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Dal gioco delle bocce alla neuro economia

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Tempi di lettura 5’. Leggibilità **.

Un cocchio e dei cavalli.

Quali sono gli schemi mentali e le abitudini che condizionano la nostra vita? 

Il paradigma è rappresentato nel disegno di una carrozza trainata da cavalli. Il cocchiere è la mente, la carrozza il nostro corpo, i cavalli le emozioni e il passeggero l’anima o la coscienza seduta dentro il cocchio.

Se il passeggero si addormenta, la carrozza può essere lasciata nelle mani della mente, ma può capitare, nella peggiore delle ipotesi, che resti in balia delle emozioni. Se queste ultime diventano la forza trainante che fa muovere in avanti la carrozza, non ci potrà essere una giusta direzione. Ci vuole il cocchiere a dirigere.

Ma se il cocchiere non è presente o non è in grado? A quel punto le emozioni ci traineranno come cavalli a briglia sciolta.

La neuro economia è la scienza che cerca di scoprire e comprendere quali siano i meccanismi neuronali che entrano in gioco quando l’essere umano prende le sue quotidiane decisioni materiali.

È una scienza interdisciplinare che si avvale della neurologia, della psicologia, della matematica, della medicina, della economia e delle scienze umanistiche.

Siamo in un momento storico particolare, di fronte a un passaggio di evoluzione o involuzione per eventi che stanno causando una crisi mondiale asimmetrica.

Assistiamo ad una decelerazione della nostra carrozza, che forse si è troppo velocizzata a causa di una globalizzazione che ha addormentato le nostre coscienze, o perlomeno le ha anestetizzate propinandoci comportamenti molto seduttivi ai quali è difficile rinunciare.

L’attenzione e la considerazione della società si sono concentrate solo sul materialismo del piacere immediato, tralasciando il fatto che il benessere è una complessa e molteplice rete di dimensioni che sono all’interno dell’essere umano. 

La componente del benessere psicologico è una determinante del progresso sociale, dal quale dipende la visione macroeconomica che troppo spesso è ancorata a vecchi modelli.

Errori di valutazione 

Gli errori di valutazione che la mente può fare furono affrontati dal filosofo e politico inglese Francis Bacon alla fine del 1500 nel Novum Organum :

“che si tratta di un peculiare e ripetitivo errore del capire umano di propendere maggiormente e con più enfasi nei confronti delle affermazioni più che delle negazioni”.

Francis Bacon fu antesignano nel mettere in evidenza la fallacia della mente umana, nel voler confermare le proprie convinzioni e sminuire quelle che lo contraddicono. Un processo mentale, che come leggeremo più avanti, ha portato nazioni, istituzioni, politici, aziende e semplici individui a fare errori di valutazione che si ripetono nel tempo.
George Orwell si meravigliava di chi fossero i suoi maggiori detrattori. Non erano i poteri forti che attaccava tramite i suoi scritti, ma le persone comuni alle quali non stava bene ciò che scriveva perché non intendevano porsi domande e scegliere tra soluzioni scomode. 

Negli anni settanta del XX secolo, furono avviati programmi di ricerca per comprendere in quale modo gli esseri umani maturassero le loro decisioni economiche in contesti caratterizzati da ambiguità, incertezza o scarsità delle risorse disponibili.

 

Un nuovo approccio al pensiero

Furono gli anni 2000 a dare una svolta scientifica alla ricerca psicologica abbinata all’economia, grazie a Daniel Kahneman, al quale fu assegnato il premio Nobel per l’Economia con il seguente encomio:

«per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza». 

Il Professor Kahneman spiegava che la mente umana esegue due tipologie di pensiero: uno razionale e uno intuitivo. Il pensiero razionale funziona in maniera lenta, sequenziale, faticosa e controllata, mentre il pensiero intuitivo è veloce, automatico, senza sforzo, associativo, ma anche difficile da controllare.

La mente umana non è in grado di comprendere se non limitatamente i meccanismi che regolano le azioni e i pensieri. L’individuo è consapevole solo di una piccola parte di ciò che avviene realmente durante un processo decisionale.

Diversamente, la teoria economica classica si basa sulla razionalità degli individui e su processi consapevoli. In questo presupposto, il metodo tradizionale non riesce a cogliere i meccanismi attivati dalle emozioni che si innestano al di sotto del livello di coscienza. Al fine di comprendere tali fenomeni è dunque necessario superare l’approccio tradizionale e indagare su ciò che avviene veramente nella mente dell’individuo.

La semplicità è più difficile della complessità 

Ed ecco che ancora una volta personalmente sono cosciente di non sapere  e di non poter avere sotto controllo ciò che non conosco, perché, come disse Steve Jobs, la semplicità può essere più difficile della complessità: devi lavorare duro per ripulire il tuo pensiero e renderlo semplice.

Ma alla fine paga, perché una volta che ci riesci puoi spostare le montagne, l’importante è capire che decidere che cosa non fare è tanto importante quanto decidere che cosa fare. 

