Il mercato dei pagamenti elettronici è caratterizzato da una singolare stortura che rende unico il nostro paese nel mondo. Circolano oltre 80 milioni di carte di pagamento di ogni tipo, vi sono 40/50 milioni di conti correnti bancari e postali e la rete POS pari a quasi 4 milioni di macchinette è la più estesa al mondo. Ciò che manca in maniera significativa sono le transazioni con carte che ci rendono il paese meno propenso, quasi in assoluto, all’uso dei pagamenti con carte. Secondo le statistiche, rese pubbliche in aprile di quest’anno dalla BCE, nel 2019 un italiano ha utilizzato le carte per effettuare appena 54 operazioni contro le 150 della media europea e le 300/400 di alcuni paesi come Svezia, Gran Bretagna, Germania. A che servono tutti questi POS se poi non li utilizziamo?
In questo contesto di mercato si inseriscono i provvedimenti legislativi sul cashback. In sostanza, non è che dobbiamo creare l’industria dei pagamenti elettronici in Italia ma renderla operativa e portarla ai livelli degli altri paesi. Colmare questa asimmetria non è mai stato semplice, sono sempre falliti i tanti tentativi fatti finora e soprattutto dubito che ciò possa avvenire con meccanismi legislativi e non di mercato.
Tralasciamo ora gli aspetti normativi e la procedura da seguire per iscriversi al programma e guardiamo in dettaglio alle condizioni di convenienza per il commerciante. Tutte le palle devono andare in buca quando si parla di operazioni con le carte di pagamento. Una sola che non entra fa fallire il programma. Se dunque è chiara la convenienza per il consumatore, per il commerciante dipende dato che deve effettuare una spesa di 200, 300 euro per adeguare i propri registratori di cassa, secondo quanto dichiarato dalle principali associazioni del commercio. E questa spesa è necessaria anche se il commerciante già possiede uno o più POS. E allora come valutare la convenienza del programma per il commerciante?
Il punto di pareggio per il merchant sarà pari al beneficio che ne ricava (bonus su un terzo delle commissioni bancarie) meno la spesa per l’adeguamento. Possiamo stimare che conviene al commerciante che ha o prevede di raggiungere un fatturato con carte di almeno 100.000 euro, ipotizzando una commissione bancaria pari all’1 per cento che egli paga alla propria banca acquirer. Non mi sembra una soglia che incentiva il mondo del commercio a essere presente, a parte altre considerazioni che riguardano il nero, forme di evasione fiscale, la temporaneità dell’esperimento, e in termini più generali il costo del programma sostenuto alla fine dai contribuenti. Quindi il rischio è che il consumatore dopo essersi iscritto al programma ed aver effettuato tutti gli adempimenti previsti riesca pure a pagare con la propria carta, ma l’operazione non sarà registrata perchè il commerciante non ha installato il software per l’invio dei dati alle piattaforme partecipanti. Una sola palla non entra in buca e il consumatore stranito rimane con la carta in mano a domandarsi cosa succede, pensando di non aver capito granchè.
In definitiva, il cashback di Stato nasce in modo un pò cervellotico, complesso che si adatta poco alla apparente semplicità di concludere una transazione con carta di debito o moneta elettronica. In altri paesi europei, le esperienze del genere (Grecia) sono state molto più semplici e prevedono la detrazione in sede di dichiarazione dei redditi di una quota di acquisti con pagamenti elettronici fino a un determinato massimale annuale. Perchè l’Italia ha scelto di operare in modo diverso non mi è chiaro e rischia di scontare l’originalità della soluzione escogitata con risultati insoddisfacenti, salvo miei errori ed omissioni, ovviamente.
Come nella scultura in alto, la strada dei pagamenti elettronici per noi italiani è ampia all’inizio ma poi diventa stretta e ci intrappola in un cul de sac, da cui è difficile uscirne, come già successo altre volte e come ci raccontano impietosamente le statistiche del settore.
In Cina e a Cuba di fatto esistono due tipi di moneta i cui utilizzi sono legati alla circolazione interna o al commercio internazionale.
Riguardo a Cuba recentemente è stato annunciato che dal 1^ gennaio 2021 smetteranno di circolare le due differenti monete. Scomparirà la coesistenza parallela, quindi, del Peso convertibile (Cuc) agganciato al dollaro (utilizzato dai turisti) e del Peso cubano, molto più debole e utilizzato essenzialmente dalla popolazione locale. Dal prossimo anno a Cuba circolerà pertanto una sola moneta che, con una forte svalutazione, avrà un cambio fissato a 24 Pesos per un Dollaro statunitense.
In relazione ai meritevoli tentativi in Italia forse potrebbe invece capitare, per alcuni aspetti, un po’ il contrario, ovvero, un utilizzo diffuso della moneta elettronica – con pagamenti tracciabili – e l’uso del contante cartaceo per il restante mercato.
Qualificare i due contesti socio-economici che ne potranno fare principalmente uso potrebbe risultare facile. Il futuro ci farà sapere come ci si posizionerà realmente. Speriamo bene.