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Il bitcoin e l’innovazione finanziaria.
Dopo aver letto un interessante articolo sulle criptovalute il cui link trovate di seguito, mi è venuta in mente un’immagine della città di Batman, Gotham City, che dopo una terribile epidemia, deve trovarsi un eroe per proteggere i cittadini dagli assalti di un crimine moderno e ben organizzato.
Chiaramente e’ un pensiero leggero, data anche la mia ignoranza del settore. Il mondo delle criptovalute è ancora molto oscuro per la maggior parte di noi e dobbiamo assolutamente imparare a conoscerlo meglio. Di semplice, finché non iniziamo, non c’è nulla. L’intelligenza finanziaria artificiale è un settore che sta conquistando, come per il bitcoin, uno spazio sempre più vasto: è il mondo bancario e finanziario quello nel quale le innovazioni tecnologiche sono alla ricerca di nuove applicazioni. È la tecnofinanza, definita in una parola fintech. Stanno nascendo gli Smart Contract, i quali sono programmi che eseguono automaticamente contratti tra acquirenti e venditori di prodotti finanziari, che si stanno estendendo anche al settore delle assicurazioni. Si chiama insurtech.
Libra è la moneta virtuale di Facebook, Messenger e Whatsapp, legata a un paniere di valute per stabilizzarne il valore, che si annuncia molto invasiva, grazie a più di un miliardo di potenziali utenti. Libra è una stablecoin, basata, come le altre, sulla tecnologia della blockchain, il quale è un registro condiviso in rete che assicura certezza a tutte le transazioni effettuate in criptovalute. E’ facile immaginare che la blockchain si estenderà presto ai contratti per trasferire la proprietà di terreni, case, auto, e anche quella intellettuale di brevetti e marchi. Si chiama proptech.
In Europa qualche anno fa, le banche centrali hanno bocciato le cripto valute non reputandole sufficientemente sicure, nella consapevolezza tuttavia di doverci venire presto a patto, tentandone una regolamentazione adeguata. La forza dei mercati, ma soprattutto dei soggetti che ne governano le sorti (i mercati hanno sempre nomi, cognomi e soprannomi), non potrà essere imbrigliata, ricorrendo ad anatemi o a inermi raccomandazioni. Bisogna assolutamente imparare a comprendere il nuovo mondo, perché sulla strada ci sono anche i criptoavventurieri. Leggete questo articolo e il divertente libretto di cui in esso si parla. Imparerete molte cose.
Stiamo creando una realtà fantascientifica e distopica?
Si percepisce un vuoto che fa paura e il vuoto in economia si crea quando non si riesce a guardare oltre il proprio orticello, quando si vive su rendite del passato e in un presente privo di idee e capacità di progettazione. Se non vengono immessi nuovi servizi e nuovi prodotti, il vuoto crea la crisi dal lato dell’offerta. Purtroppo il vuoto si crea anche con una crisi della domanda, facendo divenire alcuni prodotti o servizi esistenti, obsoleti. Quindi una “crisi economica” colpisce specifici settori, mentre una crisi finanziaria colpisce tutti i settori dell’economia, affossando le famiglie, le imprese e il commercio. Praticamente intere filiere produttive e comunità.
Il Catoblepa è sempre tra di noi?
Siamo forse nel Catobleismo degli Anni Venti del XXI^secolo? Facciamo un salto indietro per comprendere il significato di questo termine.
Plinio il vecchio descriveva il Catoblepa come un mostro mitologico, possente come un toro, di andatura pigra, che viveva in Africa ai confini dell’Etiopia. Il suo sguardo poteva uccidere chiunque, ma nessuno correva il rischio di incrociarne gli occhi, perché la sua testa, molto pesante, era sempre rivolta verso terra. Cioè si interessava soltanto del suo piccolo particolare.
Negli anni 60 del XX secolo, fu il banchiere Raffaele Mattioli a riprendere il termine applicandolo alla commistione tra Banca e Industria che si era creata in Italia prima della crisi degli anni 30 del ‘900. Lo chiamò catoblepismo finanziario per significare l’intreccio nel quale il controllato diveniva colui che controllava il controllore. Sembra uno scioglilingua, invece le Banche commerciali erano divenute “Banche d’affari”, entrando in possesso del capitale delle società industriali, verso le quali si erano esposte con concessioni di credito oltre misura. La Banca, affetta da catoblepismo, non riusciva a vedere la contraddizione nella quale era immersa. E ovviamente non trovava la soluzione per uscirne.
Era una fratellanza siamese che non poteva dare spazio a nessuna nuova impresa e a nessuna nuova classe imprenditoriale. Per certi versi non sembra di raccontare la finanza di un secolo indietro, ma quella odierna con tutte le crisi bancarie che abbiamo avuto per la cortoveggenza di molti dei protagonisti. Il nostro sistema finanziario non sembra in grado di fornire al sistema industriale i mezzi per ripartire, dopo i lunghi anni di recessione e quello ultimo della pandemia. E, come avvenne allora, solo lo Stato può avere i mezzi per far risorgere l’Economia. Oggi è l’Europa chiamata a fornire la spinta.
