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PFAS, Micro-inquinanti dannosi

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Economia&FinanzaVerde è lieta di annunciare l’inizio della collaborazione con l’ingegnera Gea Mariella Volpe, con questo articolo sugli inquinanti chimici. Tempo di lettura 5’.

Emergenze parallele

Una delle possibili, rischiose, sotto tracce dell’era pandemica è quella di perdere la disciplina necessaria per fronteggiare emergenze parallele a quelle innescate da Sars-Cov19. La postura mentale a cui si assiste con sempre maggior frequenza è quella di contrappore come poli opposti diritti inalienabili: diritto alla salute come interesse collettivo contro diritto alla libertà individuale, diritto al lavoro contro diritto alla salute, diritto alla sopravvivenza delle generazioni future contro diritto all’autodeterminazione attuale. Fagocitati al centro di questa polarizzazione rischiano di sparire, tra i tanti, anche alcuni obiettivi ambientali-sanitari di estrema importanza.

Ecco quindi delinearsi un riverbero di urgenza: l’inderogabile accelerazione dei processi decisionali per attuare tutto quanto sia necessario prevedere per limitare i danni su vasta scala di alcune emergenze, poco esposte alla conoscenza pubblica, come quella indotta da determinati micro-inquinanti emergenti, ormai presenti, persistenti e accumulati nel ciclo naturale della vita.

MICRO-INQUINANTI PFAS: COSA SONO E QUALI RESTRIZIONI ESISTONO

I PFAS sono un gruppo di oltre 4.700 composti chimici sintetici (OECD,2018), di cui i più conosciuti sono gli acidi perfluoroottanoici (PFOA) e gli acidi prefluoroottansolfonici (PFOS).

Si tratta di composti organici creati dall’uomo, non presenti in natura, caratterizzati dalla presenza di un segmento stabile (non reattivo) fluorurato di un numero variabile di atomi di carbonio. E’ proprio la presenza del legame tra carbonio e fluoro a conferire loro stabilità chimica e termica, rendendoli impermeabili all’acqua e ai grassi.

In virtù delle loro proprietà fisico – chimiche uniche, i PFAS sono stati utilizzati per aumentare la resistenza alle alte temperature di tessuti, tappeti e pellami; per produrre rivestimenti impermeabili per piatti di carta, padelle antiaderenti e imballaggi alimentari, e come coadiuvanti tecnologici nella produzione di fluoropolimeri (es. politetrafluoroetilene – PTFE o “Teflon”, componenti del “Goretex”). Sono utilizzati in cromatura, nelle schiume antincendio, nei detergenti per la casa, pitture, vernici e in molte altre applicazioni.

Mentre i PFAS a catena lunga si accumulano negli esseri umani, negli animali, nei terreni e nei sedimenti, i PFAS a catena corta si accumulano nell’ambiente (German EPA 2017-2018), in forza della loro persistenza e dell’elevata mobilità in aria e acqua.

Per molti anni i PFAS più utilizzati sono stati quelli a 8 atomi di carbonio come PFOS (perfluorootaansulfonato) e PFOA (acido perfluoroottanoico).

Nel 2009 la classe dei PFOA è stata dichiarata “sostanza inquinante resistente” dalla Convenzione di Stoccolma e nel 2017, su indicazione dell’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA), la Commissione Europea ha riconosciuto finalmente l’inaccettabilità dei rischi per la salute umana e l’ambienteche la loro presenza comporta.

A partire dagli anni 2000 alcune ditte produttrici hanno previsto l’interruzione della produzione e la sostituzione di PFOA e PFOS con PFAS a catena più corta (6 o 4 atomi di carbonio) tra cui: l’acido perfluorobutanoico (PFBA), l’acido perfluoroesanoico (PFHxA), e l’acido perfluorobutan-sulfonico (PFBS), che nelle applicazioni industriali hanno proprietà simili a PFOS e PFOA, pur essendo meno efficienti.

Nel 2018, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha rivalutato le molteplici linee di evidenza delle tossicità di PFOA e PFOS, portando alla definizione di limiti provvisori notevolmente inferiori, noti come ” assunzione settimanale tollerabile ” (TWI 2018).

E per la prima volta, lo fa tenendo in considerazione l’effetto combinato sull’organismo umano.

Le 4 sostanze proposte per la revisione sono acido perfluoroottanoico (PFOA), perfluoroottano sulfonato(PFOS), acido perfluoronanoicoico (PFNA), acido per-fluoro-esano solfonico (PFHxS).

