vi sarà qualcosa di non conosciuto, fino a quando vi sarà qualcosa di non conosciuto vi sarà poesia”.
E ancora, parlando dell’importanza dei piccoli editori indipendenti, egli dice:
“Ciò che si è dimostrato essere la cosa più affascinante della loro azione sono le continue correnti trasversali, la cross-fertilization tra poeti separati dalla lingua o dalla geografia, dalla Francia alla Germania, all’Italia, al Nord e al Sud America, all’ovest e all’est, le cui voci si fondono in una voce poetica veramente sovranazionale”.
Potremmo continuare con altre citazioni o riportare qualche brano delle sue poesie. Non altro. Non essendo infatti critici letterari, rischieremmo, nella migliore delle ipotesi, l’accusa di banalità.
Una domanda ci sentiamo però di fare. Ci sono relazioni tra innovazione letteraria e innovazione tecnologica o sono davvero mondi del tutto antitetici, in contrapposizione tra di loro? Perché allora queste spinte contrastanti, se vi sono, si sono concentrate in un territorio tanto ristretto come l’Area della Baia, divenuta una metafora di tutto ciò che è tecnologicamente Nuovo?
Il sogno di Antonio
In un romanzo, ispirato a una storia vera, dal titolo Il sogno di Antonio, manuale sentimentale di management, autrice Eliane Cordà, ed. GoWare, disponibile su Amazon e altre piattaforme (€ 4,99 come e-book, € 13,99 in versione cartacea, clicca qui per acquistarlo), un imprenditore italiano, con il mito del nuovo, va a San Francisco e, dopo aver firmato un importante accordo con i vertici di una multinazionale informatica, avverte il bisogno di correre alla libreria di Ferlinghetti, per cercare di capire il senso dell’innovazione, chiedendosi se vi siano rapporti tra progresso letterario e progresso scientifico-tecnologico. Il ritorno in Italia lo riporta a contatto con una realtà meno entusiasmante, pur riuscendo almeno a salvare la sua vicenda sentimentale.
E’ un racconto fuori dagli schemi ai quali ci ha abituato la nostra letteratura più recente, in quanto è un romanzo sull’impresa, sulla sua capacità di trasformazione della società e di reazione agli insuccessi, determinati da chiusure mentali non sempre comprensibili.
Ma torniamo al tema principale dell’innovazione e a come il protagonista, Antonio, si pone di fronte al turbine di sensazioni che si scatena dentro di lui al suo arrivo, da provinciale, in quell’area del mondo.
È interessante notare come egli, ad un certo punto, cerchi di saldare le due facce dell’innovazione, che nel romanzo sono identificate da un lato dal luccicante mondo degli edifici avveniristici delle grandi multinazionali che incontra nella zona e,
dall’altro, da una semplice iscrizione che legge su una vecchia porta nella quale si imbatte all’interno della libreria di Ferlinghetti. Scrive l’autrice:
“I libri erano sistemati in fitti scaffali addossati ad ogni parete disponibile…Gli scricchiolanti pavimenti in legno creavano un dedalo di stretti passaggi tra le scansie, mentre una scala ripida, incassata tra due pareti, guidava diritta al piano seminterrato, dove erano ammassati altri libri. Si voleva dare l’idea di modestia espositiva e, nel contempo, di ricchezza di cultura libraria…Una piccola sala con al centro una vecchia sedia a dondolo simboleggiava l’angolo ideale per raccogliersi a leggere in libertà…Lo colpì, lungo un corridoio, una vecchia porta di legno rozzamente dipinta di marrone, sulla quale era riportato in lettere maiuscole, dall’alto verso il basso, su fondo chiaro, l’inizio del versetto del Vangelo di Giovanni: Io sono la porta.” Il seguito, come noto, recita, “se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.
Una porta misteriosa
Nulla di più contrastante. Da un lato la geometrica dimostrazione di potenza dei nuovi stati sovrani planetari, vale a dire le grandi industrie multinazionali del Nuovo, dall’altro il più umile e perentorio richiamo alla fragilità dell’uomo.
