Tempo di lettura: 6’. Leggibilità **.
Inno all’innovazione
L’innovazione dovrà compiere il miracolo di rilanciare la nostra economia in stallo da oltre dieci anni, cui si sono aggiunti gli effetti devastanti della pandemia.
Di innovazione si parla ovunque: nelle sedi istituzionali, con la creazione di nuovi ministeri, nei convegni nei quali è facile perdersi in messaggi confusi o ripetitivi, nelle invocazioni al consolidamento di industrie fin troppo frammentate, cioè senza mezzi per investire in novità di prodotto e di processo, nelle miriadi delle volonterose start up, per le quali il rapporto di selezione di idee nuove ed efficaci è difficile da stabilire.
Ora che le quantità sono garantite dalle politiche espansive dell’Unione Europea, la questione si sposta sulla programmazione e sulla realizzazione degli interventi, come definitivo banco di prova della politica e della amministrazione pubblica.
Al centro di tutto resta però l’impresa e, segnatamente, la piccola e media impresa, che dovrà riattivare il circuito degli investimenti, della produttività, dei margini di profitto. Gli aiuti arriveranno, ma la finanza avrà un ruolo essenziale. Siamo certi che le fonti esterne (bancarie e non, pubbliche e private) fluiranno nella quantità e nella direzione desiderata verso la parte più dinamica?
Tanto per citare il problema più comune, il passaggio da un un sistema bancocentrico (sempre più concentrato e sempre più regolamentato nella assunzione dei rischi) a un sistema di raccolta di mezzi sul mercato, pone al centro questioni (a cominciare dalla contendibilità della proprietà aziendale), che richiedono cambiamenti culturali profondi anche d’ordine generazionale, difficili da pronosticare.
Saranno probabilmente le transizioni graduali a favorire cambiamenti di prospettiva.
Innovazione sistemica e recuperi di efficienza finanziaria
Nel frattempo potrebbero essere di aiuto recuperi di efficienza finanziaria, con innovazioni a sostegno tanto del ciclo del prodotto quanto di quello degli investimenti, grazie alla mobilizzazione di risorse fruibili dall’impresa attraverso nuove modalità.
Questa operazione può essere favorita dall’azione di nuovi intermediari (ad esempio quelli attivi nei pagamenti digitali) e dalla introduzione di nuovi processi (Big data, blockchain, open banking), da sviluppare nel più ampio campo del Fintech.
Bisogna però farsi qualche domanda. C’è nel Fintech una innovazione buona e una meno buona? È possibile orientarsi nel mare delle proposte per selezionare le novità con effetti di portata, da quelle che introducono cambiamenti apparenti o di mera promozione commerciale? Esiste la piena consapevolezza degli scenari aperti dalle normative europee che tendono a ridurre le peculiarità nazionali spesso di ostacolo ad una effettiva modernizzazione? Il sistema è in grado di cogliere con rapidità le opportunità basate sullo sfruttamento e sulla condivisione delle informazioni?
Le novità buone sono quelle che possono indurre effetti sistemici, che cioè possono estendersi progressivamente tanto ai rapporti tra imprese, quanto a quelli tra imprese, banche e altri intermediari e tra imprese e mercati dei capitali, modificando attitudini generali, sclerotizzatesi nel tempo. La loro affermazione consiste nella integrazione delle opportunità regolamentari delle direttive europee (tra le quali ha portata innovativa assoluta la PSD2) e le tecnologie del cloud, della blockchain e delle API.
Se dunque l’equity, rappresenta la risorsa per la crescita dimensionale della pmi, la questione del capitale circolante e della finanza per gli investimenti in impianti e macchinari può essere affrontata attraverso processi innovativi, riconducibili al Fintech.
Il capitale circolante e l’ottimizzazione di incassi e pagamenti
Sul capitale circolante delle imprese italiane (differenza tra debiti e crediti a breve) insiste la montagna del credito commerciale (oltre 500 miliardi, ultimi dati Cerved, contro un indebitamento bancario a breve di meno di 300, dati Bancaditalia), generato da prassi commerciali che vedono un tempo medio di incasso delle fatture superiore a 70 giorni, contro una media Europea di poco superiore a 40. I caratteri di questa patologia sono enfatizzati dai ritardi endemici dei pagamenti pubblici alle imprese. Gli effetti in termini di carenza di liquidità delle imprese sono immaginabili.