Il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare (Contam) ha redatto il proprio parere per i quattro PFAS principali che si accumulano nel corpo, proponendo un’assunzione settimanale tollerabile di gruppo (TWI) di 8 ng / kg di peso corporeo alla settimana.

Il 4 luglio 2020 sono entrati in vigore restrizioni alla fabbricazione e all’immissione sul mercato dei PFOA, dopo le valutazioni scientifiche effettuate dall’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA).

In Agosto 2020, la Commissione Europea ha pubblicato la proposta di modifica dell’Annex XVII del Regolamento REACH (EC) No 1907/2006, per restringere la produzione in Europa di nuovi PFAS, precisamente degli acidi Per-fluoro-carbossilici contenenti da 9 a 14 atomi di carbonio nella catena (C9-C14 PFCAs), dei loro sali e sostanze correlate.

La proposta di restrizione si applica all’utilizzo, all’immissione sul mercato e all’importazione di queste sostanze, dei loro sali e dei composti correlati intesi sia singolarmente, sia come insieme in un prodotto.

Scopo principale di questa restrizione è quello di evitare che le aziende possano considerare l’utilizzo di PFCA C9-C14, dei loro sali e delle sostanze correlate come possibile alternativa a PFOA e PFOS, essendo essi stessi tossici, molto persistenti e caratterizzati da un’elevata capacità di bioaccumulare (PBT/vPvB: Persistent, Bioaccumulative and Toxic / very Persistent and very Bio-accumulative).

E’ necessario pertanto, minimizzarne l’utilizzo e la futura possibile produzione per contrastarne tanto la dispersione quanto gli effetti tossici a carico della salute umana e quelli prodotti nell’ambiente.

Ulteriore, essenziale, tassello è stato identificare gli alimenti che contribuiscono maggiormente all’esposizione ai quattro principali PFAS: acqua potabile, pesce, frutta, uova e i loro prodotti derivati.

Per la rimozione dei PFAS da acque reflue, fanghi di depurazione e rifiuti, manca una normativa comune ed integrata a livello internazionale.

Una nota esplicativa si rende necessaria: le tecnologie per rimuovere i PFAS dalle acque destinate a consumo umano esistono, sono mature ed estremamente affidabili (adsorbimento su carbone attivo/resine, nanofiltrazione / osmosi inversa) e sono moltissimi gli impianti di potabilizzazione le cui filiere sono totalmente adeguate alla rimozione di PFAS-PFOA-PFOS.

Tuttavia, risulta necessario ed inderogabile un monitoraggio costante ed uniforme ed è fondamentale una sinergia italiana, europea ed internazionale tra aziende, centri di ricerca, università ed autorità pubbliche.

I DANNI SULLA SALUTE UMANA

I PFAS vengono assorbiti rapidamente ed efficientemente in seguito ad ingestione ed inalazione: si legano alle proteine del plasma, non sono metabolizzati dall’organismo ed è per questo che si accumulano e si ritrovano nel plasma, nel fegato e in minor misura nei reni. Vengono eliminati tramite la funzionalità renale, ma nella specie umana l’eliminazione è molto lenta, in quanto una volta filtrati nelle urine subiscono un processo di riassorbimento che li riporta in circolo. Il riassorbimento è dovuto all’attività di trasportatori (che normalmente lavorano per recuperare molecole “utili” all’organismo), che sono sotto il controllo ormonale.

Il tempo di dimezzamento (o emivita), vale a dire il tempo necessario perché i livelli nel sangue si riducano a metà (se non si è più esposti) nell’uomo è in media di 5,4 anni per il PFOS e di 3,8 anni per il PFOA, con differenze di genere: nei maschi i tempi di dimezzamento sono più lunghi che nelle femmine. Valori di gran lunga inferiori sono stati descritti per PFBS (30 giorni) e per PFBA (3 giorni).

Alte concentrazioni di composti perfluorurati interagiscono con il progesterone e alterano i meccanismi che regolano il ciclo mestruale, interferiscono con l’attecchimento dell’embrione e impattano negativamente sulla fertilità.

A novembre 2018 il gruppo di Dott. Foresta ha pubblicato su The journal of clinical endocrinology & metabolism i risultati di uno studio che definiva il meccanismo attraverso cui i PFAS alterano lo sviluppo del sistema uro-genitale (lunghezza del pene, volume testicolare e distanza ano-genitale ridotti) e la fertilità nei maschi, interferendo con l’attività del testosterone, l’ormone steroideo prodotto nei testicoli che svolge una funzione primaria nello sviluppo degli organi sessuali maschili, nei tratti sessuali secondari come la barba e il timbro di voce, ma fondamentale anche per lo sviluppo muscolo-scheletrico.