Quindi la domanda da porsi è: Come possiamo capire, comprendere e migliorare i nostri processi decisionali nelle situazioni quotidiane che sono comportamentali e inevitabilmente accostate al benessere economico? 

Sicuramente siamo arrivati alla comprensione che il benessere della società e degli individui che la compongono incide in modo marcato sulla micro e macro Economia. Il benessere psico-fisico permette un lavoro più produttivo, a sua volta un lavoro più produttivo agevola il conseguimento di un reddito maggiore.

Praticamente è come possedere un veicolo, un mezzo dell’ultima generazione tecnologica e mettersi con pazienza e volontà a leggere le istruzioni per poter capire come esserne del tutto padroni. L’esperienza sarà nel tempo la nostra preziosa alleata.

Non possiamo criticare il sistema senza studiarlo, non possiamo accusare senza guardarci allo specchio, non possiamo fare finta di progredire e nel frattempo continuare a ripetere gli stessi errori, perché non abbiamo mai voluto affrontarli e superarli. Le potenzialità sono insite nella conoscenza dell’essere umano, nella sua mente e nella sua anima.

Bias ed euristiche 

Conoscere se stessi comporta lo sforzo di comprendere la complessità di Bias ed euristiche cognitive. Provo a spiegarmi.

Artemisia Gentileschi, Allegoria dell’Inclinazione

I Bias cognitivi sono dei valori che derivano dalle nostre percezioni sbagliate, le quali creano, o perlomeno interferiscono ampiamente sui giudizi, sui pregiudizi e sulle ideologie. La mente usa i bias per prendere decisioni veloci e soggette a critica o giudizio.

Il termine Bias che conosciamo oggi è inglese, ma deriva dal francese provenzale antico il quale lo attinse dal greco “epikársios” che significa obliquo, inclinato. Il termine era usato nell’antico gioco delle bocce, praticato in Egitto, Siria e Mesopotamia fin dal VII secolo A.C., per evidenziare le conseguenze negative dei tiri storti o sbilenchi.

Nella seconda metà del 1500 la parola fu utilizzata in italiano con una connotazione diversa, da obliquo fu tradotta in inclinazione, predisposizione, divenendo solo in seguito un termine che aprirà la strada al concetto di pregiudizio.

I bias cognitivi sono dunque delle percezioni, dei pensieri che si formano nella mente, basandosi su giudizi e pregiudizi, sono dei valori, degli input sensoriali con i quali il nostro cervello distorce la realtà, spesso facendoci prendere decisioni affrettate, errate o deformate.

Sono errori cognitivi che impattano nella nostra vita di tutti i giorni. I mezzi di comunicazione e i social rappresentano il modo più veloce per plasmare e modellare determinate realtà sociali. 

Le Euristiche, termine che deriva dal greco heurískein, trovare, scoprire sono al contrario dei bias, dei procedimenti mentali intuitivi. Possono essere viste come scorciatoie mentali che permettono al pensiero di costruirsi un’idea generica su un argomento, per avere una rapida interpretazione. 

Quindi, i bias (e le categorie sono tante) sono particolari euristiche usate per esprimere dei giudizi, che alla lunga diventano pregiudizi, su cose mai viste o conosciute in profondità o di cui non si è mai avuto esperienza.

In sintesi, se le euristiche sono scorciatoie comode e rapide estrapolate dalla realtà che portano a veloci conclusioni, i bias cognitivi sono euristiche inefficaci, pregiudizi astratti che non si generano su dati di realtà, ma si acquisiscono con la complicità fallace della memoria.

Se la complessità delle Bias e delle Euristiche ci sottolinea la mancanza della conoscenza di noi stessi, quale in sintesi la differenza tra di loro? 

Il nostro cervello agisce sulla base di mappe, di schemi mentali quasi ripetitivi che sono effettivamente validi per affrontare la maggior parte delle situazioni quotidiane, ma sono percepiti come delle “leggi” che governano la nostra mente.

Gli schemi mentali si originano dal rapporto che abbiamo con il piacere o il dolore, perché è in quel momento che il cervello deve decidere quale azione intraprendere: provare un piacere o fuggire da un dolore.

L’inghippo della mente è proprio nella limitazione di non riuscire sempre a trasformare gli schemi mentali da buoni/cattivi a utili/inutili. Non possiamo continuare ad utilizzare gli stessi schemi quando si devono affrontare nuove situazioni e nuovi scenari.

Ognuno di noi ha l’impressione di vedere il mondo “oggettivamente”, mentre ci sfugge una zona completamente cieca, dalla quale escludiamo noi stessi. Questa è una delle più perverse Bias dell’essere umano: la Bias Blind spot, il punto cieco della Bias.

