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Appesi al filo del debito pubblico pandemico

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NADEF - Ottobre 2020

Roboanti discorsi sul futuro della nostra economia sono secondi solo alla pandemia e al vaccino. E’ difficile capire come stanno le cose in entrambi i casi e soprattutto individuare a quale Santo votarci.

Paoli Mieli ha fatto bene a riepilogare sul Corriere di ieri 24 novembre il refrain della nostra politica economica “il debito pubblico non si paga”. L’immagine è l’elicottero da cui piovono banconote su tutti. Chi più spende meglio spende. Padoa-Schioppa diceva che nel nostro paese tutto quello che è pubblico non appartiene a nessuno.

Siamo dunque coerenti e radicati nei nostri principi. Con l’avvento poi di movimenti e partiti ad alto tasso di demagogia è imperativo caricare al massimo il metaforico elicottero che si alzerà ancora più a lungo in volo. Addirittura, Sassoli, presidente del Parlamento europeo, ha invocato il taglio del debito pubblico in nome dell’emergenza sanitaria. Vi sono poi anche i convertiti, gli ex (pseudo) fustigatori della spesa pubblica.

L’uscita di Sassoli infatti non è poi tanto diversa da quella di Draghi sul debito buono e sul debito cattivo. Entrambi cinicamente mirano a raccogliere un facile quanto deleterio pubblico consenso. Eppure l’uscita di Draghi fu salutata trionfalmente, stava suonando la tromba del più debito per tutti. Chissà perchè Zingaretti non lo ha bacchettato come invece ha fatto con Sassoli. Quod licet Iovi non licet bovi, dicevano i latini.

A mio avviso, oggi il problema non è tanto la rimborsabilità del nostro debito pubblico, davvero impossibile tanto che nessuno ci crede. E’ la sostenibilità che invece garantiamo da anni e può durare per lungo tempo, peraltro ad un costo altissimo sulle nostre infrastrutture pubbliche come sono la scuola, la sanità, la previdenza.

Sostenibilità vuol dire che annualmente riusciamo a pagare 50 e passa miliardi di interessi prelevandoli dagli avanzi di bilancio che siamo costretti a raggiungere. Come con gli usurai, si pagano gli interessi a dismisura poi si vedrà per il capitale, che con lo scorrere del tempo non interessa più di tanto.

La comunità internazionale ci tiene così ben stretti in queste condizioni, disposta a salvarci continuamente perché e finché possiamo pagare gli interessi. Lo sviluppo economico diventa un miraggio, buono per i gonzi.

Ma agli investitori, grandi banche e fondi, il destino economico di un paese interessa davvero poco. In sintesi, se ogni anno ricevo il 3-4 per cento di interesse su titoli di Stato che rinnovo per un tempo di 30 anni, e se alla fine il capitale che sarà rimborsato vuoi per l’inflazione vuoi per un taglio si ridurrà del 10/20 per cento, l’investimento è stato comunque redditizio.

Che significa per noi trovarsi in una simile situazione?

Significa rischiare di rimanere privi di ossigeno, entrare presto in terapia intensiva come Paese. Guardiamo pochi numeri che indicano le insormontabili difficoltà che abbiamo davanti. Il quadro della tabella in alto è sintesi dell’inarrestabile declino della nostra economia, dovuto alla storia passata più che alle conseguenze della pandemia.

Dal 2020 in poi, per semplicità, i numeri disastrosi di finanza pubblica li attribuiamo tutti agli effetti deleteri del COVID. Già quest’anno, l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche è pari al 10,8 per cento del PIL, 190 miliardi di euro. Essi si originano per 66 miliardi per pagamento interessi sul debito pubblico e per 124 miliardi per disavanzo. Nei tre anni successivi, l’indebitamento raggiungerà il 15 per cento del PIL.

In quattro anni, tra interessi e sforamenti ci mangiamo, termine quanto mai esatto, un quarto del PIL di quest’anno, 400/500 miliardi. Soldi buttati dalla finestra nel senso che sono improduttivi, cioè non creano nuova ricchezza.

Il tutto in un quadro ancora di sostenibilità del debito. Ma attenzione, questa volta le masse monetarie del debito e dei suoi accessori sono libere di espandersi dato che i vincoli europei sono stati di gran lunga allentati e i numeri drammatici che ora ho commentato presuppongono un aumento del PIL da qui al 2023 di ben 300 miliardi di euro. Una vera tombola o se vogliamo usare una metafora siamo tutti appesi al filo sempre più sottile del PIL che non regge più la nostra montagna di debiti.

Andrà tutto bene, si diceva qualche mese fa ed infatti dopo che sarà tutto finito non avremo più di che preoccuparci. Come nei bellissimi versi di Goethe:

Su tutte le vette
è pace;
In tutte le cime degli alberi
Senti un alito
Appena;
Gli uccelli son muti nel bosco.
Attendi ora. Presto
Avrai pace anche tu. 
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1 COMMENT

  1. Articolo ineccepibile. Radiografia nitida di una realtà che è evidente a tutti. Resterebbe ora da completare il quadro e focalizzare i soggetti maggiormente avvantaggiati in questo panorama finanziario. Non una spending review, ma magari procedendo attraverso un’analisi puntuale dei capitoli di spesa pubblica o, anche, dei molteplici crediti d’imposta che supportano imprenditorie assistite ed economie che beneficiano di bonus poco noti. Quelle panacee affidate alle abili mani esperte di tributaristi e commercialisti, supportate dalle lobby economiche che stazionano nei luoghi del Parlamento.
    Riguardo agli interessi che lo Stato paga per il Debito Pubblico, mi sovvengono reminiscenze bancarie; laddove, ad esempio, i migliori impieghi creditizi erano rappresentati dalle posizioni “incagliate”, storiche e quasi prossime alle “sofferenze”. Impieghi che, nominalmente, garantivano la bontà del credito di base ma anche una alta redditività che alimentava il grosso dei ricavi d’esercizio dell’istituzione bancaria affidante.
    Forzando una similitudine, non mi par che le cose siano concettualmente di molto differenti se ci riferiamo all’esposizione debitoria della finanza pubblica italiana. Debito crescente e rendite elevate agli investitori. Tenendosi, pertanto, sempre radenti al default il parallelismo sembrerebbe quasi perfetto. O no?

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