In ragione della loro struttura, i PFAS risultano molto simili alle molecole organiche come gli acidi grassi, componente fondamentale delle membrane cellulari, e ad alcuni ormoni.

Gli esperimenti condotti in vitro su cellule dell’endometrio dell’utero femminile hanno individuato un meccanismo di azione similare: i PFAS agiscono come interferenti endocrini, portando l’organismo ascambiarli per ormoni.

Il progesterone normalmente agisce su quasi 300 geni, ma in presenza di PFAS 127 vengono alterati. Questo può spiegare quella cascata di eventi biologici e clinici che si sono osservati nella zona rossa Veneta e in altre aree internazionali, a partire dagli anni 2000.  

L’APPELLO DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’(OMS)

Intanto, secondo quanto confermato nel 2017 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), gli studi epidemiologici hanno trovato un’associazione proprio tra l’esposizione umana a PFOA e PFOS, con diverse patologie: dall’aumento del colesterolo a quello degli enzimi epatici, alla riduzione della risposta ai vaccini, fino al preoccupante abbassamento del sistema immunitario, già nei bambini.

Gli studi dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), inoltre, hanno confermato un’associazione positiva con i tumori dei testicoli e dei reni, classificando il PFOA come possibilmente cancerogeno per l’uomo, nel Gruppo 2B.

Nuovi studi epidemiologici, come rimarcano gli esperti dell’IFC-CNR di Pisa, inoltre, hanno evidenziato che le interazioni tra vitamina D ed esposizione a sostanze per-fluo-alchiliche, potrebbero favorire lo sviluppo dell’osteoporosi, già in soggetti tra i 18 e i 21 anni.

A causa del disastro ambientale veneto, con le ricadute sulla salute dei suoi abitanti, nel 2017, l’Italia è diventata un caso di studio per la stessa Organizzazione mondiale della sanità. Proprio gli esperti dell’OMS hanno ribadito come siano fondamentali continui studi epidemiologici e attività di biomonitoraggio per prevenire e limitare i danni sanitari nelle nuove generazioni.

Eppure, a tre anni di distanza dal report dell’OMS, tutto procede a rilento, compreso la mappatura completa dei pozzi contaminati. E manca – soprattutto – che il limite di PFAS nell’acqua venga normativamente imposto pari a zero.

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3 COMMENTS

    • Buongiorno,
      mi scuso per il ritardo nella risposta. L’immissione di PFAs-PFOA in ambiente è un processo sistemico iniziato a partire dagli anni 50 del secolo scorso. Questo implica – purtroppo- che l’esposizione nella catena biotica è stata costante fino a quando, alla fine degli anni 90, una class action americana, sostenuta dall’avvocato Robert Billot contro l’azienda chimica DuPont, ha iniziato a fare luce sui pericolosissimi impatti sanitari che questi composti producono (sulla vicenda, ne hanno tratto il film “Dark Waters” di Todd Hayens, 2019).

      E’ tuttavia stata proprio l’attenzione continua dei sindacati di categoria a condurre in quasi vent’anni alle restrizioni emanate dall’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare.
      Al momento la battaglia in corso si gioca anche su un doppio ordine di controllo: da un lato l’ottenimento di procedure standardizzate per il tracciamento di PFAs all’interno delle catene di produzione, dall’altro il monitoraggio più capillare sulle matrici ambientali coinvolte (acqua – suolo), che una volta inquinate divengono vettori diffusivi che necessariamente debbono essere controllabili a livello di area vasta.

      E’ la sommatoria delle modifiche di sistema a rappresentare la vera garanzia di difesa collettiva, mentre a livello di singole azioni individuali, è la conoscenza a fare la differenza.
      E’ mia profonda convinzione che una condivisione il più accurata possibile di dati e informazioni possa condurre a comportamenti consapevoli generalizzati, vera arma vincente per un futuro sostenibile.

      Se abbiamo bisogno di comprare una pentola nuova, cominciamo a controllare che si tratti di una padella antiaderente senza teflon (senza PFTE, nichel, PFOA). Non usiamo padelle rovinate. Quando compriamo prodotti contenenti Gorotex (tessuti tecnici, scarpe, etc.), cerchiamo di informarci sulle modalità di transizione che la casa produttrice sta attuando nel trattare i composti fluorurati.
      La domanda informata di mercato condurrà alla modifica nell’offerta di produzione, stando sempre attenti ai rischi di “greenwashing” da parte delle aziende.
      Ma questa è un’altra storia.

