Con Lorenzo molte volte ci siamo soffermati a parlare di economia circolare e sostenibilità: temi che sono sulla bocca di tutti, dalla finanza all’imprenditoria, fino a chi opera nel sociale. Ci siamo “gettati’’ per gioco su modelli alternativi, abbiamo cercato di comprendere quanto è importante la condivisione e come si potrebbe generare valore dal riutilizzo delle materie prime.
La prima domanda che mi viene spontanea da fargli è la seguente.
Forza Lorenzo, smonta tutto ciò che crediamo essere la nostra certezza!
Vezio, mi stai provocando ed io ti accontento. La paura più grande dell’uomo è legata al suo destino, al poter dare un senso al futuro. Per questo l’uomo ha creato il Mito e nel nostro cervello esiste un sistema per generarlo.
Prima che nascesse il logos l’uomo rappresentava la realtà col mito. Poi è venuta la filosofia, l’epistemologia, la disciplina dello stare in piedi per logica. Poi un susseguirsi storie, storia, religioni, politica per arrivare ad oggi. Infine la Tecnica.
E quindi?
I più attenti si sono resi conto che ci stiamo raccontando un sacco di sciocchezze sulla felicità, sulla crescita e sulla sostenibilità. Stando ai fatti la verità è una sola: il capitalismo ha fallito, la tecnica ha preso il sopravvento su tutto e tutti, la povertà, le disuguaglianze, la disparità e l’inquinamento sono diventati insostenibili.
Credi che si debba far emergere un’altra verità?
Ci sono decine di scuole di pensiero per ripensare il capitalismo e altre decine di alternative per eliminarlo.
Ci sono i giovani che scendono in piazza col dito puntato, c’è chi crede che il cambiamento parta dal singolo individuo e che ciascuno nel suo piccolo possa fare la differenza. C’è chi propone un Green New Deal facendo della foresta amazzonica, dei cetacei marini e degli orsi polari vere e proprie star mediatiche. Ci sono poi le 200 tra le principali aziende di Wall Street – da Jp Morgan ad Amazon, da BlackRock a General Motors – che lo scorso anno hanno reso pubblico un documento in cui sostengono che, per creare valore di lungo periodo, le aziende non devono solo portare dividendi ai propri azionisti costi quel che costi.
C’è il popolo della Economia Circolare che la celebra come un messia e attende l’avvento della transizione “dalla culla alla culla”.
E’ tutto vero, ma permettimi di dirti, Lorenzo, che si tratta di un mondo che lavora per soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le risorse per le future generazioni.
Va bene, ok, ma prima di tutto ci sono i fatti:
1) La quantità di materia consumata globalmente ha superato i 100 miliardi di tonnellate all’anno. In media, ogni persona sulla Terra utilizza più di 13t di materiali all’anno. Ogni secondo nel mondo si brucia o disperde un TIR di materiale tessile. Le materie prime costano sempre di più e lo sanno bene le imprese in ogni settore.
2) Negli ultimi due anni i consumi sono aumentati di quasi il 10% e abbiamo oltre due miliardi di persone che si stanno affacciando sui mercati. Le risorse non bastano per tutti.
3) Inoltre, non sappiamo più dove mettere i rifiuti. Un fatto su tutti? Secondo il Circularity Gap Report il riutilizzo delle risorse è sceso dal 9,1% all’8,6%. Un dramma. Di cosa stiamo parlando: soluzioni politiche o miti? La soluzione è una sola e non è il green. Troppo bello e per troppo pochi. Nulla contro il green, anzi! Ne vogliamo di più, ma migliore di come è inteso oggi.
Caro Lorenzo, spero quindi che tu mi indichi qualche soluzione.
Esistono molte evoluzioni del green e tutte contengono principi di Economia Circolare: migliaia di studi, trent’anni di letteratura e buone pratiche. Veniamo da 300 anni di economia lineare, non immaginiamo nemmeno cosa sarà.
La stessa parola sostenibilità è da riciclare: nasce in Sassonia trecento anni fa da un solerte sovraintendente minerario e amministratore contabile forestale preoccupato per le enormi quantità di legna necessarie per miniere e abitazioni.
Raccomandò, dunque, un “uso continuo, durevole e rigenerabile” delle foreste e inserì il concetto di sostenibilità in un’ottica transgenerazionale, cioè che riguarda oltre alla nostra anche le altre generazioni. Nulla di sbagliato, ma oggi serve un concetto più ampio. Tra gli approcci, abbiamo il Cradle to Cradle introdotto dal chimico Michael Braungart con l’architetto Bill McDonough.
Si propone di eliminare il concetto di rifiuto (“rifiuto = cibo”). Passare alle rinnovabili. E rispettare i sistemi naturali e umani.
Solo con questo approccio nel settore alimentare si potrebbero ridurre le spese mediche di 550 miliardi.
Abbiamo la Performance economy, introdotta nel 1976 dall’architetto Walter Stahel insieme a Genevieve Reday.
Abbiamo la Biomimesi di Janine Benyus che prende a modello la natura, natura come misura e natura come mentore. Poi abbiamo l’Ecologia Industriale, il Capitalismo Naturale, il Design rigenerativo e la Blue Economy di Gunter Pauli. A quanto pare non mancano le soluzioni. Sì, ma basta solo stare attenti ad eliminare quelle generate dal “business-as-usual”, sospette e spesso subdole.
Tra queste quelle che santificano il riciclo. L’unica cosa buona per il riciclo è buttarlo in discarica. Il Sovracciclo è la soluzione. Genera, introduce valore ad ogni passaggio. Anche perché quello che ci viene venduto come riciclo spesso è subciclo.
Bene Lorenzo, una sintesi finale? Qual è la cosa veramente importante?
Smetterla di pensare che siamo essere mostruosi, negativamente impattanti, che abbiamo un peccato originale da scontare.
Tutt’altro, siamo esseri fondamentali per la Natura. Per questo ci ha dotati di intelligenza, creatività, emozioni, passione e amore. Non possiamo limitarli! La decrescita felice, l’ecoefficienza, la riduzione dell’impatto negativo sono dei miti negativi.
L’ecoefficacia e l’aumento dell’impatto positivo sono la nostra strada. In linea con la natura, con le esigenze dell’essere umano e della sostenibilità.