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Breve storia della Val di Chiana

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Tempo di lettura: 4’. Leggibilità **.

Nessuno dica di non conoscere la Val di Chiana, la pianura più fertile dell’Italia Centrale, che attraversiamo, via Autostrada del Sole o tramite Alta Velocità,  quando ci spostiamo lungo la penisola da Nord a Sud e viceversa, tra Firenze e Roma. Magari non tutti ne conoscono invece la storia. Ecco un breve racconto da chi come me ci è sempre vissuto.

Acque putride e stagnanti

Della Val di Chiana quale regione malsana nel Medioevo si sente parlare in diversi documenti dell’epoca. Occorre però precisare che la pressoché totale migrazione (se mai si ebbe) della popolazione dalle pianure ai centri più salubri sulle colline circostanti non avvenne prima dell’XI^ secolo.

Si hanno infatti testimonianze, specie nei documenti vescovili del tempo, di Pievi disseminate nel territorio chianino anche in zone pianeggianti. Lo stesso Carlo Magno, dovendo spostarsi nell’inverno del 786 da Roma a Firenze, transitò proprio per la via Cassia, e quindi per la Val di Chiana, senza rischio di ammalarsi.

È quindi ipotizzabile che lo spopolamento sia avvenuto dopo il 1000, quando il territorio chianino era divenuto invivibile al punto da impedire ogni possibilità di insediamento, coltivazione o altro sfruttamento del suolo.

Mappe di inizio ‘500 mostrano al centro della valle un vasto territorio sommerso dalle acque, circondato da colline sulle quali sorgevano gli abitati.

Le acque putride e stagnanti, sovente pericolose per chi doveva attraversarle (si narra che la giovane Santa Margherita da Cortona, attuale patrona della città, durante una fuga notturna con l’amato Arsenio Del Pecora dal paese natale Laviano a Montepulciano, di cui Arsenio era signore, rischiò l’annegamento per via del ribaltamento della barca) portarono l’arrivo della zanzara anofele e conseguentemente della malaria. Il morbo falcidiò la popolazione locale per secoli, specie nei periodi caldo-umidi. Restano celebri i versi di Dante:

“Qual dolor fora, se de li spedali di Valdichiana tra ‘l luglio e ‘l settembre” Inferno, XXIX^canto. Egli ricorda poi le acque stagnanti della Chiana nel XIII^ canto del Paradiso, dove dice del lento «mòver della Chiana». Mentre Fazio degli Uberti, nel Dittamondo, attesta come pure l’idropisia minasse seriamente la salute dei chianini del tempo:

“Quivi son volti pallidi e confusi perché l’aire e le Chiane li nemica sì che li fa idropichi e rinfusi”, libro III, capitolo X.

I locali borghi, messi a dura prova dalla palude, organizzarono veri e propri porti su quelle acque ricoperte da giuncheti e canneti, come sidagli Statutari Cortonesi del 1325, che deliberarono «tre navi nuove per i porti di Fasciano, di Foiano e di Creti».

Si hanno testimonianze di porti anche a Cignano e Farneta (sempre nel cortonese), a Bettolle (Sinalunga) e a Cesa (Marciano della Chiana). E pure la toponomastica odierna ricorda il vasto acquitrino, come i nomi eloquenti  di Rivaio, Spiaggina e Nave (Castiglion Fiorentino) e Melmone, zona della frazione di Brolio. Tra l’altro, proprio a Brolio la palude raggiungeva il punto di massima profondità di 3 metri.

Lo stesso termine “Chiana” divenne sinonimo di palude. Scrive Luigi Pulci nel Morgante: “Tutto quel giorno cavalcato avevon per boschi, per burron, per mille chiane e non s’avevon messo nulla in seno» XXIII^ canto, stanza 41.

La drammatica situazione in cui versava il luogo fu accentuata dalla peste nera, che nel 1348 non risparmiò neppure la Val di Chiana.

Luoghi di battaglie che hanno fatto la storia dell’arte

Per contro, i centri sorti già in epoca etrusca, romana e longobarda conobbero notevole importanza, specie a livello strategico, in una zona che pur sempre rimaneva di interesse per le potenti città di Firenze, Arezzo, Siena e Perugia.