Sul fenomeno incidono le differenze di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, ma anche prassi che amplificano il ricorso al credito autoliquidante nelle forme tecniche dello sconto e degli anticipi di carta commerciale rinnovata senza soluzione di continuità.
La categoria dei prestiti past due, cioè del mancato assolvimento in tempi ritenuti accettabili delle obbligazioni assunte, alimenta la parte grigia del credito a breve, che la recente normativa europea ha fatto oggetto di regole più restrittive per la classificazione delle posizioni in default, aumentando gli assorbimenti patrimoniali e le rettifiche dei crediti delle banche.
In ogni caso, prassi eccessivamente lasche nel governo dei past due allungano la reimmissione di mezzi finanziari nel ciclo del prodotto.
Puntare al miglioramento dei tempi di incasso, con processi di ottimizzazione e di maggiore definitività dei pagamenti possono produrre benefici sia alle imprese sia alle banche, integrando piattaforme di dati presenti negli archivi della fatturazione elettronica, utilizzando modalità sicure nel trattamento di queste informazioni per elaborare modelli di ottimizzazione, e indirizzando le transazioni attraverso le piattaforme dei pagamenti istantanei.
Un esempio di innovazione che può assumere veste sistemica lungo questa direttrice è l’applicazione messa a punto da FlowPay, una start up autorizzata dalla Bancaditalia ad operare come istituto di pagamento nelle attività di inializzazione dei pagamenti tra imprese e di elaborazione delle informazioni sui conti delle medesime. Nel procedimento autorizzativo è stata positivamente valutata proprio la valenza potenzialmente sistemica della soluzione introdotta da FlowPay, per ottimizzare la liquidità delle imprese che aderiranno alla applicazione.
Trovate qui una descrizione più precisa delle finalità e della architettura della soluzione.
Il finanziamento degli investimenti e la digital asset servitization
I lunghi anni della crisi iniziata nel 2008 hanno depresso gli investimenti delle imprese, al di sotto d’ogni limite sperimentato in passato. È più che ragionevole supporre che il capitale sia fortemente invecchiato tanto fisicamente quanto tecnicamente.
L’innovazione dovrebbe indirizzarsi sempre più marcatamente verso l’offerta di nuovo capitale tecnologico come servizio, seguendo il paradigma della Digital Asset Servitization, che consiste in una combinazione di servizi e prodotti da immettere nel ciclo produttivo, piuttosto che di soli prodotti.
Si tratta di introdurre sistemi per la gestione del ciclo di vita e per la valutazione dei rischi degli impianti produttivi, affiancando la progressiva diffusione della meccatronica. I nuovi macchinari potranno ospitare nuovi attributi sinergici, grazie alla connessione alla rete (internet of things), allo sfruttamento dei dati da essi generati nel continuo, alla possibilità che i macchinari stessi divengano a loro volta vere e proprie piattaforme per creare nuovi servizi, all’affinamento di pratiche di Risk management (di credito, operativo, di mercato, di reputazione) da parte dei produttori del macchinario industriale.
Il canone da corrispondere dall’utilizzatore comprenderebbe non solo il prezzo del suo uso, ma anche quello di nuovi servizi a valore rispetto a quelli dei tradizionali contratti di vendita, di finanziamento e di assistenza. Anche la struttura dei flussi di cassa del produttore verrebbe profondamente modificata, passando da una dinamica “produco-vendo” a una dinamica “produco ed incasso canoni”, mediante il noleggio delle macchine e i ritorni dalla implementazione di nuove e aggiornate funzionalità.
Il focus finanziario si sposta sulle industrie produttrici di macchinario utensile, alle quali si aprono nuove possibilità da far valere nei confronti delle imprese impegnate nella produzione di beni finali.
I fabbisogni tecnico-finanziari di questi ultimi diventano l’elemento centrale della strategia aziendale dei produttori, che li misurano attraverso l’utilizzo intelligente dei dati forniti nel continuo dalle macchine. Per gli utenti di questi servizi il beneficio consiste in minori immobilizzi finanziari, necessari per la sostituzione di macchine obsolete, alle quali potrebbe essere allungata la vita, essendo possibile ottimizzarne l’utilizzo e adattarle dinamicamente alle innovazioni tecnologiche.