 

 

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3 COMMENTS

  1. Come sempre un articolo ben scritto e che affronta questioni di grande attualità che ci condizionano direttamente e indirettamente sempre di più. Complimenti! Oggi ho condiviso su FB questo post che mi sembra molto attinente all’argomento e che certamente costituisce uno degli antitodi più efficaci per preservare la ragione. “Ho letto moltissimi libri, ma ho dimenticato la maggior parte di essi. Ma allora qual è lo scopo della lettura?”
    Fu questa la domanda che un allievo una volta fece al suo Maestro.
    Il Maestro in quel momento non rispose. Dopo qualche giorno, però, mentre lui e il giovane allievo se ne stavano seduti vicino ad un fiume, egli disse di avere sete e chiese al ragazzo di prendergli dell’acqua usando un vecchio setaccio tutto sporco che era lì in terra.
    L’allievo trasalì, poiché sapeva che era una richiesta senza alcuna logica.
    Tuttavia, non poteva contraddire il proprio Maestro e, preso il setaccio, iniziò a compiere questo assurdo compito. Ogni volta che immergeva il setaccio nel fiume per tirarne su dell’acqua da portare al suo Maestro, non riusciva a fare nemmeno un passo verso di lui che già nel setaccio non ne rimaneva neanche una goccia.
    Provò e riprovò decine di volte ma, per quanto cercasse di correre più veloce dalla riva fino al proprio Maestro, l’acqua continuava a passare in mezzo a tutti i fori del setaccio e si perdeva lungo il tragitto.
    Stremato, si sedette accanto al Maestro e disse: “Non riesco a prendere l’acqua con quel setaccio. Perdonatemi Maestro, è impossibile e io ho fallito nel mio compito”
    “No – rispose il vecchio sorridendo – tu non hai fallito. Guarda il setaccio, adesso è come nuovo. L’acqua, filtrando dai suoi buchi lo ha ripulito”
    “Quando leggi dei libri – continuò il vecchio Maestro – tu sei come il setaccio ed essi sono come l’acqua del fiume”
    “Non importa se non riesci a trattenere nella tua memoria tutta l’acqua che essi fanno scorrere in te, poiché i libri comunque, con le loro idee, le emozioni, i sentimenti, la conoscenza, la verità che vi troverai tra le pagine, puliranno la tua mente e il tuo spirito, e ti renderanno una persona migliore e rinnovata. Questo è lo scopo della lettura”.
    Buona lettura a tutti… (da Anna Rita Montinaro, … grazie!)

  2. Grazie Salvatore. Storia bellissima che fa molto riflettere. La associo ad una frase di PHILIPPE Daverio che ho trovato di una profondità ironica unica: “sono andato all’università per studiare, non per laurearmi”. Grazie per l’apprezzamento all’articolo, ogni giorno un passo davanti all’altro per imparare e comprendere.

  3. Efficace il paradigma della carrozza trainata da cavalli.
    Io vedo la globalizzazione più come un volano moltiplicatore esponenziale di opportunità ed anche di una discreta redistribuzione economica tra paesi del mondo: per quanto attiene le coscienze, temo che siano addormentate … da sempre e che poco siano influenzate dalla globalizzazione, che semmai potrebbe considerarsi un “eccitante”.
    Vero è che l’attenzione e la considerazione della società si sono concentrate solo sul materialismo del piacere immediato, tralasciando il fatto che il benessere è una complessa e molteplice rete di dimensioni che sono all’interno dell’essere umano. L’Economia è scienza che si occupa quasi esclusivamente del “piacere immediato”. Della dimensione più complessa dovrebbe occuparsi la Politica, ma questa è incline ad aderire e rappresentare la considerazione della collettività (quando va già bene).
    Molto appropriati i richiami a Francis Bacon ed al prof. Kahneman e suggestivo il loro accostamento (“a dama” nel Gioco delle Perle di Vetro).
    L’uno evidenzia la naturale inclinazione della mente nel voler confermare le proprie convinzioni e sminuire quelle che lo contraddicono. L’altro che il pensiero razionale funziona in maniera lenta, sequenziale, faticosa e controllata, mentre il pensiero intuitivo è veloce, automatico, senza sforzo, associativo, ma anche difficile da controllare.
    Perchè se no, la facile ascesa dei movimenti populisti, sia che si guardi alla storia che alla geografia? Razionalmente collezionano sequenze di contraddizioni frontali (spesso imbarazzanti), ma emozionalmente sollecitano sempre i sentimenti “giusti” (spesso vergognosi).
    Verissimo che la teoria economica classica si basa sulla razionalità degli individui e su processi consapevoli e che, con questo presupposto, il metodo tradizionale non riesce a cogliere i meccanismi attivati dalle emozioni che si innestano al di sotto del livello di coscienza.
    Improbabile però, almeno secondo me, che si possa superare il metodo”tradizionale”. Non perchè non sarebbe opportuno, ma perchè difficilissimo, forse impossibile. Perchè su schemi razionali si possono fare calcoli, sui meccanismi delle emozioni no; materia troppa fluida.
    Quello di Steve Jobs è comandamento fondamentale per un manager “economico”: devi lavorare duro per ripulire il tuo pensiero e renderlo semplice! Ma il setaccio delle emozioni è uno attrezzo inafferrabile.
    Magari si può migliorare cominciando a ridurre i Bias Blind Spots. Con tanto duro e tenace lavoro di studio ed apprendimento. Lento, sequenziale, faticoso e controllato.
    Bellissimo articolo Elena, denso di spunti suggestivi ed accostamenti convincenti. Grazie!

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