La sottomissione di Perugia allo Stato pontificio riavvicinò alle sorti di Roma la parte umbra della valle, che da allora avrebbe preso il nome di Val di Chiana romana. Nella parte toscana, invece, la caduta di Arezzo sotto Firenze, lasciò alla città del Giglio e alla sua acerrima rivale, Siena, il tentativo di occupare definitivamente la valle.

La svolta si ebbe nel 1544, quando i senesi (che già controllavano le aree oggi ricomprese nella Val di Chiana senese, più la roccaforte di Lucignano), guidati dal fiorentino, ma nemico di Cosimo I de’ Medici, Piero Strozzi, irruppero in Val di Chiana, distrussero Foiano e occuparono Castiglion Fiorentino e Marciano. Per tutta risposta i fiorentini, guidati dal marchese di Marignano, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino, espugnarono Marciano e da qui fecero partire la propria controffensiva nella celebre Battaglia di Scannagallo, presso Marciano della Chiana (2 agosto 1554).

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Giorgio Vasari, Battaglia di Scannagallo salone dei Cinquecento Palazzo Vecchio (1565).

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Luogo odierno della battaglia, che prende il nome dal fosso, presso il Pozzo della Chiana.

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Santo Stefano della Vittoria – Giorgio Vasari, Pozzo della Chiana, Portale con stemma Mediceo.

Da quel momento la parte toscana della Val di Chiana entrò definitivamente sotto il dominio fiorentino, dei Medici prima e dei Lorena poi, sotto i quali sorse il Granducato di Toscana.

Le bonifiche

Il Rinascimento vide i primi segnali della rivoluzione agraria, in termini di evoluzione culturale e tecnico-scientifica. 

Poi il Granduca Pietro Leopoldo nell’ottobre 1769 visitò la Val di Chiana, rilevando di persona le pessime condizioni dei contadini e delle dieci fattorie della dinastia dei Medici, estintasi nel 1737, per complessivi 7.000 ettari di seminativi.

Il Granduca Pietro Leopoldo, volle costruire case dette “Leopoldine” architetture rurali tipiche, come soluzione alle pessime condizioni di vita dei contadini che finalmente avrebbero riportato la Val di Chiana all’antica fertilità, trasformando i campi in profitto, perchè “non era possibile vedere campi più belli in altri luoghi; anche il più piccolo lembo di terreno era stato lavorato alla perfezione, preparato per semina, dove il frumento vi cresceva rigoglioso”.

Le bonifiche andarono avanti fino alla fine del XIX^ secolo, cosicché la Val di Chiana tornò a primeggiare nella produzione di cereali e nell’allevamento della razza bovina “Chianina”,  con unità produttive ripartite in bei poderi, viali con gelsi, case coloniche ampie e famiglie mezzadrili costituite fino a 40 componenti famigliari.

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Tipica architettura rurale delle “Leopoldine” nelle campagne della Val di Chiana nei pressi di Creti

Se vuoi goder la vita, vieni con me in campagna…

Panorami d’incanto per un lavoro duro e spesso ingrato.

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Vendemmia in una foto di famiglia (1960 ca.). 

In primo piano una bella signora e dietro di lei una fanciulla –  la vendemmia, “il governo” (l’aggiunta e miscela di mosti durante la rifermentazione) erano “scienze” vinicole non codificate, ma legate alla tradizione di un duro lavoro prevalentemente eseguito da fragili donne.

Oggi i casali ristrutturati rappresentano il sogno di una schiera infinita di gentiluomini di campagna in pectore, di quelli che giurano: “pianto tutto e mi ritiro!”, ma forse non riuscirebbero a vivere più di due giorni lontani dal frastuono e dalle distrazioni della città. La vita in campagna è bella, ma anche dura. Provare per credere, come diceva qualcuno.

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9 COMMENTS

  1. Sconoscevo la complessità territoriale di queste zone. Una descrizione narrativa efficace e completa. Ottimo lavoro ?

  2. Piacevole come sempre ! ricordo illustrazioni del porto di Cesa ! La Val di Chiana però va considerata essenzialmente Aretina.

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