La prima a pochi chilometri di distanza dalle altre. Eppure un collegamento di contesto doveva pur esserci, si chiese Antonio.
Il protagonista si immagina allora significati diversi, relativamente a quel messaggio, adattabili al luogo e al tempo nei quali egli si trova a vivere la sua breve esperienza californiana, fino a chiedersi se quella porta non segni addirittura il passaggio ad altre forme di umanità, agli stati mentali dell’uomo cibernetico. Gli algoritmi sono motori da installare nella testa degli uomini, per una nuova selezionata umanità, sempre più lontana dalla propria origine. Un passaggio dall’homo sapiens all’homo deus, secondo Harari, un affermato teorico del genere umano.
Addirittura il riferimento conduce Antonio verso una nuova metafisica, diversa dalla prospettiva religiosa tradizionale. Torna però presto ad una maggiore concretezza, notando che il numero delle lettere che compongono le singole parole sono in successione: uno per la I, due per am, tre per the e quattro per door. 1,2,3,4 e ci costruisce, complicandola un po’, una password per proteggere la riservatezza di alcuni suoi documenti da imprenditore.
In questo continuo oscillare, Antonio pensa di riconoscersi nella spiegazione, secondo la quale la trasgressione e la ribellione rispetto all’etica e alla estetica, fatte irrompere nella società americana degli Anni Sessanta dalla beat generation, grazie anche alla nuova poetica di Ferlinghetti, abbiano posto le premesse per la successiva rivoluzione scientifica e tecnologica. Gli hippy che spianano la strada ai nerd! La creatività che nasce dalla rivolta negli stili di vita dominanti produce però, alla lunga, stili di vita sempre meno liberi a causa della tecnologia che ingabbia. Una ipotesi davvero coinvolgente sulla forza delle idee e sulla cross fertilization tra mondi che sembrano sorti per escludersi a vicenda.
Noi e Ferlinghetti
Quando ci riferiamo alle nostre attuali condizioni di fragilità economico-sociale e ci interroghiamo sulle cause dei nostri ritardi, la conclusione va di solito a concentrarsi in un punto: il bisogno di cambiamento di certi nostri comportamenti individuali e collettivi, che identifichiamo con il cambiamento di mentalità. La diffusione dell’innovazione si scontra cioè contro un nostro mindset, che limita i benefici attesi dal progresso.
Credo che, così formulato, il problema si risolva in una ingenua petizione di principio, in un’affermazione astratta non in grado di aiutarci.
Per noi e’ importante un adattamento intelligente al contesto innovativo mondiale, avendo poche possibilità di agire sulle grandi trasformazioni tecnologiche, che richiedono ben altre risorse. Si tratta di inserirsi nel processo di cross-fertilization che si sviluppa, adattando, assemblando, integrando le nostre migliori peculiarità con gli standard che si vanno affermando, senza avere remore a eliminare quelle più retrive e distorsive.
Alla fine sono le innovazioni di processo quelle capaci di riportarci su un terreno virtuoso, già conosciuto in passato, producendo dal basso quel cambiamento di mentalità che tutti auspicano, ma che non può scendere dal cielo.
L’innovazione definitiva sarà quella che produrremo sulla qualità del capitale umano, con investimenti adeguati in termini di conoscenza. Il suo miglioramento sarà frutto di tensione continua, un po’ come Ferlinghetti immagina il rapporto tra poesia e ignoto. Finché vi è l’uno (il capitale umano), vi sarà anche l’altra (la conoscenza) e viceversa. Essere rimasti bloccati nello sviluppo del nostro capitale umano è il gap più grande da colmare.
Bell’articolo, come sempre Daniele riesci a coniugare cose molto interessanti dalle quali si impara e si riflette.
“Fino a quando vi sarà poesia, vi sarà qualcosa di non conosciuto, fino a quando vi sarà qualcosa di non conosciuto vi sarà poesia”. Grazie