Chi era Raffaele Mattioli
Troppo banale definirlo il “Banchiere-Umanista”, il “banchiere laico”. Leggendo le molte biografie, che lo hanno ricordato in questi anni, si scopre un uomo che aveva inventato un modo nuovo di fare il banchiere, utile al nostro paese. Apprezzandone la profonda conoscenza letteraria, qualcuno gli chiese: “E’ vero che lei legge una poesia come fosse un bilancio?” “No”, rispondeva Mattioli, “è il bilancio che deve essere letto come una poesia.” Mi sarebbe venuto da chiedergli se, stante l’ironia che pare non gli mancasse, intendeva riferirsi al genere poetico dell’ermetismo, ai suoi tempi in auge, per stigmatizzare la scarsa trasparenza di certi documenti.
In ogni caso egli aveva ben presente il ruolo essenziale della strategia, inquadrandola in un contesto di tensione morale, di etica dei comportamenti e di un elevato ideale del lavoro.
Raffaele Mattioli, sottolineava spesso che la liquidità non è liquido che stagna, ma liquido che scorre. A questo proposito una sera del 1962 apparve in televisione, durante un dibattito sulla nazionalizzazione dell’industria elettrica. Uno dei massimi esponenti dell’industria del tempo assunse toni catastrofici, sostenendo che se la nazionalizzazione si fosse realizzata si sarebbero presentati tempi nefasti per il paese. Mattioli replicò, spiegando che non era particolarmente favorevole alle nazionalizzazioni, ma che comunque non credeva ai minacciati cataclismi.
Quello che lo preoccupava erano i miliardi che sarebbero arrivati in quantità enorme ai privati proprietari delle industrie elettriche, esprimendo dubbi sulla loro capacità di spenderli in nuovi investimenti a vantaggio del Paese.
Esprimeva la visione della responsabilità sociale della finanza per garantire i mezzi necessari allo sviluppo economico, come faceva la Banca Commerciale Italiana, di cui era Presidente, sostenendo con il credito le esportazioni delle imprese italiane del miracolo economico.
Discepolo di Benedetto Croce, Mattioli era un liberale laico, che si divertiva quando qualcuno lo considerava un banchiere eretico, al punto da voler essere sepolto nel cimitero dell’Abbazia di Chiaravalle nel posto di Guglielmina di Boemia, accusata nel Trecento di eresia dagli inquisitori dell’epoca.
Mattioli era fautore del “capitalismo ordinato”, forse anche semplificato, ma sicuramente lontano da un capitalismo “teso verso la rivincita” di tornare ad essere incentrato sul conflitto di interessi della banca mista.
Mattioli credeva nell’impegno della banca verso una crescita equilibrata del sistema economico, ed era convinto della “funzione sociale del profitto”, che lo portava ad essere avverso tanto all’assistenzialismo implicito nel “credito agevolato” quanto alla finanza speculativa.
Furono anni illuminati di umanesimo e rinascita economica, con università di giovani talenti a formare la nuova classe dirigente e accademica, studiando il pensiero di Keynes, il laburismo inglese, il New Deal americano.
In questo odierno caos, non sono solo le risorse verso la protezione sanitaria post pandemia che ci servono, ma quelle per l’economia nel senso più lato del termine, a condizione di avere progetti e capacità di metterli in pratica.
Dovremmo comprendere bene e in modo del tutto nuovo l’economia quale scienza sociale, e non solo come insieme di dati e di modelli matematici, che peraltro non potranno mai garantire la certezza di una legge scientifica. La neuro economia, che coniuga all’economia la psicologia, da qualche anno ci sta facendo comprendere che i processi decisionali, le scelte economiche migliori per il benessere umano, sono agenti economici che non sempre si comportano secondo criteri di pura convenienza, ma secondo modelli comportamentali che, alla fine, determinano anche le scelte economiche. E poi vi sono le scelte delle politiche pubbliche che debbono dimostrare di saper indirizzare le risorse secondo le vere esigenze di rilancio socio-economico del Paese.
C’è bisogno di un nuovo sistema di credito che comprenda le esigenze finanziarie del sistema produttivo come nella ricostruzione postbellica, oggi che siamo alle prese con la trasformazione mondiale post pandemica. Le crisi finanziarie sono inevitabilmente cicliche, il covid ha scatenato una guerra economica asimmetrica che sta minando anche la geopolitica occidentale. Il capitalismo del Catoblepa deve poter alzare la testa per guardare lontano, non per annichilire i suoi avversari, ma per ritrovare i suoi spiriti animali, bilanciando gli slanci dell’accumulazione con quelli di una più equa distribuzione.
Forse se Mattioli fosse ancora vivo, ci ricorderebbe di non rassegnarci agli eventi, ma di comprendere la complessità delle situazioni per agire al meglio, per ritrovare una credibilità perduta, per convincerci che dobbiamo imparare ad imparare e che la povertà non si misura soltanto a pane, casa e caldo, ma anche col grado di cultura.