  1. Gent.mo Gerardo,
    il giardino delle delizie (di Hieronymus Bosch) databile 1480 – 1490, è la perfetta rappresentazione delle debolezze dell’uomo e delle sue perversioni.
    Vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza, cercando per quanto possibile di dare dei riferimenti accessibili perché possiate verificare di persona quanto leggete.

    Agli inizi degli anni Quaranta, i ricercatori isolano l’ormone che controlla la crescita delle piante, riproducendone sinteticamente la molecola. Constatano che iniettando l’ormone in piccole dosi, si stimola la crescita delle piante, mentre in dosi massicce, provoca la morte della pianta. Così creano due diserbanti che danno il via ad una vera e propria “rivoluzione agraria”. Si tratta dell’acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4-D) e il 2,4,5-triclorofenossiacetico (2,4,5-D), due molecole che fanno parte dei clorofenoli.
    Per comprenderne la pericolosità, è bene sapere che una miscela dei due, origina il tristemente noto “Agente Arancio”, il defoliante usato dall’esercito americano nella guerra in Vietnam. Milioni di persone in Vietnam, negli Usa e in altri Paesi continuano a soffrire per gli effetti dell’Agente Arancio. I figli dei veterani di guerra americani e almeno centocinquantamila (fino ad oggi) bambini vietnamiti sono nati con malformazioni prodotte dai pesticidi. In 10 anni, dal 1961 al 1971, le truppe USA, per distruggere ogni copertura vegetale e stanare così gli imprendibili guerriglieri vietcong sul terreno nudo, hanno irrorato più di 80 milioni di litri di Agente Arancio prodotto da una nota multinazionale. Oggi la stessa multinazionale produce semi OGM, modificati geneticamente proprio per resistere all’uso massiccio e continuo dell’erbicida di propria produzione, che viene venduto insieme ai semi OGM di soia, mais e colza. Studi recenti effettuati sulla popolazione del Sudamerica, una delle aree al mondo in cui si usa maggiormente la soia OGM in questione, hanno evidenziato un alto tasso di malformazioni genetiche e cancro. In particolare uno studio fatto in Venezuela segnala casi di bambini venezuelani nati in aree pesantemente irrorate con deformità molto simili a quelle dei bambini nati deformi a causa dell’Agente Arancio. La multinazionale, dal suo blog, ha così risposto agli scienziati autori di questi studi: “Le autorità regolatrici ed esperti indipendenti di tutto il mondo concordano sul fatto che il glifosate non causi effetti negativi al sistema riproduttivo negli animali adulti esposti alla sostanza, né difetti alla nascita nella loro progenie, anche a dosi di molto superiori a quelle consentite”. Queste “rassicuranti” affermazioni diffuse oggi sulla sicurezza del glifosate suonano familiari ai veterani del Vietnam: sono infatti tristemente simili a quelle che sono state date al pubblico dalla stessa multinazionale e dal governo statunitense sull’ Agente Arancio. Tuttavia per “loro” il glifosate non è abbastanza letale, in quanto non è più “efficace” come una volta per uccidere le supererbacce che hanno ormai acquisito i geni dal polline dei semi OGM e stanno diventando glifosate resistenti. Più di venti specie di infestanti naturali, dette “superweeds” hanno reso incontrollabili quasi sei milioni di ettari di coltivazioni in Brasile, Argentina e USA e hanno indotto le aziende chimiche a produrre diserbanti sempre più tossici. Per questo motivo, hanno prodotto nuove versioni di glifosate che vengono pubblicizzate come soluzione idonea per le “supererbacce”, e contengono una miscela di prodotti fino al 70% uguale all’Agente Arancio.
    Il termine cultivàr (in italiano, sostantivo femminile invariabile) deriva dalla contrazione della locuzione inglese cultivated variety (“varietà coltivata”), a sua volta calco del latino varietas culta, ed è stato ufficialmente adottato dal XIII Congresso di Orticoltura tenutosi a Londra nel 1952. Le convenzioni di nomenclatura sono regolamentate dal Codice internazionale per la nomenclatura delle piante coltivate (CINPC) e l’applicazione della normativa e delle convenzioni è affidata a specifici organismi internazionali o nazionali.
    Alcuni prodotti agricoli del suolo di interesse alimentare che ricevono trattamenti di modifica genetica sono sostanzialmente: grano, mais, soia, patate, cotone, colza, pomodori, fagioli e riso.

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