Opera senza autore (Werk ohne Autor) è il grandioso film diretto da Florian Henckel von Donnersmarck che ne è anche sceneggiatore e produttore.
Ispirato ad eventi reali, il film fu presentato a Venezia nel 2018 e ha ricevuto due candidature ai premi Oscar nel 2019. Racconta tre epoche della storia tedesca ed europea attraverso la vita tormentata di un artista.
E’ il nostro novecento, visto nel tragico caleidoscopio del mondo germanico, il nazismo, la DDR Comunista e infine la Germania del dopo muro. Netflix ce lo propone meritoriamente nella versione originale di oltre tre ore.
Liberamente ispirato alla vita di Gerhard Richter, artista tedesco nato a Dresda nel 1932, formatosi nella Germania sovietica e passato a Ovest per amore dell’espressionismo astratto. Egli è uno dei maggiori artisti contemporanei.
E’ un affresco liberatorio della generazione di chi ha 60 anni e più perchè fa i conti con questioni che hanno agitato la coscienza collettiva per molto tempo e non solo in Germania. A una visione manichea, terribilmente semplicista, il film contrappone la profondità delle ragioni che hanno generato visioni politiche di adorazione delle dittature di qualunque orientamento.
Esso scava a fondo nella vita di un aspirante pittore alla ricerca di un arte che abbia una identità propria e non risponda di volta in volta ai canoni estetici del nazismo e successivamente del socialismo reale. Le vite del pittore e della sua compagna si intrecciano con i misfatti del padre di lei, un illustre clinico esponente dell’eugenetica nazista. Egli sopravvive al crollo della Germania passando ad Est, dove trova altri modi per continuare la sua terribile arte medica, protetto dal nuovo potere.
In mezzo alcune sequenze indimenticabili del bombardamento di Dresda, la città gioiello dell’Europa, ad opera delle forze alleate che la rasero al suolo causando migliaia di morti tra i civili inermi. Definita la Firenze dell’Elba per lo splendore del suo centro storico, Dresda sarà ricostruita per diventare uno dei centri industriali più rilevanti della Repubblica Democratica Tedesca.
La Kunstakademie di Düsseldorf sarà il porto di arrivo dell’artista ove il confronto con i più importanti fermenti culturali del dopoguerra gli darà le risposte artistiche e liberatorie che stava cercando. Egli le trova nelle rappresentazioni pittoriche del reale, del vero, intrise nelle tragedie personali delle vittime della storia. Il vero è libertà, dice il professore di estetica che lo guida nella sua ricerca artistica.
E’ un film di grande spessore culturale, una sintesi del nostro sapere e della nostra cultura. Emerge con forza il rapporto quasi mostruoso tra potere e scienza medica, la seconda irrimediabilmente asservita al primo durante il nazismo, ma anche dopo. E lo spiraglio di salvezza è dunque solo nell’arte, capace di una sua forza liberatoria rispetto al potere, per quanto esso si sforzi ad asservire anche lei. La scienza invece non sarà mai capace di libertà, sembra il messaggio del film. L’arte non ha autore proprio per questo, a differenza della scienza che di autori ne ha invece troppi.
Il film trasmette allo spettatore il coraggio e l’audacia di vedere le pagine nere della storia tedesca in modo umanistico e di tratteggiare la dimensione di un atto unico universale sul totalitarismo. Un ammonimento che travalica la storia passata e arriva ai tempi nostri, alle democrazie di oggi che in molti eventi ci sono sembrate prive dei necessari anticorpi a difesa di se’ stesse.
Bella recensione del film sull’affascinante ricostruzione del Novecento attraverso la vita di un grande pittore.