Un recente esempio di Digital Asset Servitization è rappresentato dal modello PARADIGMIX appena brevettato, i cui vantaggi sono bene illustrati nell’articolo di Laudisa e Maccarini pubblicato poche settimane fa su questa piattaforma. In esso si enfatizzano le trasformazioni strutturali nel rapporto di clientela, grazie ad una gestione sostenibile e prolungata dei macchinari, anche in ottica di Circular Economy. L’informazione generata dall’uso del macchinario darebbe la possibilità di trasformare, mediante cartolarizzazione, i canoni di noleggio in attività finanziarie fondate su elementi di certezza industriale, accrescendo le possibilità di autofinanziamento dell’impresa produttrice.
Altri campi di applicazione del Fintech per l’impresa
Vi sono altri campi di applicazione del Fintech a vantaggio della impresa. Tra le iniziative che possono favorire gli investimenti in capitale umano debbono poter esservi quelle che promuovono nuove forme di incentivazione/fidelizzazione nei confronti dei dipendenti, a cominciare dalla formazione professionale, all’assicurazione dei rischi e della salute, al coinvolgimento dei dipendenti stessi nelle sorti dell’impresa tramite operazioni di crowdfunding o di direct lending. Queste modalità si prestano ad essere attivate anche tra imprese appartenenti a reti o a filiere produttive.
Per un Fintech di sistema
Il quadro brevemente descritto spinge alla creazione di osservatori organici delle innovazioni tecnico/finanziarie in grado di promuovere cambiamenti strutturali nel soddisfacimento delle esigenze finanziarie tanto di breve, quanto di medio/lungo periodo delle imprese.
In queste nuove strutture di confronto e di stimolo, con la partecipazione dei vari stakeholders, si potrebbero sviluppare modelli in grado di coniugare lo sviluppo e la diffusione dell’innovazione con nuove strategie di crescita dell’impresa, contenendo i rischi della dispersione di idee e di risorse, tipici d’ogni spontaneismo innovativo.
E’ per questo motivo che il Fintech Hub di Milano, da poco promosso dalla Banca d’Italia, potrà rispondere, con la individuazione di criteri appropriati per l’adesione di start up, scale up e centri di promozione dell’innovazione (incubatori, acceleratori e via dicendo), a questa esigenza di coordinamento e di indirizzo, orientando verso un Fintech di sistema: quello veramente utile alla impresa italiana.
Interessantissimo quadro che ricostruisce l’attualità di una realtà matura per un’evoluzione riguardo ai finanziamenti, i flussi di pagamenti e quant’altro attiene alle dinamiche finanziarie dell’imprenditoria e del mondo societario in genere.
Permangono però dubbi per le patologie congenite presenti nel contesto italiano, che inducono a prudenza, anche alla luce della pioggia di denari che ci si attende stia arrivando.
Ormai le regole economiche hanno perso i connotati originari, laddove la classe imprenditoriale non è più disposta a mettere a repentaglio proprie risorse economiche ma, bensì, incardina ogni iniziativa d’intrapresa nel credito di mercato.
Come ben dice Daniele Corsini, un tale procedere trasferisce essenzialmente ogni rischio sulla “area finanza” che, quando è rappresentata da fonte bancaria, va ad interessare per lo più il risparmio privato diffuso.
In questo panorama, quindi e in ogni caso, ben vengano nuovi strumenti e veicoli prospettati, anche utili alle sane gestioni di liquidità teoriche oggi indisponibili solo per ritardi compensativi, che andrebbero forse a rendere più compartecipi i sistemi di controlli e le amministrazioni.
Creando un mercato finanziario globalizzato, molti sarebbero portati a essere più attenti nel sollevare eventuali dubbi sulla bontà d’investimenti e a individuare da subito anomalie che potrebbero nascondersi in iniziative improduttive, prossime o proiettate a default certo.
Siamo in un momento difficile e qualcuno paragona la situazione politica attuale, il suo “Governo di unità nazionale”, quasi a un proscenio postbellico; che sembra necessiti di un uomo solo al comando, che sappia guidare verso salutari e improrogabili decisioni.
Con una certa vena di ottimismo, si ricorda che un famoso detto siciliano recita: “’mriachi e picciriddi u Signuri aiuta” che tradotto vuol dire “Ubriachi e bambini, Dio li aiuta”.
E’ quanto ci potremmo augurare in questa situazione sociale che appare disastrosa, tra pandemia e una crisi economica causata anche dalla prolungata stagnazione preesistente.
“Les jeux sont faits, rien ne va plus”, si direbbe a un tavolo verde. Resta, quindi, aspettare che la pallina si fermi per capire l’esito che avremo in sorte.